" un PO a tavola "

" un PO a tavola " Questa PAGINA è un percorso "GASTRONOMICO-FLUVIALE", che mi ha portato dalla sorgente al delta del PO. Di piola in piola, di prelibatezza in prelibatezza!!!

BUONA forchetta & ... coltello !!!!

CONDIGLIONE O CONDIJUN, L’INSALATA ALLA LIGUREPeperoni, pomodori, cetrioli, uova sode e olive taggiasche, con il tocco “...
15/07/2025

CONDIGLIONE O CONDIJUN,
L’INSALATA ALLA LIGURE

Peperoni, pomodori, cetrioli, uova sode e olive taggiasche, con il tocco “esclusivo” del mosciame di tonno, una specialità della Liguria, o della preziosa bottarga di muggine. Sono gli ingredienti principali del Condiglione, una coloratissima e ricca “insalatona” che unisce elementi di terra e di mare ed è perfetta nella bella stagione, per una cena con gli amici o un picnic all’aria aperta.

È una pietanza che profuma d’estate, grazie agli ortaggi e al basilico fresco, ma allo stesso tempo ha un gusto importante conferito dal pesce essiccato.

Originaria della provincia di Imperia, in particolare del comune di Bordighera, e diffusa anche nel genovesato, il Condiglione somiglia alla più nota insalata nizzarda, la salade niçoise, conosciuta ben oltre i confini francesi. Ma, se il piatto provenzale è caratterizzato dall’impiego del tonno sott’olio – reperibile ovunque e che ne ha favorito la fama internazionale – quello italiano storicamente veniva preparato con il “Tarantello” o “mosciame”, la ventresca di tonno salata, essiccata e conservata sott’olio, una prelibatezza tuttora prodotta nel trapanese e a Carloforte, cittadina dell’isola sarda di San Pietro fondata nel 1700 da pescatori di origine ligure.

L’alternativa alla ventresca di tonno era la più delicata bottarga di muggine, oggi costosa ma un tempo considerata un cibo “povero”, consumata dai pescatori nei lunghi periodi trascorsi in barca. Un altro elemento indispensabile nella ricetta originale era costituito dalle “gallette del marinaio”, una sorta di biscotti, tondi e bucherellati, che rappresentavano il pane degli uomini di mare perché in grado di mantenere a lungo la fragranza e la croccantezza.

Le mogli dei marinai lasciavano ammorbidire le gallette con acqua e aceto, le univano agli ortaggi, al pesce tagliato sottilmente e poi condivano il tutto con olio extravergine d’oliva – condiggion o condijun nel dialetto regionale vuol dire proprio “condimento” –, aggiunto in dosi generose: la sostanziosa insalata non era soltanto il pranzo dei loro mariti, ma anche delle stesse donne, che spesso la mangiavano in compagnia di amiche e vicine sulla scalinata di casa o in cortile, concedendosi un momento di relax e un po’ di “sano pettegolezzo”.

La ricetta del condiglione

Ingredienti
Pomodori 2
Cipolle mezza
Uova 2
Peperoni gialli (dolce) mezzo
Acciughe sotto sale 6 filetti
Patate 1
Fagiolini 10
Cetrioli 1
Olive taggiasche q.b.
Capperi q.b.
Tonno sott'olio (ventresca di tonno) q.b.
Basilico 1 ciuffo
Aglio 2 spicchi
Origano q.b.
Sale q.b.
Olio extravergine d'oliva (ligure) q.b.
gallette del marinaio 2

Preparazione
Preparate le uova sode. In un altro pentolino fate bollire in acqua leggermente salata i fagiolini e le patate sbucciate tagliate a fette. Cuocete per 8 minuti circa.
Lavate e asciugate tutte le verdure. Affettate dei pomodori non troppo maturi, tagliate a fette il cetriolo, il peperone giallo e la cipolla.
Aggiungete le foglie di basilico fresco spezzettate con le mani, le olive taggiasche, i capperi i filetti di alice lavati e la ventresca di tonno. Infine aggiungete gli spicchi d’aglio interi.
Mescolate il tutto e unite le uova, le patate e i fagiolini che si saranno raffreddati. Tagliate le uova a metà o a quarti. Condite con sale, origano e olio extravergine di oliva.

NOTE
La tradizione vuole che il condiglione sia consumato insieme alle gallette del marinaio ammorbidite in acqua e aceto. Se non le trovate potete sostituirle con delle fette di pane casereccio tostato o dei biscotti d pane.

