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10/12/2024

Ma se avessero ragione loro? Ci avete pensato? Se davvero fosse vero che siamo circondati da complotti, mai andati sulla Luna, Terra piatta, vaccini pericolosi, scie chimiche velenose, piani mondiali di diminuzione della popolazione...
Cioè, assumiamo che tutte (ma anche solo qualcuna di) queste cose fossero vere: ma non sarebbe un mondo terrificante?
Tutti avvelenati, comandati, convinti di vivere in una realtà diversissima da quella reale. Veramente Matrix.
Ecco, se così fosse, se i complottisti avessero ragione, mi chiedo: perché limitarsi a fare post sui social? Cioè, non sarebbe una roba enorme, da sconvolgerti la vita? Anche solo uscire e respirare, non sarebbe un suicidio? Perché sono così tranquilli? Perché non scendono in piazza a milioni (saranno milioni già solo in Europa, no?) a rovesciare governi, incatenarsi ai parlamenti, fuggire sulle cime delle montagne?
Niente, fanno i post sui social.
Mettono le faccine con le siringhine.
No, dai, fateci caso: mettono le faccine sghignazzanti e le siringhine! Questa è la loro massima espressione di dissenso.
Poi ad Agosto prendono un aereo sapendo che là sotto è tutto piatto e un errore del pilota potrebbe farli trovare nel nulla senza niente sotto.
Poi aprono le finestre e gli entra in casa la scia chimica appena spruzzata.
Poi girano col cellulare in tasca, nonostante tutto quel che sanno su come ci spiino.
Però non mettono la patente sull'app IO perché sennò lo Stato li controlla. Lo Stato che la emette e ce l'ha già.
Insomma, questi complottisti o non sono veramente convinti delle loro teorie oppure sono incredibilmente passivi.
Tipo le pecore.

In Israele avranno stappato bottiglie di champagne: dopo una intera settimana in cui l’ospedale Kamal Adwan è stato bomb...
26/11/2024

In Israele avranno stappato bottiglie di champagne: dopo una intera settimana in cui l’ospedale Kamal Adwan è stato bombardato quotidianamente e ripetutamente con ogni tipo di arma, finalmente l’esercito israeliano è riuscito nell’eroica impresa di ferire il direttore dell’ospedale, Hossam Abu Safiya.

Il motivo di tale accanimento è presto detto: l’ospedale è situato tra il campo profughi di Jabalia e la città di Beit Lahia, ovvero nel bel mezzo della zona in cui Israele da due mesi sta conducendo una criminale e spietata campagna di pulizia etnica finalizzata all’annessione di quasi metà della Striscia (nella foto, Jabalia vista da satellite un mese fa e le rovine di oggi), ed è uno dei pochissimi punti di riferimento per una popolazione allo stremo.

Un mese fa l’esercito israeliano ha direttamente invaso armi in pugno l’edificio, ha distrutto o sequestrato tutte le ambulanze danneggiando pesantemente la struttura e, per buona misura, ha prelevato, incappucciato, picchiato e portato via molti pazienti e quasi tutto il personale medico (dei quali non si sa più nulla). La foto qui sotto, orgogliosamente postata dall’account Twitter gestito dal Mossad come segno di vittoria, mostra il cortile dell’ospedale con una fila di persone anziane, con grucce e flebo ancora attaccate al braccio, obbligate a restare praticamente n**e di notte e al freddo in attesa di essere deportate verso luoghi di prigionia e tortura.

Al direttore dell’ospedale i militari hanno intimato di chiudere ciò che restava: Abu Safiya si è rifiutato di abbandonare le migliaia di civili che resistono in ogni modo alla pulizia etnica, e così l’esercito ha ammazzato il suo figlio quindicenne.

Israele però non è ancora riuscito a scacciare via tutti i civili dalla zona che desidera conquistare e quindi, come d’abitudine ha alzato ulteriormente il livello dei suoi crimini. Nell’ultima settimana l’ospedale è stato bombardato ogni giorno, più volte al giorno, senza nessun preavviso, prendendo di mira i generatori, i medicinali, l’impianto idrico, l’impianto elettrico, le linee di distribuzione dell’ossigeno e, naturalmente, il personale.

