Radio del GEI Amica Castellammare del Golfo

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Radio del Gei-Radio Amica Castellammare
nasce dalla volontà di alcuni soci del CAI, club alpino italiano, e GEI, Gruppo escursionisti Inici, di creare un settore informativo autonomo che si avvale³ della collaborazione di Radio Amica Partinico

Lo scopo è quello di diffondere musica ed informazioni che promuovano prevalentemente il rispetto ambientale, territoriale e culturale, a titolo volontario e gratuito.

📸Ecco alcune foto dei momenti speciali che noi amici di Radio del Gei – Amica Castellammare abbiamo vissuto nei giorni s...
15/11/2025

📸Ecco alcune foto dei momenti speciali che noi amici di Radio del Gei – Amica Castellammare abbiamo vissuto nei giorni scorsi nel caratteristico museo delle attività marinare “Uzzareddu”.

Qui Antonino Paradiso, "zzu Ninu", maestro di arte marinara, ci ha guidati tra attrezzi, racconti e memorie della nostra tradizione legata alla pesca, spiegandoci con passione la sua attività e il valore di questo straordinario patrimonio culturale.

💟A rendere tutto ancora più autentico è stata la splendida e gentilissima moglie di Nino, che ci ha accolti con una degustazione di piatti tipici dei pescatori: un vero e proprio momento di cena culturale, ricco di sapori e calore umano.

È stata un’esperienza affascinante e preziosa.
Grazie di cuore per l’ospitalità: torneremo sicuramente!

15/11/2025

🫶Noi amici di Radio del Gei – Amica Castellammare nei giorni scorsi abbiamo vissuto un momento davvero speciale all’interno del caratteristico museo delle attività marinare “Uzzareddu”.

Qui Antonino Paradiso, maestro di arte marinara, ci ha guidati tra attrezzi, racconti e memorie della nostra tradizione legata alla pesca, spiegandoci con passione la sua attività e il valore di questo straordinario patrimonio culturale.

💟A rendere tutto ancora più autentico è stata la splendida e gentilissima moglie di Nino, che ci ha accolti con una degustazione di piatti tipici dei pescatori: un vero e proprio momento di cena culturale, ricco di sapori e calore umano.

È stata un’esperienza affascinante e preziosa.
Grazie di cuore per l’ospitalità: torneremo sicuramente!

📹Di seguito uno stralcio del video che abbiamo fatto

https://www.facebook.com/share/17KfVJDs8Y/
12/11/2025

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Il Bianco Segreto delle Caldarroste Siciliane

In autunno, in Sicilia, è impossibile attraversare una piazza senza incontrare il castagnaro.
Sta lì, avvolto in una nube che pare nebbia di montagna trasportata in città, e in quel fumo c’è qualcosa di antico: un richiamo, un teatro, un mestiere che non ha bisogno di annuncio.

Le castagne che usa non sono castagne qualunque.
Si chiamano marruna, cresciute sui fianchi dell’Etna, dove il terreno lavico si mescola a secoli di cenere e minerali. E già qui, c’è la prima variabile chimica che fa la differenza: un suolo ricco di microelementi che conferisce aroma, dolcezza e una sbucciatura sorprendentemente facile.

Ottobre e novembre: mesi di fumo, mani che si scaldano sul “cuoppo” di carta, conversazioni che si accendono come la brace.

La Sicilia ha un modo tutto suo di arrostire le castagne.
Non la padella bucata, non il tamburo rotante.
Qui c’è il fùcuni a castello: un tubo alto, stretto, con la brace in fondo e le castagne in cima.
Un camino più che una griglia.
È fisica elementare, ma anche poesia dell’aria calda.
La brace scalda l’aria → l’aria sale → le castagne si cuociono nel respiro del fuoco, non nella fiamma.
Questo semplice dettaglio riduce la formazione di sostanze indesiderate, quelle stesse che, altrove, rendono una caldarrosta più simile allo scarico di una vecchia berlina Euro2 ca marmitta spunnata.

