15/06/2025
Non sempre la tempesta arriva con lampi e tuoni.
A volte comincia con un silenzio strano, come un vuoto che ti tira giù.
Ti accorgi che qualcosa si è incrinato, ma non sai bene dove.
Ti guardi attorno e nessuno vede, nessuno sente:
sei in mezzo all’acqua, ma da fuori sembra tutto fermo.
E la barca, la fragile barca della nostra stabilità, sembra spezzarsi.
Eppure, continui a remare, con le mani che tremano.
È così che inizia una tempesta interiore: silenziosamente, come una stanchezza che non se ne va, come una solitudine che nessuno sa nominare.
Anche i discepoli erano lì. Avevano lasciato la riva, avevano obbedito. Ma adesso si sentivano dimenticati. E il Maestro, proprio in quel momento, non era con loro.
Gesù era sul monte. Da solo.
Pregava.
Una solitudine nella solitudine: loro nel lago, lui sulla montagna. Nessuno parlava.
C’è un dolore in questo silenzio. Un vuoto.
Un buco nello stomaco che conosciamo bene.
Non si sente la voce di Gesù.
Non si sente nemmeno quella dei discepoli.
Solo il rumore del vento, lo schianto dell’acqua sul legno, il crepitare della paura.
Ma ecco il punto.
Gesù non arriva prima della tempesta.
Non la ferma da lontano.
Non alza la mano e dice: "Fermatevi, acque".
No.
Lui entra.
Cammina sulla tempesta.
Cammina sopra le onde che stavano per inghiottire i suoi amici.
Cammina sopra ciò che terrorizza.
Non si limita a “venirci incontro”. No.
Ci cammina sopra.
Sopra il dolore, sopra la paura, sopra la perdita di senso.
Sopra quel buio interiore che rende difficile perfino respirare.
Perché a volte la speranza non viene dall’annullamento della tempesta.
Viene dal sapere che qualcuno ha imparato a camminarci sopra.
Viene dal sapere che non sei pazzo se hai paura, ma che non sei nemmeno solo.
“Coraggio, sono io. Non abbiate paura.”
Le sue parole non spengono il vento.
Spengono il panico.
Rimettono il cuore al suo posto.
Chiunque abbia affrontato un dolore profondo, una perdita, un crollo, una depressione, una diagnosi, un abbandono… sa cosa vuol dire trovarsi su quella barca.
Con i muscoli stanchi, il cuore in allerta, l’anima esausta.
Ma questo racconto ci dice che c’è qualcosa di più.
Che il silenzio non è assenza.
Che la notte non è abbandono.
Che anche se non vediamo, Qualcuno sta camminando verso di noi.
La speranza non è che tutto andrà bene.
La speranza è che tu non sarai inghiottito dalle onde.
Che c’è una forza che può attraversare il terrore, senza farsi piegare.
Che c’è una Presenza che si avvicina nel modo più impensabile: camminando sul dolore stesso.
Questo non è solo un miracolo.
È un’immagine psicologica potente:
di come, a volte, la salvezza arrivi quando impari a guardare in faccia la tua paura.
Quando non cerchi più una via di fuga, ma uno sguardo che ti dica:
"Ce la puoi fare. Camminaci sopra. Anche tu."
E se oggi sei in mezzo al tuo mare,
se la tua barca scricchiola,
se ti senti dimenticato e vuoto e impotente,
ricorda:
non sei solo.
Non sei sbagliato.
E non finirai affondato.
Perché qualcuno ha già camminato sulle onde.
E ti sta venendo incontro.