04/07/2025
Non mi piace questa cucina modaiola che si vede in tv, questi chef che fanno i divi sfoggiando piatti tecnologicamente perfetti, complicati, ipersofisticati, frullati, sminuzzati e poi “allestiti” in un enorme piatto con scenografie d’effetto.
Mi piacciono invece i cibi semplici e non troppo unti, quelli di una volta; mi piacciono invece le zuppiere tramandate dalle nonne, i piatti della giusta misura, la cucina familiare di tutti i giorni tramandata da solide tradizioni domestiche. Quella cucina che non si preoccupa del peso, delle misure e degli attrezzi adatti, ma viene fatta a occhio, tiene conto dell’istintività dei gesti e dei dosaggi perchè ripetuti un’infinità di volte.
Molte pietanze sono collegate ad un ricordo: la torta che ci faceva trovare la nonna al rientro da scuola, di cui pregustavamo il sapore già fin dalla soglia di casa solo sentendone il profumo, la pasta fresca impastata insieme alla mamma la domenica mattina, i ricchissimi pranzi delle feste di Natale, quelli freschi e appetitosi che ci preparava la zia in vacanza al mare, la frutta matura colta e mangiata sul posto in un assolato ponmeriggio d’estate. Altri si collegano agli insipidi piatti dell’ospedale, a un malessere causato da cibo avariato, a una cena trascorsa in un silenzio rabbioso, a un panino consumato in piedi frettolosamente in attesa al pronto soccorso e così via.
Dunque, basta anche il piatto più semplice per evocare ricordi e suscitare emozioni: attesa, gioia, ritualità, amore, allegria e coccole; oppure freddezza, angoscia, disagio, distanza e solitudine. Quanti ne abbiamo legati alla cucina; e quante memorie infantili sono legate strettamente con l’odore di alcune pietanze, il sapore, il colore, gli oggetti, i luoghi, i tavoli, gli arnesi semplici, le persone che lo preparavano con amore.
Il cibo una volta era espressione e comunicazione di affetti, oggi ha perso molto del suo profondo significato…
Ma i ricordi non cambiano per fortuna: vedo il grande patio sotto un pergolato, al calar del sole, ricoperto da un rigoglioso glicine che diffonde il suo profumo ovunque, regalando ai presenti quasi un senso di stordimento.
Al centro, un tavolo rustico ricoperto da una tovaglia a quadretti, dei piatti semplici; forse pane, formaggio e salame, delle polpette appena fritte, peperoni arrostiti sulla brace e una buona bottiglia di vino, che concilia le confidenze e rende languidi e disponibili; pochi, allegri commensali – amici o parenti – seduti a chiacchierare in tutta rilassatezza di argomenti futili ma anche importanti.
E mi rivedo da bambina, abbandonata sullo schienale di una sedia (di quelle rustiche di una volta, impagliata e fatta tutta di legno), leggermente allungata in avanti, con le gambe sotto il tavolo e assorta nei miei pensieri, ma abbastanza attenta da captare il senso dei discorsi delle persone che sono con me; intanto tendo l’orecchio, cerco di capire se quel suono tanto familiare è prodotto dai grilli oppure se lo immagino soltanto.
Intanto il cielo diventa di un blu cupo e si intravede il luccichio delle prime stelle, quà e là…