Per assicurarsi di riuscire ad uccidere o ferire il maggior numero possibile di persone l’esercito ha scelto di impiegare sull’ospedale una delle armi più disumane del suo arsenale: la bomba a frammentazione.

Tali armi sono costituite da cilindri pieni di esplosivo e foderati con migliaia di millimetrici cubetti di tungsteno, un metallo raro estremamente duro e talmente denso che un un cubo di 4 cm di spigolo pesa più di un chilo. Quando l’esplosivo scoppia, i microscopici cubetti vengono scagliati in tutte le direzioni uccidendo o ferendo gravemente chiunque si trovi nel raggio di 20 metri dall’esplosione: sono infatti in grado di penetrare facilmente la carne e distruggere tutto ciò che attraversano, sbriciolando letteralmente le ossa e devastando i vasi sanguigni. Oltre a ciò, il tungsteno è fortemente cancerogeno: in uno studio su topi in cui sono stati impiantati cubetti di tungsteno identici a quelli delle bombe si è mostrato che il metallo, se rimane sottopelle, induce tumori metastatici nel giro di pochi mesi nel 100% dei casi.

E’ proprio una di queste bombe, normalmente destinata all’impiego contro la fanteria, che sabato notte ha ferito il direttore Abu Safiya a una coscia, provocandogli un forte shock doloroso e danneggiando i suoi vasi sanguigni, portando a venti il totale di lavoratori dell’ospedale feriti nel giro di tre giorni. Mezzo metro più su e sarebbe stato colpito al torso e con ogni probabilità ucciso.

Eppure, anche mentre gli venivano prestate le prime cure, in un discorso inframmezzato da smorfie di dolore il dottor Safiya ha reiterato che ad abbandonare i civili palestinesi non ci pensa nemmeno, nè lui nè tutti gli altri che ancora rimangono in piedi: “è un onore per me servire in questo ospedale”, “anche se il servizio che siamo in grado di offrire è limitato, continueremo a farlo fino all’ultimo, anche se dovesse costare la vita”.

Abu Safiya è perfettamente consapevole che il mondo ignora deliberatamente i gravissimi crimini compiuti da Israele, ma nonostante ciò continua incessantemente a fare appelli all’ONU, all’OMS e a chiunque abbia il potere di fermare il progetto di sterminio e colonizzazione. Ieri ha diffuso un video particolarmente potente, in cui viene ripreso tutto il personale ferito da Israele negli ultimi tre giorni e si reitera l’appello alla comunità internazionale per bloccare gli spudorati crimini israeliani contro l’ospedale, i suoi lavoratori, i suoi pazienti.

E, incredibilmente, già oggi, nonostante non siano passati neanche due giorni dal ferimento, il dottor Abu Safiya ha preso una stampella e ha ricominciato ad assistere i suoi pazienti. Nell’ennesimo appello rivolto al mondo affinchè intervenga a fermare la follia genocida è come sempre calmo, riflessivo, gentilmente determinato.

L’altro giorno mi è capitata la ventura di guardare la trasmissione simbolo dei sedicenti progressisti italiani, in cui Fabio Fazio “intervistava” Jannik Sinner dopo la vittoria alle ATP Finals. Uso le virgolette perchè in realtà non era un’intervista, ma un panegirico da autentico esaltato: Fazio, visibilmente alterato dall’emozione e con uno sguardo adorante, ha ricoperto l’imbarazzato tennista di lodi sperticate e talmente esagerate da risultare ridicole, ostentando commozione come se si trovasse al cospetto di Gesù, la Madonna e tutti i santi. “La determinazione che hai.. io non so come fai. Hai una lucidità di gioco, una.. ma sei pazzesco, pazzesco, guarda. Ma tu ti vedi? Ma tu ti commuovi a vederti, porcaccia la miseria?”, e via discorrendo, sette minuti filati di adorazione capaci di far ve**re il diabete pure ad Attila l’Unno.

