No Alla Violenza Psicologica Sulle Donne

No Alla Violenza Psicologica Sulle Donne Questa pagina nasce per informare e confrontarsi sulla violenza psicologica. A questo punto la domanda che dovremmo porci è: come può avvenire un tale processo?

Non è una pagina di auto-aiuto, quindi, è sempre consigliato rivolgersi alle autorità di competenza ed ai servizi specializzati dislocati su tutto il territorio nazionale. Capire cosa sia la violenza psicologica su una donna rimane ancora oggi un tema arduo da
affrontare: nell'immaginario collettivo la violenza viene ancora identificata soltanto con quella fisica o
sessuale, dove "violare" signi

fica prevaricare i confini del corpo, abusare di quello spazio vitale che
delimita l'io dal tu. Eppure la stessa violazione è ancor più facile da attuare a livello psichico: infatti non essendo questa
esplicita non presenta sintomi abbastanza evidenti da poter essere facilmente individuata neanche
dalla vittima stessa. Da un rapporto dell'ISTAT del 2007 risulta in effetti che:7.134.000 donne hanno subito o subiscono
violenza psicologica di cui le forme più diffuse sono l'isolamento(46,7%), controllo(40,7%),
svalorizzazione(23,8%). Di queste il 43,2% ha subito violenza dal partner attuale, di cui 3.477.000 l'ha
subita sempre o spesso, 1.042.000 hanno subito oltre a quella psicologica anche violenza sessuale e
fisica. La violenza psicologica agisce talmente in profondità che i sintomi, quali perdita dell'autostima, senso
di inutilità, depressione, malessere generalizzato, ansia, attacchi di panico, vengono sottovalutati o
annoverati alle cause più disparate. Infatti è proprio l'incapacità di dare un nome a questo senso
generale di disagio che procura la maggiore sofferenza e alimenta i sensi di colpa una volta che la
vittima ne sia divenuta cosciente: la violenza può avere tante forme più sottili ma non per questo
meno dannose. Tutti quei comportamenti che minano l'autostima, la dignità personale, la voglia di vivere sono
comportamenti violenti, anche se non comportano un danno fisico. Ci sono parole "non vali niente",
"non sei capace", comportamenti ( la minaccia, il silenzio che evade le risposte e la comunicazione, la
derisione, il ricatto, la privazione della libertà, la provocazione continua, l'offesa, la disistima) che
nessuna legge punisce e che possono uccidere psichicamente una persona o almeno ferirla in modo
grave e spesso irreversibile. Solitamente la violenza psicologica accompagna quella fisica ma può anche essere totalmente
sconnessa da quest'ultima, in entrambi i casi il messaggio che viene veicolato alla vittima è che essa è
un oggetto privo di valore. Da cui la parola "svalorizzare": se pensiamo per un attimo alla definizione della parola
"valorizzazione", il dizionario recita più o meno così: consentire ad una persona di esprimere
completamente le proprie qualità, capacità e simili"; partendo da questo il suo esatto contrario
sarebbe: non consentire ad una persona di esprimere completamente le proprie qualità, capacità e
simili".. Come si
può rendere una donna vittima di tale forma di violenza? Come si può "non consentire"? Strettamente connessa alla violenza da svalorizzazione è l'isolamento. Esso di fatto è sia il fine sia il
mezzo che prepara e permette il perpetuarsi della violenza sulla donna, in quanto l'uomo inizia a
screditare la donna tra amici e parenti, a litigare e far litigare con loro esprimendo continuamente
pareri negativi su quanti stanno vicino alla partner. Lo scopo è quello di fare in modo che lei non abbia
la possibilità di confidarsi con nessuno, cosicché lui possa agire il suo controllo in modo indisturbato. Infatti una volta rimasta sola la donna senza nessuna possibilità di confidarsi e soprattutto, vedendo
l'ostilità intorno a lei, comincia a insinuarsi in lei il dubbio che effettivamente è una persona "cattiva",
che non vale niente: se tutti l'hanno allontanata un motivo deve pur esserci! Ma le modalità violente arrivano ad essere ancora più subdole, facciamo un esempio: il partner manda
spesso messaggi espliciti usando l'aggressione diretta, "sei un'incapace", "non vali niente", oppure
utilizzando il sarcasmo e la derisione, ad esempio farsi beffe delle sue convinzioni, dei suoi gusti,
