27/06/2025
Certo, tra Isacco e Ismaele, i “fratelli diversi” della Bibbia, non deve essere corso buon sangue. Ma perché oggi sono così flebili le voci ebraiche che chiedono uno stop ai massacri israeliani a Gaza? Possibile che nel mondo ebraico, italiano e internazionale, sia cresciuto un tale odio o, quantomeno, una glaciale indifferenza non dico per la “causa” palestinese, ma per la semplice sopravvivenza di un popolo che ha lo stesso diritto di Israele di vivere dignitosamente nella terra che gli è toccato in sorte di abitare? Possibile che un popolo perseguitato per secoli non faccia una piega nel vestire i panni del persecutore?
Qui non si tratta – come dicono alcuni – di difendere il diritto all’esistenza di Israele: si può essere sionisti e, contemporaneamente, provare repulsione per la politica criminale di Netanyahu. È il caso di personalità coraggiose come Gad Lerner o Anna Foa. Ma si tratta, appunto, di voci minoritarie – e anche parecchio malviste – nella comunità ebraica italiana. Il paradosso è che è più facile criticare il governo israeliano in Israele (si vedano le contestazioni di piazza a Tel Aviv) che non nelle comunità della diaspora. Il che, se in parte è comprensibile, per altro verso è decisamente problematico.
Comprensibile perché l’ebraismo non è solo una religione, ma anche l’appartenenza a un popolo e a una terra. Dunque, per molti non difendere Israele quasi come abiurare a un pezzo della propria identità. D’altro canto, se vale il principio della difesa a oltranza di ogni azione compiuta in nome dello Stato, a prescindere dalla bontà del suo governo o dalla liceità dei comportamenti del suo esercito, si rischia di finire in un cul-de-sac morale da cui è impossibile ve**re fuori. Israele, nato come sogno laico e democratico, si è ormai trasformato in una “democratura” a trazione etno-nazionalistico-religiosa. L’ebraismo può sopportare un tale bacio della morte?
Ne parliamo nel numero di Jesus in edicola.
🖊 Giovanni Ferrò
Abbonati a Jesus 👉 https://bit.ly/jesusrivista