Un giorno, se la specie umana sopravvivrà alla catastrofica escalation di follia attualmente in corso, bisognerà inventare una nuova unità di misura per stimare la profondità dell’abisso in cui la nostra società attuale si trova a sguazzare. Da una parte, un onesto personaggio che per lavoro prende a racchettate una pallina guadagnando in cambio centinaia di milioni viene esaltato come un nuovo Messia davanti al quale rotolarsi nel fango della piaggeria. Dall’altra, un uomo che incarna le virtù cardinali della ca**tà e della fratellanza, che ha subito l’assassinio di suo figlio e testimoniato la strage di altre centinaia di innocenti, e che dedica la sua esistenza alla cura del suo prossimo, mettendo sul piatto la sua nuda vita di fronte a un intero stato scatenato e iperpotente che vuole sterminare la sua gente, riceve come premio una fatica immane e continue e indicibili sofferenze.

Chiunque abbia un minimo di cervello dovrebbe averlo ormai capito bene: una società che esalta ridicolmente il primo e nasconde deliberatamente l’esistenza stessa del secondo consegnandolo di fatto al martirio non ha altra meta che l’autodistruzione. Solo recuperando il senso della solidarietà, dell’ascolto, dell’empatia può esserci un futuro, ma temo non basterà avvisare del pericolo: “Le persone non ascoltano fino a quando non sbattono contro un muro”, diceva mio padre… e stavolta il muro lo prenderemo in pieno.

[testo di Ettore Ferrini]

https://alessandroferrettiblog.wordpress.com/2024/11/25/israele-lancia-bombe-a-frammentazione-per-ammazzare-medici-e-infermieri-nel-nord-di-gaza/

Caso Netanyahu, caos di Governo"io sono Giorgia, sono donna, sono madre,sono cristiana".Così due anni fa.Mancando di agg...
25/11/2024

Caso Netanyahu, caos di Governo

"io sono Giorgia, sono donna, sono madre,
sono cristiana".
Così due anni fa.
Mancando di aggiungere:" sono la Presidente del Consiglio."
Presidente del Consiglio, capo di un Governo che però esprime ben tre posizioni, inconciliabili tra loro, rispetto al mandato di arresto spiccato dalla Corte Penale Internazionale nei confronti di Netanyahu e Gallant.
Tutti gli Stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma con il quale è stata istituita la Corte penale internazionale, inclusi tutti gli Stati membri dell’Unione europea, hanno l’obbligo di eseguire i mandati di arresto emessi dalla Corte.
1) la posizione del ministro della Difesa:

Guido Crosetto: «Aderendo noi alla Corte penale internazionale, in questo caso dovremmo (il condizionale è suo) applicare le disposizioni. E quindi se venissero in Italia Netanyahu o Gallant dovremmo, non per decisione politica, non c’entra nulla, ma per applicazione di una norma internazionale, arrestarli. Oppure dovremmo uscire dal trattato."
Condizionale ed a convenienza, quindi:i trattati sono stipulati con le porte girevoli e la credibilità internazionale è optional per la Difesa.
2) il Ministro dei Trasporti (ma che ci azzecca?)
Salvini: «Conto di incontrare presto esponenti del governo israeliano e se Netanyahu venisse in Italia sarebbe il benvenuto. I criminali di guerra sono altri».
Il solito benaltrista antigiuridico.
3)Il Ministro degli Esteri, Tajani:"vogliamo prima leggere le carte, capire le motivazioni della sentenza, ragionare su cosa sostiene la Corte". Ed ancora, "Valuteremo insieme ai nostri alleati cosa fare e come interpretare questa decisione e come comportarci insieme su questa vicenda».
Per il responsabile degli affari esteri dunque le sentenze contro alcuni si devono interpretare, non è detto che si debbano eseguire e basta.
E Giorgia?
"Valuteremo insieme ai nostri alleati cosa fare e come interpretare questa decisione e come comportarci insieme su questa vicenda". Un caso da portare al G7 il 25 a Fiuggi.
Il nulla (già degli Esteri) più il niente (di Giorgia) .
Insomma, un caso tre caos.