Tommaso & lo "CHAMPAGNE"della Valle Maira 🥂 👍👏👏👏Tommaso Del Negro, a soli 22 anni, ha la sua vigna in Valle Maira e ha p...
14/07/2025

Tommaso & lo "CHAMPAGNE"
della Valle Maira 🥂 👍👏👏👏

Tommaso Del Negro, a soli 22 anni, ha la sua vigna in Valle Maira e ha prodotto la sua prima bottiglia di “bollicine”. Il 19 luglio apre la sua cantina

Un antico detto dice: “il vecchio pianta la vigna, il giovane la vendemmia”, parole che dimostrano come la coltivazione della vite sia un processo lento che richiede tempo, pazienza e tanto impegno per poter vedere dei frutti.

Tommaso non ha ereditato una vigna di famiglia, ma la vigna l’ha creata lui e con i suoi 22 anni oggi inizia a raccogliere i suoi primi successi.

Sembra incredibile che un ragazzo così giovane abbia già fatto così tanta strada, io l’ho incontrato e, travolta dalla sua energia, dalla sua forza e dal suo entusiasmo, ho ascoltato la sua storia che oggi ti voglio raccontare.

Tommaso è originario della Valle Maira, più precisamente del piccolo paesino di Cartignano.

Si diploma all’istituto agrario e poi frequenta un Master presso la prestigiosa università del gusto di Pollenzo a indirizzo enologico. Porta a termine anche il percorso da Sommelier, composto da tre corsi per avere la certificazione finale. Per capire davvero il mondo dei vini si sposta in Francia, in Borgogna, dove vive tre esperienze diverse sia nelle cantine sia in vigna.

Ma in realtà la vera passione per i grappoli nasce da giovanissimo, grazie ad un'esperienza fatta in un’azienda locale, che lo ha visto iniziare a vivere la vigna, la cantina, il mondo che gira intorno alle tante pregiate bottiglie che ogni anno arrivano sulle nostre tavole.

Un'esperienza, accompagnata da un titolare che ha visto in lui un futuro e gli ha insegnato ad amare la terra, il lavoro in campo e ad assaporare il vino vivendo tutto il suo processo di lavorazione. Tutto questo Tommaso lo ha sempre fatto studiando!

Quando è tornato dalla Borgogna e ha terminato gli studi ha deciso di aprire un’attività sua!

Il suo progetto iniziale era quello di fare il viticoltore nella sua Valle e di recuperare un antico vitigno che esisteva un tempo.

“In dialetto quel tipo di vitigno lo hanno sempre chiamato “la Blancio”, ma in Regione Piemonte è depositato come “Liseiret”. In realtà, a seconda delle vallate, cambia nome. A livello internazionale, invece, è registrato come Gouais Blanc. E’ un vino che ha una bellissima acidità che è il requisito fondamentale per fare la base dello spumante” mi racconta Tommaso.

“All’inizio abbiamo provato a fare delle vinificazioni classiche, ma poi l’enologo che mi segue, Dott. Enrico Peyron, oggi anche un grande amico che ha creduto nel mio progetto, mi ha consigliato di provare a fare uno spumante e da lì è nata l’idea di creare un “bollicine”.

"Il mio primo vino, uscito in commercio un mese fa, arriva dalla vendemmia del 2022. Ho fatto 175 bottiglie e sono già finite. Le vigne ci mettono 2 anni per produrre i primi grappoli, poi bisogna vinificare e attendere che il vino sia pronto! Il mio vino è 100% Valle Maira e la qualità che ho scelto ha una caratteristica particolare, ovvero può arrivare a maturazione garantendo la sua parte di acidità e quindi mantenendo le sue caratteristiche organolettiche. Spesso, per le uve bianche, affinchè possano essere vinificate come spumanti, deve essere anticipata la vendemmia".

A oggi Tommaso ha tre ettari e mezzo di vigna. Per ora solo 2 sono “vitati”, ovvero dove può già raccogliere l’uva, i rimanenti li sta curando con pazienza e impegno. Quando tutto sarà a regime la sua sarà una buona produzione.

Il tempo della pazienza, quello per concedere al suo ambizioso progetto di portare i suoi frutti e alla terra di fare il suo lavoro, è stato il momento per Tommaso di capire che, per sostenere la sua attività, doveva esserci un altro lavoro e così ha iniziato a portare in giro la sua esperienza di Sommelier e facendo conoscere dei vini nuovi e particolari.

