18/09/2025
IL FRAGILE CANTO
Abbiamo un'anima che si abbranca a ciò che c'è.
È difficilissimo per lei lasciar andare ciò che è presente, per lanciarsi nel buio del futuro con vuote le mani.
Ma ogni volta che cerchiamo di entrare nel futuro, in un vero futuro, la sua soglia ci chiede sempre di passare nudi.
Passare lasciando andare volontariamente qualcosa che era presente, per entrare in un'assenza che faccia spazio a nuovi riempimenti. Nuove possibilità a prendere il posto dell'acquisito, del conservato, del difeso, del conosciuto.
Non importa se ciò che è presente è poco, scarso, non desiderabile, non sufficiente.
Lasciarlo andare significa morire a quella cosa.
Veniamo chiamati ad accogliere un "Irrimediabile", un "Da qui in poi non si ritorna indietro".
E se è vero che, quando non puoi tornare indietro, allora vuol dire che puoi andare avanti, è anche vero che quell'avanti è zona oscura e temibile, in cui posso introdurmi solo lasciando il controllo, solo affidandomi ad un "sarà quel che sarà".
Che primordiale terrore mettersi nella mani di quel "sarà quel che sarà"!
Che angoscia lasciare il controllo.
Accettare di abbandonare un "cerco di far continuare ad essere ciò che è", per affidarsi ad un "accolgo ciò che sarà", ci fa sentire esposti, in balìa di luoghi di tenebra ove potrebbero essere annidati pericoli e predatori invisibili ai nostri sensi.
E allora ci abbranchiamo a ciò che c'è.
E se qualcosa, gli eventi, qualcuno, la vita, tirano per togliercelo, noi stringiamo le dita più forte.
Non riusciamo neanche a fermarci un momento per dire: ma è davvero così importante per me trattenere questa cosa?
Non ci soffermiamo a riflettere: ma è davvero buono per me ciò che sto cercando di trattenere?
No.
Nel corpo, se mi martellano il ginocchio, il muscolo della gamba scalcia guidata da un ‘arco riflesso‘, senza prendere in considerazione nessuna alternativa.
Ecco: è come un ‘arco riflesso‘ dei nervi dell'anima.
Se cercate di togliermi qualcosa che ho in mano, la mia anima la tratterrà, stringendola più forte, anche quando si trattasse di un gambo di spine, anche se iniziassero a sgorgare dal palmo stille di sangue.
Ma per fortuna la vita a volte se ne frega.
Per cui arriva e ti strappa quello che ha deciso di strapparti, dilaniandoti, costringendo la tua carne a terribili lacerazioni, ma comunque proiettandoti nel nuovo, nel futuro, in qualche nuova esistenza che mai avresti immaginato, né desiderato, ma che comunque sarà lì a farti veleggiare per nuovi oceani.
Non necessariamente migliori, né forse peggiori, ma comunque nuovi. Altri te, che esplorano l'umano vivere.
Nuovi te che prima non c'erano e ora ci sono.
Se cerchiamo la tranquillità, questo potrebbe non piacerci affatto.
Perché questo non ci assicura di essere più sereni e contenti.
Però ci rende sicuramente più vivi.
E le due cose, ovviamente, non vanno sempre di pari passo.
E quindi ecco: se inseguiamo la tranquillità, o quantomeno una speranza di maggiore sicurezza, allora questo abbrancarsi dell'anima potrebbe avere senso, e magari non c'è alcun male a lasciarglielo fare.
Ma se ciò a cui siamo interessati è la Vita, allora saremo chiamati a qualcosa di davvero difficile e non spontaneo:
comprendere quanta vita è nascosta in tante piccole morti, e imparare dunque a compiere innumerevoli piccoli suicidi.
Non aspettare che sia la vita a strapparci ciò a cui la nostra anima si è abbrancata, ma alcune volte trovare la forza di lasciar andare noi, di ucciderci noi a quella cosa, di donarci noi a quella morte.
È probabilmente la cosa più difficile che un essere umano possa cercare di imparare a fare:
Imparare a morire.
Imparare addirittura a darsi la morte.
Darsi volontariamente la morte su ciò che non è più sufficientemente vitale.
Darsi la morte per vivere di più, vivere meglio, vivere ancora.
Perché in qualche modo è nel sapere aprire le mani e lasciar andare, l'unico modo vero di stare con il flusso.
Scivolare dentro questo incredibile, misterioso, assurdo, immenso fluire.
Non abbrancarci a niente, ma scorrere con lui, percependo il vento sul viso, il vorticare dell'equilibrio, il carnevale di luccichii negli occhi e gli spruzzi di spuma sulla pelle.
Come quando da bambini ci piaceva farci travolgere dalle onde.
Abbandonarci al turbinio.
Avere fiducia che, dopo essere stati sotto, saremmo riemersi a respirare nella brillantezza del sole.
Arrenderci alla potenza dei cavalloni, fregandosene di ciò che sarà.
È questa la prova più difficile per un essere umano:
Imparare a darmi incessantemente alla morte,
per darmi incessantemente alla vita,
in allegria e in tristezza,
in sventura o fortuna,
finché il pulsare del mio cuore
batterà il suo fragile canto.
Grazie quando condividete, aiutando così la pagina a crescere.
Grazie quando mi parlate.
Bruno