Al di là del bene (a trovarlo) e del male che emerge dalla vicenda, resta il fatto che il Paese, anche su questioni importantissime di politica estera, in verità non ha un Governo, ovvero un'unica entità che responsabilmente prenda una ed una sola posizione all'interno del Consiglio dei MIinistri, ma una serie di promotori di partito, ciascuno volto a distinguersi dagli altri, alla irresponsabile ricerca di consensi imprpbabili.
La serietà è in lutto.

[testo di Gregorio De Falco]

Una rapida considerazione su quanto successo ieri con le parole di Elon Musk.Quasi tutti si sono concentrati su quello c...
15/11/2024

Una rapida considerazione su quanto successo ieri con le parole di Elon Musk.

Quasi tutti si sono concentrati su quello che viene considerato un attacco alla sovranità italiana.
Ora, se ha fatto benissimo il nostro presidente della repubblica a rispondere a tono agli sproloqui del miliardario americano, personalmente trovo che la cosa veramente grave non è tanto chi ha fatto il messaggio, ma il contenuto stesso di quanto detto da Musk.
Di “rimproveri” e intromissione estere sulle vicende politiche italiane infatti, tra ministri francesi e spagnoli che hanno ripetutamente guardato dentro casa nostra, è piena la storia anche recente.
Ciò che veramente risalta negativamente nelle parole di Musk è invece la visione contenuta nella sua critica.
Critica che riguarda il funzionamento dello “stato di diritto”.

ll "rule of law", il "Rechtsstaat", "L'Etat de droit", o comunque lo vogliate chiamare: lo stato di diritto.
Stato di diritto che è semplicemente lo stato dove regna sovrana la legge.
Attenzione, non lo stato dove governa la pura maggioranza dei cittadini, come a quanto pare vorrebbe Musk, ma la legge.
Legge alla quale si devono sottomettere tutti: politici, governanti, cittadini, minoranze e maggioranze, finanche i parlamenti.
Perchè?
Perchè la pura regola della maggioranza non assicura la libertà e il rispetto dei diritti umani fondamentali.
Infatti una maggioranza può sempre votare di uccidere le libertà tout court o negarle per alcuni suoi componenti.
Come ad esempio gli immigrati.
Questo sarebbe perfettamente democratico ma totalmente illiberale.
L'unico modo per poter assicurare nel maggior numero possibile di casi la libertà di tutti, difendere i cittadini stessi contro gli abusi del potere e il rispetto dei diritti fondamentali di ogni uomo e di ogni donna è la codificazione di una serie di leggi fondamentali (la costituzione o le regole formatesi storicamente nei tribunali attraverso un processo evolutivo come nel caso inglese) possibilmente a maggioranza assoluta, a cui tutti si dovranno sottomettere.
Tutti.
A partire dal popolo stesso.

Questa è la vera e grande differenza tra democrazia, che presa da sola può tranquillamente scadere nella demagogia e infine nella dittatura e lo stato di diritto, ovvero quello stato nella quale la democrazia è una delle componenti fondamentali, ma che trova dei limiti nella legge e in chi la deve applicare e che solo grazie a questo limite riesce a tenere unite assieme democrazia e rispetto delle libertà e dei diritti individuali.
Questo è ciò che Musk (e quasi sicuramente anche Trump), vogliono mettere in discussione.
E questo è il vero grande problema del panorama politico occidentale: la volontà di molte forze politiche di eliminare i limiti imposti dalla legge, lasciando però così i cittadini completamente esposti ai voleri dell'autocrate, economico o politico che sia, di turno.
Come nella Russia di Putin.
Non a caso preso a modello da parte di molti personaggi che hanno un simile modo di pensare.

Questo è il vero significato delle parole di Musk e questo è il vero nodo del contendere contro il quale i veri liberali dovranno combattere nel futuro.