Nel 2022 ha aperto una distribuzione di vini, sfruttando le sue conoscenze approfondite durante le esperienze all’estero in Borgogna e Spagna e in Italia. Nasce così il suo piccolo e prezioso catalogo con cui serve ristoranti ed enoteche.

“All’inizio sono stato dietro le quinte, oggi inizio a vendere il mio prodotto! Credo molto nel mio progetto, nei giovani e nella mia Valle”, mi dice un orgoglioso giovane che in questo progetto sta investendo tutto il suo tempo e la sua passione.

Ho chiesto a Tommaso come fosse arrivata a lui la prima vite.
“La prima vite che ho preso arriva da un signore di nome “Bertu” che era andato a prendere le talee a Macra, e le ha messe in bassa valle. Nel 2021 ho acquistato la sua vecchia vigna ed è da lì che sono nate le mie prime 200 bottiglie!”

Sono sicura che il vecchio signore che ha ceduto la sua vigna stufo di dare il vino per sé, non si aspettava che un giovane ragazzo potesse creare qualcosa di unico!

Tommaso aveva appena 13 anni e stava facendo il bagno al fiume quando il prete del paese è passato dicendo che c’era un signore che cercava aiuto per l’estate nella sua vigna. Oggi a soli 22 anni, quel ragazzino è cresciuto ed è andato sempre avanti, a testa bassa ed oggi è un viticoltore eroico, perché le sue vigne sono posizionate oltre i 700 metri di altitudine, i terreni sono in pendenza ed è necessario tanto lavoro manuale.

Sabato 19 luglio per Tommaso, sarà un giorno incredibile perché aprirà le porte della sua cantina: La “CANTINA DEL NEGRO”

A Cartignano il Località Tanara n.1 per informazioni 329 7742041 [email protected]

Alle 17 potrai entrare nel sogno di questo giovane viticoltore e visitare i locali di vinificazione e i suoi vigneti. Il locale resterà aperto anche domenica per tutta la giornata, mentre Lunedì, esclusivamente su invito, si potranno degustare i suoi vini con degli operatori del settore.

Scrivere questa storia mi ha fatto sorridere l’anima perché la luce che trasmette Tommaso è quella che ho visto in pochi giovani che spesso si sentono persi e non trovano una strada.

La sua determinazione e la sua voglia di fare qualcosa di unico, credendo in un sogno che piano piano si sta realizzando, non può che essere un esempio e uno stimolo per altri a fare come lui. Se vuoi sapere qualcosa di più https://www.instagram.com/tommiwine oppure https://www.tommiwine.it mentre, se vuoi brindare a un sogno realizzato, che andrà sempre più lontano, Tommaso ti aspetta nella sua cantina!

Cinzia Dutto

INFRADITO con ..."Crudo di Cuneo DOP" 🤣🤣🤣Il Crudo di Cuneo ha origini antiche, con la lavorazione delle cosce di suino c...
13/07/2025

INFRADITO con ...
"Crudo di Cuneo DOP" 🤣🤣🤣

Il Crudo di Cuneo ha origini antiche, con la lavorazione delle cosce di suino che risale almeno al XVII secolo nell'area dell'attuale produzione. L'importanza di questo prosciutto crebbe nella seconda metà dell'Ottocento, quando la borghesia e la nobiltà iniziarono a richiedere ricette personalizzate dai primi salumieri artigianali.

Tradizione contadina:
Le famiglie contadine avevano l'usanza di macellare il maiale verso la fine dell'inverno, tramandando le tecniche di lavorazione di generazione in generazione.

Sviluppo nel XIX secolo:
Con la crescita della borghesia, il prosciutto divenne un prodotto di prestigio, ricercato per le sue qualità e per le ricette personalizzate dai maestri salumieri.

Area di produzione:
Il Crudo di Cuneo DOP è prodotto in un'area specifica che comprende la provincia di Cuneo, parte di Asti e alcuni comuni della provincia di Torino, caratterizzata da un particolare microclima ideale per la stagionatura.

https://www.prosciuttocrudodicuneo.it/it/home/

"BAGNE' ‘nt l’EULI"(il pinzimonio) 🥕🥬 🫑Come scriveva Giuseppe Gioachino Belli in un sonetto del 1831: «Co ssale e ppepe ...
11/07/2025

"BAGNE' ‘nt l’EULI"
(il pinzimonio) 🥕🥬 🫑

Come scriveva Giuseppe Gioachino Belli in un sonetto del 1831: «Co ssale e ppepe e cquattro gocce d’ojjo poderissimo facce er cazzimperio». Ebbene, quello che a Roma è cazzimperio e nel resto d’Italia è pinzimonio, a Bra (Cn) si conosce come Bagnè ‘nt l’euli.