Dove altrove si arriva facilmente a 585 ng/m³ di IPA (idrocarburi policiclici aromatici), qui siamo intorno ai 48 ng/m³.
Non perché in Sicilia si sia santi, ma perché il calore è mediato, non violento.

E quel bianco? Quella buccia chiara quasi irreale?
Qui entra in scena il trucco antico, raffinato nella pratica e quasi mai spiegato:

il sale grosso. Tanto. Molto più di quanto servirebbe per sale.
Il sale ha due proprietà fondamentali:
è igroscopico → assorbe l’acqua, e quindi asciuga la castagna velocemente;
a temperature elevate, parte del cloruro di sodio fonde, e il sodio elementare liberato imbianca la buccia (lo stesso effetto che si usa per sbiancare il legno).

E quando il sale, durante le “arriminate” (le vigorose scosse del cestello), scivola sulla brace ardente?
Ecco le fumate bianche, il soffio improvviso, quasi una sigaretta dell’Etna in miniatura.

Il castagnaro non lo spiega.
Lo sa
Per lui è normale come il fatto che la vita vada così: a volte bruci, a volte asciughi, a volte fumi.

Poi arrivano a te.
Nel cuoppo di carta, ancora calde.
Morbide, dolci, quasi cremose se ben fatte.
E tu le mangi, soffiando, come tutti, senza pensarci troppo.

E forse — proprio in quel momento — capisci che stai mangiando storia e scienza e che ciò che sembra “semplice” è quasi sempre frutto di chimica, tecnica, memoria e un pizzico d’ingegno siciliano.

Che non è poco.

Fonti: catania.italiani:- Il “castagnaro”, segreti e curiosità di Sabrina Portale; Il signor Turi da castagna che si ringrazia (così ha voluto essere citato)che ha voluto concederci la possibilità di ispezionare il proprio fucuni ed effettuare le nostre misurazioni.

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08/11/2025

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La notizia è un fulmine a ciel sereno, di quelle a cui non vuoi crederci. Il Maestro Beppe Vessicchio non sarà più con noi su questa terra. È improvvisamente mancato lasciando tutto il suo profumo, sono migliaia gli artisti che lo ricordano, infiniti i commenti di tristezza per aver perso il Direttore d’orchestra più amato di tutti. Un uomo buono e colto, innamorato della musica e di ciò che muove la vita. “Tutto suona, noi tutti suoniamo, e risuoniamo per empatia” amava parlare delle onde sonore ai giovani, di come la musica faccia parte di noi dentro e fuori. Il canto prima della parola. Ho avuto il grande onore di conoscerlo e lavorare accanto a lui, una stima reciproca che non dimenticherò mai, un uomo unico. Di poche parole e di tanta presenza, come uno sguardo, un suono, una canzone.
Ciao Grande Maestro, non dovevi lasciarci così presto.
Antonio Federico art per Umanità Illustrata

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04/11/2025

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Si forti n’acitu

In Sicilia, certe parole non si dicono: passano dalla bocca come un assaggio
L’espressione “si forti n’acitu” non è solo un modo di dire: è una miniatura dell’anima, un giudizio insieme tenero e tagliente, come sanno esserlo i siciliani.

Immaginate l’aceto — quello vero, forte, pungente — come una piccola prova d’esistenza.
L’acido acetico che penetra, scioglie, modifica le fibre. Rende morbido ciò che era duro, smorza ciò che era troppo, conserva ciò che merita di restare.
E così, in cucina, c’erano cibi che l’acitu lo reggevano:
i carduna, le alivi frische, la zucca in agrodolce, la caponata che, senza quell’aspro, sarebbe solo una malinconia di melanzane stanche.
Se, dopo giorni nell’aceto, un cibo restava intenso, integro, se stesso, si diceva:
“Chistu è forti n’acitu.”

Da lì, è passata naturalmente alla parlata.
Uno forte n’acitu è chi non si ammolla, chi ha preso la vita dritta allo stomaco e invece di disfarsi ha preso più sapore.
Non è cocciuto: è temprato.
Non è arrogante: è resistente.

“Chissu ne ha passatu assai… e ancora sta drittu.”
È rispetto.
È riconoscimento.