[testo di Massimo Fontana]

Negli ultimi vent'anni tutti i capi eletti ad agenti del "male" ed entranti in conflitto aperto con gli agenti del "bene...
21/10/2024

Negli ultimi vent'anni tutti i capi eletti ad agenti del "male" ed entranti in conflitto aperto con gli agenti del "bene" sono stati uccisi. Salvo errori non se n'è salvato uno. Saddam Hussein, Muʿammar Gheddafi, Osama Bin Laden, sino ai più recenti Hassan Nasrallah e Yahya Sinwar.

Per nessuno di loro c'è stato un processo. La loro colpevolezza e il livello delle loro responsabilità sono dati per scontati, come delle ovvietà. Allo stesso modo, la pena da comminare è stata stabilita mediante la decisione deliberata da un capo di governo e non da un giudice o da una corte.

Ora, io capisco bene che il diritto internazionale sia poco credibile non essendo mai riuscito a portare in tribunale criminali di guerra come Bush, Blair e ora Netanyahu. Tuttavia la rinuncia totale al diritto è anche una rinuncia alla civiltà in favore della barbarie.

Uccidere il nemico senza alcuna possibilità di sentire la sua versione, senza inquadrare storicamente le sue scelte, senza definire la complessa rete dei rapporti di forza che hanno motivato le prese di posizione è un atto profondamente regressivo che mostra la debolezza del vincitore. A dispetto del grande dispiegamento tecnologico e militare Israele sta vincendo una guerra esibendo una debolezza civile, culturale e giuridica sconvolgente.

Una volta uccisi tutti i nemici, una volta rasa definitivamente al suolo Gaza e sterminato il maggior numero possibile di palestinesi, che cosa resterà a Israele? Che vittoria sarà la sua? Potrà veramente edificare uno stato sicuro per gli israeliani sulle macerie e sui cadaveri palestinesi facendo valere come base della propria entità statuale l'uso puro e violento della forza autonoma dall'esercizio del diritto?

[testo di Paolo Desogus]

Caro Michele Santoro, ho avuto modo, come tutti, di scorrere i nomi dei candidati che lei e Raniero La Valle avete indiv...
02/04/2024

Caro Michele Santoro, ho avuto modo, come tutti, di scorrere i nomi dei candidati che lei e Raniero La Valle avete individuato per la lista che intendete presentare alle prossime europee e non le nascondo di aver provato, leggendoli, sorpresa e sconcerto.

