19/10/2025
Riflessioni su un’occasione mancata: oltre la candidatura
La mancata assegnazione del titolo di Capitale dell’Arte a Foligno-Spoleto rappresenta più di una semplice sconfitta amministrativa: è lo specchio fedele di fragilità strutturali che attraversano il nostro modo di abitare il territorio e di pensare la cultura come bene comune.
Sulla difficoltà di fare rete
Il concetto stesso di “rete” presuppone una visione sistemica in cui ogni nodo rinuncia a una parte della propria centralità per moltiplicare le connessioni. Richiederebbe quella che i filosofi chiamano “pensiero relazionale”: la capacità di vedere il proprio valore non in isolamento, ma nell’intreccio con l’altro. Troppo spesso, invece, prevale una logica particolaristica, dove ciascun attore (sia esso istituzione, associazione o singolo operatore culturale) tende a preservare il proprio perimetro anziché aprirsi a contaminazioni fertili. Non è questione di cattiva volontà, ma di una cultura della collaborazione mai davvero radicata nel tessuto profondo delle nostre comunità.
Il coinvolgimento del territorio come questione ontologica
Parlare di “territorio” significa interrogarsi su cosa intendiamo per comunità. Il territorio non è mero contenitore geografico, ma organismo vivente fatto di memorie, aspettative, identità plurali. Coinvolgerlo autenticamente significa riconoscere la cittadinanza culturale di ciascuno: non solo gli addetti ai lavori, ma chi vive, lavora, custodisce questo spazio ogni giorno. Richiede ascolto paziente, mediazione continua, capacità di tradurre le visioni in linguaggi accessibili. Forse abbiamo pensato al territorio come sfondo anziché come protagonista, come destinatario passivo anziché come co-creatore di senso.
Le istituzioni e il sostegno come patto generativo
Il ruolo delle istituzioni non può ridursi a endorsement formale o a sostegno economico episodico. Serve un patto generativo, una visione condivisa a lungo termine che trascenda i cicli elettorali e le logiche di appartenenza. Le istituzioni dovrebbero farsi garanti di continuità, tessitori di dialogo tra livelli diversi (locale, regionale, nazionale) e custodi di un orizzonte strategico che dia respiro alle progettualità culturali. Quando questo manca, ogni iniziativa resta fragile, esposta all’intermittenza, incapace di sedimentare.
La condivisione come pratica etica e politica
C’è forse una questione ancora più profonda: la difficoltà a condividere riflette un modello culturale che privilegia l’appropriazione individuale del merito rispetto alla costruzione collettiva del valore. È comprensibile: siamo figli di una tradizione che ha esaltato il genio singolare, la firma autoriale, la proprietà intellettuale. Ma i grandi progetti culturali, quelli che trasformano i territori, nascono dall’ibridazione, dal meticciamento di competenze, dalla generosità intellettuale. Condividere non significa diluire il proprio contributo, ma moltiplicarne la risonanza.
Visibilità curatoriale e capitale simbolico
La presenza di curatori riconosciuti a livello nazionale e internazionale non è vezzo o vanità: è capitale simbolico che attrae risorse, attenzione, credibilità. La curatela contemporanea è disciplina complessa che richiede formazione, network, capacità di muoversi negli ecosistemi culturali globali. Se questo profilo manca o è sottorappresentato, significa che non abbiamo investito abbastanza nella formazione di queste figure, non abbiamo creato le condizioni perché potessero emergere e rimanere. È un circolo che si autoalimenta: senza visibilità non si attraggono opportunità; senza opportunità non si costruisce visibilità.
L’investimento come atto di fiducia nel futuro
Ogni investimento culturale è, in fondo, un atto di fede nella capacità del territorio di generare futuro. Richiede coraggio politico, consenso sociale, disponibilità a destinare risorse a progetti i cui frutti si raccoglieranno nel medio-lungo periodo. Se l’investimento è mancato, dobbiamo chiederci: cosa ci ha frenato? La mancanza di risorse materiali o l’assenza di una narrazione convincente che facesse della cultura non un orpello, ma un motore di sviluppo integrale (sociale, economico, identitario)?
Occasione perduta, lezione acquisita
Ogni fallimento contiene in sé i semi di una possibile rinascita, se sappiamo leggerlo non come sconfitta definitiva ma come diagnosi. Questa candidatura mancata ci restituisce un’immagine nitida: abbiamo bisogno di costruire pazienza strategica, cultura della cooperazione, investimento nella formazione, alleanze istituzionali solide, pratiche di ascolto e inclusione.
Non è questione di colpe da distribuire, ma di responsabilità da assumere collettivamente. Il sistema culturale di un territorio è ecosistema delicato che richiede cura costante, visione, e quella particolare forma di coraggio che consiste nel pensarsi insieme, oltre i confini dei singoli orticelli.
L’occasione perduta può diventare occasione di consapevolezza. A patto che sappiamo guardare in faccia le nostre fragilità non per piangerle, ma per trasformarle.