Si scelgono le verdure (peperoni, insalata belga, radicchio, ravanelli, pomodori, finocchi, carote, cetrioli, cipollotti, sedano e tutto quello che la stagione offre), si lavano con cura, si tagliano, si mettono in mezzo alla tavola a disposizione dei commensali, si preparano le ciotole con olio extravergine di oliva, sale e magari una punta di aceto.

La magia è tutta qui, la preparazione, la condivisione, il mangiare con le mani, con lentezza, con semplicità e gusto. Bagnè ‘nt l’euli è un mangiare di famiglia, è una tradizione dei paesi di Langa e Roero, è un gesto contadino e salutare, quasi di altri tempi.

Lo sa bene Slow Food Bra che giovedì 17 luglio, dalle ore 20, proporrà questa classica ricetta presso il cortile dell’Osteria Boccondivino (via Mendicità Istruita, 14), a Bra.

Modalità ed intenti sono collaudati. I partecipanti potranno vivere un momento di allegria con l’opportunità di assaporare i prodotti locali, capitanati dalla freschezza degli ortaggi di stagione da sposare con oli extravergini italiani scelti da Slow Food. Costo: 30 euro per i soci Slow Food, 35 euro per gli aspiranti soci. Divertimento e chiacchiere gratis.

Basta così? Chiaro che no. Potrete rifarvi occhi, olfatto e palato con il ricco menù che prevede ancora antipasto misto, gnocchi di patate con melanzane e robiola di Cherasco, pesche con gelato artigianale e biscotti, vini e caffè inclusi. Ma, come sempre, la reale importanza dell’iniziativa riguarda la solidarietà. Parte del ricavato contribuirà, infatti, al sostegno di progetti educativi sul territorio braidese.

Per chi fosse interessato, info e prenotazioni ai numeri: 0172/425674 - 338/7389306 - 338/6403920 e ricordatevi di chiamare entro il 10 luglio, che gli ingressi sono limitati.

In caso di maltempo, saranno confermati i posti seguendo l’ordine di prenotazione, quindi tocca affrettarsi.

Cazzimperio: il nome fa ridere, ma la storia è seria!
Chi non si farebbe scappare una battuta leggendo il nome? Ma aspettate a ridere, perché dietro al Cazzimperio c’è una storia più antica e più seria di ciò che pensate.

A prescindere dal nome un po’ colorito e dall’etimologia piuttosto incerta che rimanda sia a “mestolo” (cazza), questo piatto della tradizione romana nasce nelle osterie dove si faceva festa con poco.

Era il modo perfetto per gustare le verdure crude di stagione: sedano, finocchi, carciofi carote, ravanelli, cetrioli, peperoni e pomodori tagliati a listarelle e intinti in una salsetta semplice, ma saporita fatta con olio, sale, pepe e, se gradito, l’aceto. Ma la vera star è il finocchietto selvatico che si trovava gratis per strada!

Questa pianta cresce spontanea nel Mediterraneo e i Romani antichi già ne conoscevano le virtù, tanto che i gladiatori se ne cibavano prima dei combattimenti. Nel libro di Plinio si racconta addirittura che il finocchietto “acquistava vigoria” e nella Naturalis Historia si dice che stimolava “l’appetito sessuale”.

La Scuola Medica Salernitana confermava questa credenza, secondo l’adagio: «Il seme di fi*****io bevuto col vino eccita ai piaceri di Venere». E sempre Plinio scriveva che dopo aver mangiato finocchietto, i serpenti cambiavano pelle acquistando nuova giovinezza.

Famosa l’Osteria der Cazzimperio nella quale andò il Generale incaricato da Nerone di indagare su eventuali malumori dei soldati, resa celebre dai versi di Trilussa nel 1942: «E, lì, se tinse er grugno de carbone, se messe una giaccaccia e serio serio agnede (andò) all’osteria der Cazzimperio framezzo a li gregari de Nerone».

Nel corso dei secoli, il Cazzimperio è rimasto un piatto del popolo, tramandato di generazione in generazione nelle famiglie romane. Durante il ‘400 era così diffuso che lo troviamo citato nei testi dell’epoca, e nell’800 il gastronomo francese Grimod de La Reynière lo descrisse come una specialità tipicamente romana.