Non che la sua posizione, soprattutto in tema di guerra in , non sia nota ai più, avendone fatto argomento principale di praticamente tutti i suoi più recenti interventi televisivi. Ma confidavo (ingenuamente, lo riconosco) che la sua sbandierata “equidistanza” la inducesse a compiere scelte più caute, o quanto meno in linea con quell’ostentato pacifismo del quale va fiero. E invece non posso fare a meno di notare che gran parte degli aspiranti europarlamentari che figurano nell’elenco nulla hanno a che vedere con un’idea di pace compatibile col diritto dell’Ucraina ad esistere e sono anzi tutti fieri interpreti di una visione graniticamente anti-occidentale.
Non saprei come altro definire nomi come quello di Vauro Senesi, che finora non ha mai perso occasione di criticare l’invio di armi date all’Ucraina, senza mai fare altrettanto con quelle che la Russia ottiene da altri regimi criminali come Iran e Corea del Nord. E che ha anche più volte criticato Zelensky, rappresentandolo spesso nelle sue vignette con il naso adunco, lo stesso in cui i fascisti disegnavano gli ebrei sulla rivista “La Difesa della Razza”.
Potrei proseguire con Benedetta Sabene, che nel suo “Ucraina, controstoria di un conflitto. Oltre i miti occidentali” ci fa sapere che la condanna all’invasione russa e il supporto all’Ucraina sa di “preghierina rassicurante e stucchevole”, aggiungendo anche che “la dicotomia tra sistema democratico occidentale e autocrazia russa ha una connotazione propagandistica”, come a dire che in fondo Russia e Occidente non sono poi così diversi, parlando anche del mito del neonazismo ucraino come di un “unicum mondiale”, quando il vero unicum è semmai che si parli di estremisti in un paese in cui i partiti estremisti prendono alle elezioi percentuali dello zero-virgola e quasi non hanno rappresentanza parlamentare.
O ancora Ginevra Bompiani, che in tv ripete in modo fedele e pedissequo tutte le fake news della propaganda del Cremlino (“espansionismo” della NATO, basi NATO in Ucraina, Russia circondata e minacciata), senza mai preoccuparsi di argomentare le sue tesi.
E poi Nicolaj Lilin (russo naturalizzato italiano), che si rifiuta persino di chiamare “guerra” quella in corso, preferendo adottare la definizione datale da Putin di “operazione militare speciale”, precisando che si tratta di “operazioni locali limitate”. Lilin d’altra parte si vanta di non leggere la stampa occidentale, che, chissà perché, la definisce invece “invasione su vasta scala”.
Impossibile non menzionare anche il professor Angelo D’Orsi, che, ricorda Repubblica, in un’intervista aveva auspicato che l’intervento russo durasse il tempo necessario “a dare una lezione al governo di Kiev” ed ha poi espresso comprensione per Putin, il quale “sta facendo qualcosa per tutti noi, sta cercando di opporsi all'unipolarismo più bieco”, cadendo però al contempo nella trappola dell’Occidente. D’altra parte ha anche aderito ad iniziative di revisionismo storico promosse dal Cremlino, come quella che mira a negare le responsabilità sovietiche nell’eccidio di Katyn, la strage di 22.000 politici, giornalisti ed intellettuali polacchi, uccisi nel 1940 perché ostili alla comunistizzazione del paese, salvo poi cercare di incolpare del massacro il regime nazista.
Noto che nella lista si è assicurato ci fosse spazio anche per i diffusori di falsità conclamate, come quella secondo cui Kyiv sarebbe stata in procinto di dotarsi di armi nucleari, informazione completamente inventata diffusa dalla TASS e tranquillamente ripresa da Fiammetta Cucurnia, senza alcuna verifica e senza che si sia mai scusata anche solo con chi le aveva creduto. Mi spiace dover menzionare pure la mia concittadina Marta Grande, per due volte deputata grillina, che già nel 2014 si era portata avanti con la campagna anti-ucraina, parlando addirittura di episodi di cannibalismo, portando a supporto delle sue accuse un’immagine tratta in realtà da un film.
E poi ancora Pino Arlacchi, secondo cui l’intervento russo non è che un “eccesso di legittima difesa” e Piergiorgio Odifreddi, convinto anche lui che la NATO abbia “provocato” la Russia, anche se non è dato sapere come.
Non sorprende che alcun di loro siano tra i firmatari anche dell’incredibile appello da lei prodotto ormai quasi un anno fa, con il quale si preoccupava di chiedere pace a chi l'invasione l'ha subita, senza mai condannare chi la guerra l’ha scatenata, come se la morte dei civili e dei militari ucraini fosse colpa dell’ostinazione di Kyiv di volersi difendere e non di chi effettivamente li ammazza.
Capirà che è difficile, dunque, non ricavarne la sensazione che stia chiedendo il voto a noi italiani, per potersi alzare in aula a Strasburgo, nel cuore della democrazia europea, e dire agli ucraini, a nome del nostro paese, dunque anche a MIO nome, che per loro la carta ONU non vale, che a loro il diritto internazionale non si applica. Che, insomma, i paesi che confinano con la Russia sono GIUSTAMENTE meno uguali di altri. Perché il dittatore Putin ha facoltà di privarli del diritto di scelta, di prendersi impunemente i loro territori, di distruggere le loro case, di cancellare la loro lingua e la loro identità culturale. Perché tutto questo è successo e sta succedendo anche ora nei territori occupati (ed è già successo anche con la Georgia), mentre lei e i suoi candidati siete impegnati non già a fare in modo che tutto questo finisca, ma perché l’Ucraina venga privata dei mezzi per opporsi ad un nemico che, lo sapete bene, non si fermerà.