mettere in dubbio le sue capacità critiche e decisionali, perchè più spesso non si tratta di quello che
viene espresso a livello verbale quanto piuttosto di messaggi contrastanti, nel senso che dice una
cosa e ne esprime un'altra a livello non verbale, mettendo in questo modo la donna in uno stato di
confusione e nell'incapacità a capire cosa sta succedendo. Nè essa ha possibilità di chiarire, perché
l'interruzione della comunicazione è un'altra delle manovre che l'aggressore instaura; facciamo un
esempio: immaginiamo un uomo che non dice alla sua donna in modo esplicito che è br**ta e
trasandata, ma le consiglia spesso di rifarsi i capelli, di truccarsi etc,etc: il messaggio che passa è
sempre denigrante, e se la donna cerca di comunicare questa percezione negativa ma latente, il
partner risponde che è troppo emotiva e che travisa sempre quello che lui dice a causa delle sue
insicurezze e che le sue intenzioni erano buone. Subentra così il dubbio( "forse sono davvero una
donna insicura", "probabilmente vedo sempre il negativo delle cose"), il senso di colpa di chi inizia a
subire e con esso un tentativo di perfezionismo per cercare di far in modo che il proprio compagno
cambi gli atteggiamenti o l'opinione che ha su di lei. Proprio in quanto si tratta di aggressioni indirette, dice la Hirigoyen, è difficile considerarle
chiaramente come tali e quindi difendersene. Per poco che le parole facciano eco ad un'identità
fragile, a una preesistente mancanza di fiducia, vengono incorporate dalla vittima, che le accetta come
verità. Con queste parole la Hirigoyen sembra tracciare una sorta di profilo della donna-vittima, quindi una
donna insicura, che ha bisogno di continue conferme dagli altri. Infatti solitamente l'aggressore
prende di mira le parti vulnerabili del soggetto, proprio lì dove si annida la sua debolezza. Ma chi non
possiede un punto debole? Chiunque può divenire vittima di violenza, poiché è proprio quello che
diviene l'aggancio per la svalorizzazione, la quale mette a confronto la vittima con le proprie carenze,
traumi irrisolti, incorporazioni negative; queste donne sono forti ma sono vulnerabili perché non
essendo sicure delle proprie capacità devono sempre dimostrare a se stesse di esserlo. Stiamo
parlando di donne naturalmente propense a colpevolizzarsi e proprio a causa di questa colpa
inconscia che cercano in tutti i modi di espiare che diviene facile farle preda di un processo di
autosvalutazione. Freud ci aiuta a capire come la vittima e l'aggressore funzionino secondo lo stesso
meccanismo: una funzione critica molto spiccata, verso l'interno nel primo caso, verso l'esterno nel
secondo. Per dirla in termini freudiani hanno un Super-Io ipertrofico: esso funge da censore e
persecutore interno, sempre pronto a giudicare e a colpevolizzare, frutto, secondo Freud, di divieti
genitoriali troppo rigidi e svalutanti. A causa di questo, le vittime tendono a giustificare il loro
aggressore, e a cercare i punti dove possono aver peccato: se qualcuno può essere così violento ed
arrabbiato con loro, sicuramente è perché hanno fatto qualcosa di sbagliato. L'immagine socialmente condivisa che viene fuori da questo stato di cose è che, la questione della
violenza sulla donna, si traduce nei termini "dell'uomo mostro e della donna masochista". Possiamo allargare i contesti di applicazione di tali dinamiche, per esempio dal contesto lavorativo,
alle violenze psicologiche e svalutanti a cui le donne sono continuamente sottoposte. Partiamo dalla definizione di "molestia sul luogo di lavoro" definita comunemente mobbing:
qualunque condotta impropria che si manifesti attraverso comportamenti, atti, parole o gesti capaci di
arrecare offesa alla personalità,dignità o integrità fisica o psichica di una persona, di metterne in
pericolo l'impiego o di degradare il clima lavorativo. Sempre la Hirigoyen ci ricorda che questa si
instaura quando un soggetto reagisce all'autoritarismo di un capo e rifiuta di asservirsi, che rifiuta un
potere che non condiviso viene imposto. Quindi come possiamo dedurre si tratta di un rapporto
asimmetrico in cui c'è qualcuno che "attivamente" agisce e qualcuno che "passivamente" subisce. Come il concetto di passivo e attivo rimandano nell'immaginario collettivo a quello di femminile e