Un antipasto, che i francesi chiamano elegantemente "crudités", ma vuoi mettere? "Cazzimperio" è un'altra cosa!

il caffè "MAROCCHINO" ☕La storia del marocchino inizia a metà del Novecento ad Alessandria.Per la prima volta venne serv...
10/07/2025

il caffè "MAROCCHINO" ☕

La storia del marocchino inizia a metà del Novecento ad Alessandria.
Per la prima volta venne servito a una dipendente della ditta Borsalino nel Caffè Carpano, il bar proprio di fronte alla celebre fabbrica di cappelli.
La prima cliente del marocchino avrebbe ordinato un caffè macchiato arricchito da un pizzico di cioccolato in polvere.
Questa dipendente, come altre lavoratrici, aveva il compito di fissare la cucitura finale su ogni cappello Borsalino, chiamata marocchino.

Si trattava di un sottile cinturino di pelle che andava a cingere la base della cupola di ogni cappello e che portava questo nome per il suo colore marroncino e caratteristico.
Con il passare dei giorni, la dipendente della Borsalino prese l’abitudine di consumare il suo caffè speciale prima di dedicarsi ai suoi “marocchini”, finché il barista non iniziò ad associare il nome “marocchino” alla stessa bevanda che le somministrava quotidianamente.

Marocchino,
la bevanda che ricorda il bicerin torinese
Il marocchino, sebbene il nome potrebbe trarre in inganno, non ha nulla a che vedere con il caffè che si beve a Marrakech, ma è una specialità italiana, precisamente di Alessandria. Nasce in un bar della cittadina – il Bar Carpano, ora non più in attività – nella prima metà del ‘900 e si potrebbe considerare uno spin off del bicerin, lo storico drink di Torino diffuso già nel Settecento e poi amatissimo da Cavour realizzato con caffè, cioccolato fondente e crema di latte. Gli ingredienti, infatti, sono pressoché gli stessi, solo che nel marocchino il cioccolato è sostituito dal cacao in polvere e il latte è montato a schiuma.

La paternità alessandrina non è messa in discussione, quello che ancora è avvolto dalla “leggenda” è il motivo per cui si chiama così: le ipotesi più accreditate sono legate alla frequentazione del Bar Carpano di alcune operaie e operai della Borsalino, rinomato marchio di cappelli con sede di fronte al locale. I lavoratori dell’azienda, infatti, avevano a che fare per mestiere con il marocchino, ovvero la striscia di cuoio marrone che viene inserita all’interno del cappello come guarnizione finale e che ricorda il colore della bevanda a base di latte e caffè che bevevano al bar.

Ed è a questo punto che l’origine del nome prende direzioni diverse: potrebbe risalire proprio al titolare, che usava il termine “marocchino” in modo confidenziale per il caffè che offriva ai dipendenti della Borsalino; oppure agli operai stessi che notando la somiglianza cromatica tra la bevanda e il nastro di cuoio ordinavano goliardicamente un maruchën. O ancora alla richiesta di un’operaia che per iniziare la giornata con la giusta carica si era fatta preparare un caffè con schiuma di latte arricchito da una spruzzata di cacao, diventando poi un’abitudine, tanto da battezzare quella versione “marocchino”.

Il marocchino da allora ha superato i confini della città e oggi è “codificato” tra i drink di caffetteria. La bevanda è conosciuta in tutta Italia. Non è scontato, però, che in tutti i bar sappiano riprodurre alla perfezione la striscia marroncina che ricorda quella di cuoio che veniva utilizzata nei cappelli Borsalino. Un dettaglio tutt’altro che secondario in un vero marocchino alessandrino.

Come si prepara e si serve il marocchino
Il marocchino per definirsi tale ha bisogno di tre ingredienti: caffè espresso, latte montato a schiuma e cacao amaro in polvere. Il risultato è la creazione di tre strati che per essere apprezzati in tutta la loro golosità devono distinguersi chiaramente, tipo quelli del bicerin, tanto che anche il marocchino viene servito in una tazzina o in un bicchierino trasparente di vetro: è importante, inoltre, che il contenitore sia a temperatura ambiente o tiepido, al fine di non far perdere cremosità alla bevanda per lo shock termico.

