24/07/2025
In molti mi chiedono: “Perché hai smesso di lavorare sulle navi?”
Ecco spiegato perché...
Io quel lavoro, all’inizio lo guardavo da fuori e mi piaceva.
Mi piaceva anche l’idea di farlo. Un lavoro ordinato, elegante, con la divisa, il contatto con la gente. Un lavoro che dava una parvenza di vita internazionale.
E poi diciamolo...era un lavoro. In un periodo dove di lavoro vero ce n’era poco. Soprattutto a terra.
Ho iniziato con una compagnia italo- francese come addetto alla reception, segreteria e customer care. Accoglienza ai passeggeri, vigilanza su tutto quello che accadeva a bordo, supporto tra settori...camena, coperta, macchina. Dovevi essere sempre presente, sempre pronto. Per quello che loro chiamano“servizio”, ma di servizio lì c’era solo il tuo corpo. Il resto… era sopravvivenza e p***e di fango.
Chi non c’è stato non può capire. Le condizioni a bordo sono allucinanti.
A volte si lavora anche 14, 15 ore al giorno, senza sosta, senza pause vere.
Si mangia mezz’ora a pranzo, mezz’ora a cena, ma solo se ce la fai a strapparti da quello che stai facendo. Perché se sei in piena stagione, spesso si saltano i pasti. Non per modo di dire: si saltano sul serio. Hai fame e vai avanti lo stesso.
Se chiedi una pausa ti guardano storto. Se ti fermi sei già colpevole.
E le cabine equipaggio? … chiamarle cabine è un favore.
Sono loculi, veri e propri. Spazi minuscoli, angusti, condivisi con altre due, a volte tre persone. Non hai neanche lo spazio per aprire la valigia. I tuoi effetti personali stanno stretti, come te. Non c’è aria. Non c’è silenzio. Non c’è pace.
Spesso mi è capitato di dormire solo quattro ore a notte, spezzate, disturbate.
E dovevo comunque essere tra i primi a svegliarmi per fare le chiamate di sveglia ai passeggeri. In tre lingue! Alle 6 di mattina.
Quindi profumato, ordinato, preciso, sorridente, sempre sul pezzo.
Come? Non lo so. Forse per orgoglio, forse per non crollare del tutto...forse perché col c***o che gliela davo vinta a quelli là.
Ma poi la verità è che lì dentro non conta quanto sei bravo. Conta con chi parli, da dove vieni, a chi dai ragione e a chi lecchi bene il buco del c**o.
Un sistema marcio, corrotto, fatto di cricche e favoritismi. Anche tra i poveri, anche tra chi sta lì a sudarsi la pagnotta.
E la maggior parte della gente a bordo…Sono persone umili, che vengono dalla fame vera. Gente che si spezza la schiena per mandare due soldi a casa.
Tanti stranieri, tanti disperati. Tanta ignoranza, tanta dignità.
Gente che non ha scelta, e quindi accetta tutto: abusi, turni massacranti, umiliazioni quotidiane.
Io stesso ho visto colleghi sparire tra un porto e l’altro. Nessuno parlava. Esaurimenti, crolli nervosi, infarti, ictus.
Qualcuno non è tornato...ma io sì...ci sono tornato dopo essere finito al pronto soccorso di Livorno, una mattina, con extrasistole e tachicardia. Lì ho pensato: “è finita, muoio così, come un cane lontano da casa”.
E ho capito che non potevo più far finta di niente. Avevo un figlio che mi aspettava e che non mi vedeva da mesi. Un figlio a cui avevo promesso che prima o poi sarei tornato per stare con lui.
Così ho mollato tutto e sono tornato a Palermo.Ho detto basta.
Basta con una vita che non mi appartiene. Basta con chi ti tratta come una macchina e si fa bello sulle tue sp***e.
Oggi sto ricominciando. Ho trovato un nuovo lavoro, flessibile, che mi permette di vedere mio figlio.
Guadagno meno? Si. Ma respiro e sono tornato a scrivere. A pensare. A essere me stesso.
E oggi voglio pretendere rispetto. Perché se è vero che ho sempre lavorato con umiltà, adesso so che l’umiltà non deve mai diventare silenzio.
Sono un padre, e ho un solo obiettivo... costruire un futuro degno per mio figlio.
Anche da solo. Anche contro tutti. Ma con la schiena dritta e a testa alta.