maschile questo è ancor più vero in tale contesto: infatti è soprattutto la donna ad essere oggetto di
molestie. La molestia è sempre preceduta da una svalutazione della vittima, garantita e condivisa dal
gruppo… e se ci pensiamo per un attimo, quale bersaglio migliore se non la donna? Dalle dinamiche tipiche dei gruppi sappiamo che questi tendono a livellare gli individui, mal
sopportano le differenze, peggio ancora se la differenza significa "donna". In determinati ambiti
lavorativi tradizionalmente riservati agli uomini è davvero difficile per una donna farsi rispettare. I processi che si attivano sono sempre i medesimi. Si destabilizza la donna-vittima veicolando
un'aggressività implicita che mira a svalorizzare le sue competenze, in questo caso professionali, che
se si agganciano a una preesistente mancanza di fiducia, innescano il circolo della violenza: dei
comportamenti mirati dell'aggressore scatenano l'ansia nella donna, il che provoca un atteggiamento
difensivo, causa di nuove aggressioni; infatti l'ansia e la paura di non essere all'altezza provocano
comportamenti disorientati che fungono da alibi per la violenza: "ecco, l'avevo detto che prima o poi
avrebbe dimostrato la sua incapacità". Lo scopo dell'aggressore è proprio quello di mantenere a tutti i costi un potere che vede minacciato
dalla presenza di una donna. Un potere questo che, inevitabilmente, fonda le sue radici culturali e
sociali sin dalla notte dei tempi e che ha la presunzione di definire ciò che è "maschile" e ciò che è
"femminile". Facciamo un passo indietro e pensiamo all'infanzia del bambino e della bambina, pensiamo alla
nostra infanzia: sembra che a maschi e femmine attendano 2 diversi destini: la natura sembra aver
assegnato all'uno un posto di potere e all'altra il posto accanto. Ecco gettate la basi di una relazione di
potere che pende, già dagli inizi, da una parte. Possiamo, a ragione, dedurre che la violenza alle
donne è un fenomeno sociale, quindi accettato e condiviso, causato dalla subalternità delle donne
rispetto agli uomini. Torniamo per un attimo all'infanzia: la bambina viene iniziata da subito alla cura, le viene insegnato a
prendersi cura delle cose e delle persone, a giocare con le bambole, che altro non sono che un
surrogato di una persona: la bambola deve essere vestita, pettinata, fatta mangiare, insomma deve
essere curata. Le viene insegnato a farsi bella perché stasera torna papà, o perché stasera ci sono
ospiti a cena. Vediamo invece il maschietto: gli viene insegnato a fare le gare con le macchinine, a smontare e
rimontare i giocattoli, gli viene insegnato a fare la guerra con i soldatini, a combattere con i mostri, a
identificarsi con l'eroe dei fumetti di turno; quante volte avete detto da piccoli "voglio essere come
superman" o come Batman….in poche parole viene educato a esprimere liberamente le proprie
tendenze aggressive e competitive, perché altrimenti sarebbe una "fe*******ia". Sono forse degli esempi banali ma volevo rendere il più concreto possibile il concetto di educazione
al femminile e al maschile. Questo per arrivare a dire che la bambina viene educata alla repressione
dell'aggressività, e per contro educata alla relazione, come fondamento della sua vita, come
occupazione fondamentale, prima da moglie, poi da madre. La sua vita, è stato già deciso dalle attese
sociali, sarà caratterizzata dalla dedizione totale a qualcuno. Questi sono i modelli che si ripetono di generazione in generazione, che tramandati da madre in figlia
mantengono salda questo tipo di "educazione sentimentale".
È importante quindi per la donna liberarsi innanzitutto dallo stereotipo che la virtù principale di una
donna sia la lealtà nei confronti dell'uomo, l'abnegazione di sé, la sottomissione e la pazienza poiché
l'autonomia e l'affermazione di sé sembrano essere le virtù riservate ai maschi. Ciò che rende un individuo nel senso letterale del termine, cioè "essere non -diviso" è, come
ricordavo sopra, a proposito della valorizzazione come espressione delle proprie capacità, la
costruzione di un'identità propria e autonoma. Dott.ssa Patrizia Costante
(articolo tratto da www.psicologiadonna.altervista.org)