Lei si candida a rappresentare in Europa l'idea agghiacciante che un paese ha il diritto di privare un altro paese della propria sovranità per soddisfare le proprie ambizioni imperiali. Che i rapporti internazionali possano essere legittimamente basati sulla legge del più forte, sulle capacità militari. Un concetto a dir poco paradossale per chi si spaccia per pacifista.
In questo senso credo, però, che almeno il nome della sua lista sia, in fondo, azzeccato. “Pace, terra, dignità”. Esattamente le tre cose che la Russia ha rubato all’Ucraina. Con il vostro assenso, s’intende. Ma, sia chiaro, non con il mio.

[Testo di: Marco Setaccioli]

A Genova la polizia viene invitata a un evento di orientamento formativo presso la stessa scuola Diaz – oggi Pertini – c...
20/03/2024

A Genova la polizia viene invitata a un evento di orientamento formativo presso la stessa scuola Diaz – oggi Pertini – che vide la notte di sangue del 21 luglio 2001. I collettivi studenteschi non ci stanno, e si attirano addosso critiche feroci e minacce di sospensioni per uno striscione. Ma hanno ragione loro. Perché la memoria collettiva va curata e conservata, non forzata a spallate.

Esistono luoghi che hanno smesso da tempo di essere semplici parti dello spazio per assumere un significato anche simbolico e storico, perché rappresentano ferite e traumi collettivi mai guariti. È il caso della scuola Diaz, che oggi ha un nuovo nome – liceo Pertini – ma che è e resterà per sempre la stessa scuola Diaz di quella notte del 21 luglio 2001.

Lo sappiamo noi che all’epoca eravamo al liceo, all’università oppure persone già adulte che assistevano incredule a una delle pagine più vergognose della storia europea. Lo sanno bene però anche le ragazze e i ragazzi che frequentano oggi quel liceo, come è giusto e doveroso che sia, e come ognuno di noi dovrebbe ben capire, perché nella memoria collettiva restano e devono restare indelebili le ombre delle 93 persone pacifiche e inermi che dormivano nella palestra di quella scuola, dopo i tre drammatici giorni del G8, e che furono sorprese nel sonno e pestate a sangue dalle forze dell’ordine: 82 feriti, 63 dei quali trasportati in ospedale, 3 in prognosi riservata. Restano le ombre di 19 persone tra queste, portate alla caserma di Bolzaneto e sottoposte a torture e trattamenti degradanti.

Restano le ombre di 346 poliziotti e 149 carabinieri che hanno partecipato all'irruzione, definita poi da uno di loro “una macelleria messicana”, che è valsa una condanna senza appello della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo. E restano, di conseguenza, le ombre nemmeno troppo metaforiche di uno stato di diritto violato, dell'abuso di potere e di un totale spregio per la democrazia, che si è spinto fino all'incredibile vergogna di fabbricare prove false per giustificare il pestaggio e accusare indegnamente le vittime.

Esistono, forse, paesi che hanno cura dei loro traumi, e che cercano di rielaborare collettivamente quello che è accaduto nei loro confini. Non è purtroppo il caso dell'Italia, e non è certo il caso della scuola di Genova che ora si chiama Pertini e che un tempo si chiamava Diaz, in cui da anni i collettivi studenteschi e vari consiglieri comunali cercano - incredibilmente senza alcun esito - di far affiggere almeno una targa che ricordi quello che è accaduto lì dentro nella notte del 21 luglio 2001.

Non è il caso dell’Italia, dal momento che ancora oggi, nel marzo dell'anno 2024, in quella scuola accade qualcosa di inaccettabile. Accade che nell'ambito delle 30 ore di orientamento formativo venga invitata anche la polizia di stato, “per descrivere le prospettive di studio e lavoro all'interno di quel percorso”. E accade, di conseguenza, che la reazione del collettivo studentesco sia ferma e decisa: “A pochi giorni di distanza dalle violente cariche della polizia contro gli studenti di Pisa, Firenze e Napoli”, scrivono nel loro primo comunicato, “rifiutiamo che la polizia, proprio in una scuola così simbolica come la nostra, possa ve**re a fare lezione, come se niente fosse”.

