14/12/2025
Chapeau all’Australia, che per prima ha avuto il coraggio di fare ciò che molti pensano e pochi osano dire: vietare l’accesso ai social network ai minori di 16 anni.
Una scelta che non nasce dal rifiuto del progresso, ma dal riconoscimento di un rischio reale: concedere potenti strumenti a giovani poco più che bambini, senza aver prima insegnato loro come usarli.
Il problema, infatti, non sono i social in sé, ma l’assenza di educazione al loro utilizzo. Saper fronteggiare l’uso senza scivolare nell’abuso, riconoscere una dipendenza, distinguere profili autentici da quelli falsi, avere gli strumenti per parlarne e denunciare: tutto questo non si improvvisa.
Per questo il divieto può avere senso, ma solo se accompagnato da un investimento serio sull’educazione digitale. Il futuro dei nostri ragazzi passa anche da lì, ed è ineludibile. Come diceva un saggio, possiamo essere fruitori di tutto ciò che il mondo offre – intelligenza artificiale compresa – senza mai diventarne dipendenti.
Educare all’uso consapevole, riconoscere i segnali dell’abuso, intervenire prima che la dipendenza si strutturi. È da qui che bisognerebbe partire.
Sappiamo anche che la dipendenza da digitale esiste, al pari delle altre. Attiva le stesse aree cerebrali e lo stesso circuito della ricompensa dopaminergica. Negli adolescenti, l’uso prolungato è associato a immaturità e alterazioni della sostanza bianca, le vere “autostrade” neuronali che permettono il controllo degli impulsi e la pianificazione.
Chi lavora sul campo riconosce sintomi di astinenza simili a quelli delle tossicodipendenze: irritabilità, aggressività, ansia, rabbia, cambiamenti del carattere quando lo schermo viene tolto.
Tutto questo, purtroppo, fatica ancora a essere metabolizzato dalla società, dal sistema educativo e dalle famiglie!
A questo si aggiunge un rischio enorme, spesso minimizzato: quello degli “orchi digitali”.
La rete è uno spazio aperto, abitato anche da predatori, adescatori, manipolatori. Lasceremmo mai un bambino solo in una stazione alle tre di notte? Eppure spesso lo lasciamo con il cellulare in mano senza filtri, da soli, senza nessuna allerta!
I dati della Polizia Postale parlano chiaro: 700 siti inseriti nella blacklist, 900 perquisizioni, 1.100 indagati, 2.800 reati di pedopornografia e adescamento e tra le vittime di adescamento, il 6,8% ha meno di 9 anni.
Significa che bambini molto piccoli entrano in contatto con estranei, mentre intorno si aggirano veri e propri orchi.
L’AI, inoltre, viene già utilizzata da pedofili come chatbot: programmi capaci di interagire con i minori, imitarne il linguaggio, intercettarne le fragilità, costruire fiducia restando comodamente seduti in poltrona.
Ecco perché il vero tema non è solo vietare o consentire, ma costruire una cultura del digitale che oggi semplicemente non esiste e che andrebbe estesa alla scuola e alle famiglie.
Il divieto australiano non è una resa, ma un segnale. Sta a noi decidere se restare spettatori o aprire gli occhi e agire di conseguenza!
Lo Monaco-