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Si tiene a precisare che questa non è una pagina femminista, ne estremista: si limita a sostenere la causa della violenza psicologica sulle donne in particolare, in quanto è stata creata e viene gestita da due donne che lottano tutt'oggi contro le loro storie nel tunnel della manipolazione.

11/10/2025

La violenza psicologica è subdola e mascherata.
Segui con Matilde D'Errico

26/09/2025

STOP ALLA VIOLENZA SULLE DONNE

▪︎ Non respiro

Foto di Flavio Croce

26/09/2025

"I fidanzati, le fidanzate, si possono cambiare.
Non succede niente.

Anche i mariti e le mogli si possono cambiare.
Non c’è bisogno di fissarsi, perché il mondo è pieno di gente interessante.

Quindi verosimilmente troverete qualcuno di migliore molto prima di quanto pensiate.

Non c’è bisogno di fissarsi su nessuno.
Se qualcuno non vuole stare con voi è liberissimo di lasciarvi.

E voi siete liberissimi di rivolgervi altrove cercando migliori occasioni.

Non costringete nessuno a stare in una relazione che non apprezza.

Non lasciatevi costringere dal senso di colpa a rimanere in relazioni che non vi nutrono.

Quello è l’inferno vero, ragazzi.

Non fatevi ricattare dal punto di vista emotivo.
Nessuno ha il diritto di trattenervi dove non volete stare o dove sentite di non essere apprezzati.

Non dimenticatevelo questo."

-

25/09/2025
13/09/2025

(Siamo al romanzo…)

"Va compreso”, scrive il giudice del tribunale di Torino nelle motivazioni della sentenza che ha assolto un uomo dall'accusa di maltrattamenti sull’ex compagna.

Secondo il magistrato, il pestaggio di sette minuti per cui alla vittima è stato ricostruito il volto con 21 placche di titanio e per il quale ha perso la vista da un occhio, non fu "un accesso d'ira immotivato", ma "uno sfogo riconducibile alla logica delle relazioni umane".
Ancora: lei avrebbe "sfaldato un matrimonio ventennale" comunicando la separazione "in maniera brutale".

Gli insulti e le minacce "pu**ana", "non vali un ca**o", "ti amma**o", “frasi da calare nel contesto della dissoluzione della comunità domestica, umanamente comprensibile".
L'imputato, ritenuto "sincero e persuasivo", resta dunque libero.

L'avvocata di parte civile Baratto: "La sentenza viviseziona e mortifica la vittima, mentre è indulgente verso l'uomo che le ha sfondato il volto".

Maledetti!!
11/09/2025

Maledetti!!

Ma dove vogliamo andare?

Riassunto di un’ingiustizia aberrante.

Lucia Regna viene aggredita dal marito il 28 luglio 2022. Viene quasi uccisa dall'ex marito con un pugno in faccia. Il volto spaccato è stato ricomposto con 21 placche di titanio. Ha un nervo lesionato in maniera permanente. Eppure, come scrive Il Messaggero, “quell'uomo lo scorso giugno è stato assolto dall'accusa di maltrattamenti”.

La Stampa ha riportato le motivazioni per le quali i giudici hanno preso questa decisione. Sono motivazioni allucinanti.

Per i giudici, i sette minuti di violenza non sarebbero il frutto di «un accesso d’ira immotivato e inspiegabile, ma uno sfogo ricondotto nella logica delle relazioni umane». La "colpa" di Lucia sta nell'aver «sfaldato un matrimonio» per una «sua iniziativa personale».

I due stavano insieme da vent'anni e hanno due figli. Cito ancora il Messaggero: “Nella sentenza si legge che Lucia Regna ha «comunicato la separazione in maniera brutale». Gli insulti e le minacce - «pu...a», «non vali...», «ti ammazzo» - vengono definiti «frasi da calare nel contesto della dissoluzione della comunità domestica».

Il giudice di Torino, Paolo Gallo, ha aggiunto che quell'uomo si sentiva «vittima di un torto» perché lei aveva un altro. «Un sentimento molto umano e comprensibile per chiunque». Dunque, l'aggressore va «compreso». La pm Barbara Badellino aveva chiesto 4 anni e mezzo”.

Ma davvero, ragazzi: se nel 2025 tocca leggere e accettare simili sentenze e simili “motivazioni”, dove diavolo vogliamo andare?

ALLUCINANTE.