In un paese normale, questa sarebbe una reazione quantomeno prevedibile, che darebbe vita a una normale dialettica democratica. Certo, in un paese normale non sarebbe esistita nemmeno la notte della Diaz, ma in qualunque caso oggi, con quella ferita nella propria storia, le istituzioni dovrebbero ricevere qualsiasi protesta pacifica e argomentata per quello che è, e con il dovuto rispetto. Così dovrebbe essere. La dirigenza scolastica fa una proposta divisiva, e la popolazione studentesca oppone il suo prevedibile dissenso; un dissenso che per inciso - visti appunto i fatti di Pisa, Firenze e Napoli - sarebbe lecito anche se non si trattasse di quella scuola. Tanto più che non stiamo parlando di azioni violente, e neanche di poliziotti a cui sia stato fisicamente impedito di entrare o di parlare. Il casus belli qui è un semplice striscione affisso ai cancelli, che dice “Fuori la polizia dalla Diaz”. Tutto qui. Ma basta per una serie di reazioni scomposte da parte dell’opinione pubblica.

Il deputato leghista Francesco Bruzzone, poi, dichiara la solita acritica solidarietà alle forze dell'ordine, come se uno striscione potesse fare del male quanto un manganello; dopodiché offende gravemente studentesse e studenti, accusandoli di essere nientemeno che “nostalgici degli anni di piombo”.

Nel 2001 in Italia si è vista “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale”, come da definizione di Amnesty International; e questo vuol dire molte cose. Vuol dire, per esempio, che quello della scuola Diaz non è stato solo un episodio, ma una pagina di storia da ricordare e da studiare a fondo nei decenni che verranno, perché ci racconta ancora oggi che cosa siamo. Non è accaduto altrove, e ci sono voluti anni per togliere dagli occhi dell'opinione pubblica il fumo denigratorio che negava le responsabilità enormi delle istituzioni. Ci sono voluti anni, ma anche istituzioni internazionali come appunto la Corte di Strasburgo o Amnesty International. In Italia, invece, anche una colpa conclamata può essere ancora negata, al punto che alcune persone – e alcuni politicanti – tornano ad affannarsi goffamente per denigrare chi esercita il proprio inviolabile diritto alla memoria dei fatti.

In questo paese è possibile avere generali delle forze armate che continuamente in prima serata in tv e sulle prime pagine dei giornali si lamentano di non poter esprimere le proprie idee violente e divisive; è possibile assistere a cariche insensate della polizia contro ragazzini delle medie che finiscono in pediatria con la testa rotta; ma a quanto pare non è possibile esprimere una posizione netta, ancorché non offensiva, con uno striscione senza essere definiti nientemeno che nostalgici del terrorismo.

Il collettivo studentesco è formato da ragazze e ragazzi che stanno cercando di vivere in un presente, quello sì, violento e preoccupante, fatto di guerre, ingiustizie e incertezze. Sono persone che, in episodi come questo, sembrano a volte più adulte e preparate di chi occupa sedie nelle istituzioni. Non hanno bisogno di appelli paternalistici al silenzio e allo studio, meritano semmai che venga loro riconosciuto il diritto di ricordare che il luogo in cui crescono è stato uno spartiacque nella storia del nostro paese.Sono persone consapevoli, anche, di frequentare una scuola che oggi è intitolata a Sandro Pertini, partigiano che un regime ripudiato dalla nostra Costituzione ha incarcerato per le sue idee, diventato poi un presidente tra i migliori della nostra Repubblica: “Onorare il suo nome e il suo operato riteniamo sia una responsabilità importante da non trascurare”, dicono i ragazzi e le ragazze del liceo Pertini, già Diaz, in un loro comunicato, insegnando civiltà e consapevolezza politica a un paese che avrebbe il compito di occuparsi del loro futuro e della loro istruzione.

[testo di Paola Ronco e Antonio Paolacci]

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