11/05/2025
Pochi, mal pagati e stanchi. L’Italia sta vivendo da anni una crisi del comparto infermieristico che non accenna a migliorare. Secondo la fotografia scattata dalla fondazione Gimbe guidata da Nino Cartabellotta il nostro Paese perde 10mila professionisti l’anno e precipita nelle classifiche europee per numero di laureati e retribuzioni.
Nel 2022, secondo gli ultimi dati disponibili del ministero della Salute, il personale infermieristico contava 302.841 unità, di cui 268.013 dipendenti del Sistema sanitario nazionale. Solo nel triennio 2020-2022 gli infermieri che hanno abbandonato volontariamente il Ssn sono stati 16.192, demotivati da ritmi infernali e salari inadeguati. Gli stipendi italiani infatti sono tra i più bassi d’Europa: si parla di 1.500-1.600 euro al mese. Nino Cartabellotta non fa fatica a riconoscere che “l’Italia offre salari da fame e contratti rigidi, a fronte di responsabilità crescenti e turni insostenibili”. Gli fa eco il presidente del Nursing Up, sindacato infermieri italiani, Antonio De Palma: “Tra gli stipendi italiani e quelli di altri Paesi Ue c’è una differenza di almeno 800 euro” e lamenta che “solo l’Europa dell’Est, la Grecia e il Portogallo fanno peggio”. Inoltre, il nostro Paese, tra quelli europei, è quello con meno infermieri: 6,5 ogni mille abitanti.
Per Cartabellotta è impossibile fare stime precise su quanti operatori sanitari manchino: “Si tratta di svariate decine di migliaia e il fabbisogno reale è destinato a crescere, considerando anche l’invecchiamento della popolazione italiana che aumenta la domanda di assistenza”, precisa. Secondo De Palma invece ne mancano circa 175mila, “ormai è una professione che sta scomparendo”. A dimostrazione di questo, i sempre meno iscritti ai corsi di laurea in scienze infermieristiche. Il sogno di essere un dipendente pubblico sta sempre più svanendo: l’offerta dal Sistema sanitario nazionale è tutt’altro che sufficiente e non garantisce uno stile di vita dignitoso. Non sorprende, allora, che i giovani scelgano altre strade.
L’articolo di Francesca Lequaglie sul nuovo numero de L’Espresso