06/09/2025

🔴Il peso del non detto: il ghosting nelle relazioni moderne”

Il ghosting è un fenomeno sempre più frequente nelle relazioni moderne.
Si tratta dell’interruzione improvvisa e totale di ogni comunicazione con una persona, senza dare spiegazioni né preavvisi.
In poche parole, chi fa ghosting sparisce dalla vita dell’altro come un fantasma.
Così, puff!, da un momento all’altro si scompare nel nulla, lasciando l’altra persona in preda a dubbi a domande e ferite emotive.
Vivere questa esperienza dall’altra parte può essere molto doloroso. Il silenzio improvviso lascia a smarrimento e confusione, domande senza risposta e un forte senso di rifiuto. Spesso ci si chiede cosa sia andato storto, se si sia commesso un errore o se il problema sia legato alla propria persona. Questo può minare l’autostima, alimentare ansia e rendere più difficile fidarsi nuovamente degli altri.
Chi ricorre al ghosting lo fa spesso pensando di evitare conflitti o situazioni scomode. In apparenza sembra la strada più semplice, ma in realtà nasconde delle fragilità come paura del confronto, difficoltà a gestire le emozioni o, in alcuni casi, mancanza di rispetto per l’altro. Ciò che sembra una fuga rapida rivela in realtà un’incapacità di comunicare in modo chiaro e trasparente.
Ma chi ricorre a questa modalità non cancella il tuo valore, ma rivela le proprie paure.
Tu meriti presenza, sincerità e legami che non abbiano paura di restare.
[imag.web]

30/08/2025

Amati. Ma non come ti hanno insegnato.

Non farlo solo quando sei produttivo, brillante, sorridente.
Non solo quando ti senti a posto, quando rispondi a tutte le aspettative.

Amati anche quando sei stanco, confuso, incoerente.
Quando sbagli, quando crolli, quando non ti riconosci.

Amarsi non è un atto romantico, è un atto radicale.
È stare.
Nel disordine.
Nelle parti che vorresti nascondere.
Nel rumore interno che a volte non riesci a spegnere.

Amati come si resta accanto a un amico che non parla.
Con rispetto.
Senza fretta.
Con la certezza che anche in quel silenzio ci sei.

Dr. Maurizio Sgambati
www.psicosgambati.it

30/08/2025

Da bambina o bambino forse hai imparato che il dovere veniva prima di tutto.
Che l’approvazione arrivava solo se facevi “la cosa giusta”, che l’amore era condizionato dal tuo impegno, e che il tuo valore dipendeva da quanto riuscivi a soddisfare le aspettative degli altri.

E così, anche oggi, continui a correre.
A fare.
A dimostrare.
A misurare il tuo valore in base a ciò che produci, risolvi o porti a termine.
Temendo che, se ti fermi, nessuno ti vedrà davvero.

Ma dentro di te c’è ancora quella bambina. Quel bambino.
Che non chiede altri compiti, ma solo un momento di ascolto.
Che ti supplica di fermarti. Di spegnere il rumore nella testa che ti accusa se non fai abbastanza.
Di concederti di esistere senza dover meritare nulla.

Lei, lui, non ha bisogno che tu ti sforzi.
Ha bisogno che tu ti ami.
Anche quando non hai spuntato tutte le caselle.
Anche quando decidi di scegliere te, e basta.
Perché il tuo valore non è nel fare, ma nell’essere. E meriti amore anche in quei giorni in cui semplicemente respiri.

Dr. Maurizio Sgambati
www.psicosgambati.it
instagram.com/psicosgambati

30/08/2025

Il male è banale, ha un’apparenza normale, a volte persino migliore, attraversa tutti gli strati sociali, tutte le professioni. Per questa ragione chi ne è vittima spesso non solo non viene credut@ ma viene anche giudicat@. La violenza non colpisce sempre i deboli, non colpisce chi è problematico, colpisce chiunque, è rassicurante chiudere gli occhi, giudicare e pensare di essere immuni, ma la violenza è in mezzo a noi, nelle parole, nelle mancanze di rispetto, nei tradimenti della fiducia, nelle menzogne, nell’uso dei corpi come oggetti, nelle perversioni, nel pronunciare parole che hanno il solo scopo di togliere la dignità, la libertà, l’autonomia, la stima ad un altro essere umano. La violenza riguarda tutti, non è un problema dell’altro.

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