Ma — e qui sta la Sicilia che ride mentre filosofa —
la stessa frase può diventare burlesca, ironica, un po’ teatrale.
Si dice anche per punzecchiare chi si vanta troppo della propria forza, o chi fa la faccia dura ma ha l’anima fatta di pasta frolla.
Come a dire:

“Eh, sì, sì… forti n’acitu…
bastò un raffreddore e finisti o’ lettu curcatu!”

È un sorriso che smonta l’eroismo di cartapesta.
È uno specchio che riflette la vacuità della tempra esibita, quelle forze sbandierate che si sciolgono alla prima goccia di amaro.

Perché, in Sicilia, non basta dire di essere forti:
bisogna sapirlo reggiri l’acitu.

E allora, alla fine, resta questo:
Ci sono cristiani che si sciolgono al primo assaggio della vita, altri — come l’oliva buona —
che ci puoi versare tuttu l’acitu du munnu, rimangono quiddri ca su’.
E lì, senza farsene un vanto, li riconosci.
“Chissu, sì… chissu è forti n’acitu.”

02/11/2025

LA FESTA DEI MORTI IN SICILIA
Molti di noi possono ancora ricordare come fino a qualche decennio fa, in Sicilia, la festa dei morti era una delle ricorrenze più attese dell’anno, soprattutto dai bambini. Non era una giornata triste, come si potrebbe pensare, ma una celebrazione ricca di gioia.
Secondo la tradizione, durante la notte tra l’1 e il 2 novembre, i defunti tornavano nelle case dei loro cari per portare doni ai bambini. Si diceva che i regali fossero destinati solo a chi si era comportato bene; mentre a chiddi chiu tosti sarebbe toccato solo carbuni niuru. Ma, come in tutte le belle favole, alla fine i mutticeddi non dimenticavano nessuno, e anche i bambini più vivaci trovavano un dono ad attenderli.
La vigilia della festa era un momento di grande emozione. Ogni bambino preparava un posto speciale dove i morti, durante la notte, avrebbero lasciato i regali: un tavolino, una sedia, o semplicemente un angolo della propria casa. La sera, si andava a dormire presto, con la speranza che la notte passasse in fretta. In molti pensavano: “Prima mi cuccu e prima agghiorna”, cioè, prima vado a letto e prima arriva il giorno tanto atteso.
La mattina del 2 novembre, ogni casa era una esplosione di gioia: i bambini correvano a scoprire i doni ricevuti, convinti che fossero arrivati davvero dai loro nonni o bisnonni ormai lontani. E anche se, crescendo, si scopriva che dietro a quel piccolo miracolo c’erano in realtà i genitori, la magia non svaniva. Anzi, restava nel cuore come un modo speciale per sentire ancora vicini i propri cari defunti. Anch’io ciò creduto per lungo tempo! Anche quando, ormai cresciuto, il mio compagno di banco, certamente più furbo di me, mi confidò che era tutto finto e che erano i genitori, rispettosi delle tradizioni, a comprare i regali. Anche allora, io passuluni ho continuato a crederci! In fondo, non volevo abbandonare l’idea che i miei tre nonni (mai conosciuti) pensassero a me portandomi dei regali.
Quella dei morti era una festa straordinaria, capace di unire memoria e gioia, spiritualità e gioco. Era un’occasione per mantenere vivo il legame con chi non c’era più, trasformando il ricordo in affetto e il lutto in speranza.
Dopo la scoperta dei regali, iniziava una giornata di festa: i bambini uscivano nei cortili, per strada o in piazza, mostrando orgogliosi i loro doni e condividendo la felicità con gli altri. Tutti dovevano vedere, tutti dovevano partecipare alla gioia.
Oggi, questa usanza si è in parte perduta, sostituita da altre ricorrenze, ma chi l’ha vissuta la porta ancora nel cuore. Per molti siciliani, la “Festa dei Morti” resta uno dei ricordi più teneri dell’infanzia: un sogno che profuma di casa, di famiglia e di amore che non finisce mai. (G.C.)

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