Tornando alla stratificazione, la composizione più diffusa è quella che vede il seguente ordine: si comincia con l’espresso, si aggiunge la schiuma di latte e per ultimo il cacao, ma è molto comune imbattersi in marocchini con tazzine spolverate anche sul fondo. C’è pure chi mette il cacao tra il caffè e il latte montato, sempre concludendo con una spruzzata on top, chi versa prima la schiuma di latte e poi il caffè e chi azzarda spalmando nella tazzina un po’ di crema di nocciole, ma in questo caso il rischio è andare fuori tema.

4^ "FERA d’la TONDA” 🍊Manca poco all’evento più atteso dell’estate a Costigliole Saluzzo (Cn). Domenica 13 luglio torna ...
09/07/2025

4^ "FERA d’la TONDA” 🍊

Manca poco all’evento più atteso dell’estate a Costigliole Saluzzo (Cn). Domenica 13 luglio torna la “Fera d’la Tonda”, la festa simbolo dell’albicocca “Tonda” tipica del paese.

Quest'albicocca è una varietà antica di dimensioni medio piccole dalla buccia di colore giallo-aranciato chiaro con marezzature rossastre e presenta eccellenti caratteristiche organolettiche.

Una festa che sa unire, come poche altre. tradizione agricola, cultura e il calore genuino della comunità locale.

"La Fera d'la Tonda è prima di tutto la festa dei nostri produttori", afferma con entusiasmo il sindaco Fabrizio Nasi. "Un'occasione unica per far conoscere al pubblico la qualità e la bontà dell'Albicocca Tonda di Costigliole. Lungo la via centrale, i visitatori potranno incontrare chi la produce, assaggiare il frutto e ovviamente acquistarlo. Quest'anno poi le sorprese non mancano! Accanto alla sempre gradita delegazione dell'Albicocca di Valleggia, per la prima volta arriveranno anche i rappresentanti di Costigliole d'Asti, in una vera e propria celebrazione del legame tra territori che condividono passione e tradizioni. e - aggiunge il sindaco - c’è un’altra golosa novità; debutta quest'anno ‘Fantasie di Tonda’, il primo concorso amatoriale di dolci a base di albicocca Tonda di Costigliole. Un'opportunità per mettere alla prova la creatività e celebrare questo frutto speciale attraverso l'arte dolciaria”.

"L'albicocca Tonda di Costigliole incarna la nostra identità e le secolari tradizioni agricole - spiega Flavio Lovera, direttore di Albifrutta. - Questa sagra nasce per far conoscere le straordinarie qualità organolettiche di questo frutto, sostenere i nostri produttori e promuovere la filiera corta. L'abbiamo voluta come vetrina privilegiata dove i visitatori possano degustare il frutto fresco e trasformato, conoscendo direttamente chi lo coltiva con passione".

Ma la Fera d'la Tonda è molto più di un semplice mercato. "Il mercato della Tonda è senza dubbio il cuore pulsante della festa - conferma il sindaco Nasi, - ma i nostri graditi ospiti vivranno un'esperienza a 360°. Il programma è ricchissimo e pensato per conquistare ogni età: dalla suggestiva mostra fotografica ‘Istantanee’ al convegno sul cambiamento climatico alle affascinanti visite guidate ai tesori artistici del territorio, insieme a musica e spettacoli che animeranno le vie del paese. Un vero e proprio viaggio alla scoperta del meglio che Costigliole Saluzzo sa offrire”.

"Desidero ringraziare a nome di tutta l'amministrazione gli sponsor: Albifrutta, Sedamyl, Granda Zuccheri, Artimpianti, Ruatta Imballaggi, Nazari automation makers, e Terzo Tempo", sottolinea il vicesindaco Nicola Carrino. - Un particolare riconoscimento va a Castello Rosso, Famiglia Alby di Costigliole Saluzzo, Coldiretti Campagna Amica, Parrocchia di Costigliole Saluzzo e Agriturismo La Castagnotta per la preziosa collaborazione".

La sagra dell'Albicocca Tonda di Costigliole Saluzzo è organizzata in collaborazione con la Fondazione Amleto Bertoni e gode quest'anno del sostegno del Consiglio Regionale del Piemonte, nonché del patrocinio di Regione Piemonte e ATL Cuneo.

Programma
https://www.itinerarinelgusto.it/sagre-e-feste/fera-d-la-tonda-sagra-dell-albicocca-tonda-di-costigliole-3070

"DUNDUNET" - Valle Colla 😋Sono la versione SENZA PATATE degli occitani dunderet, gnocchi di farina al cucchiaio, inventa...
08/07/2025

"DUNDUNET" - Valle Colla 😋

Sono la versione SENZA PATATE degli occitani dunderet, gnocchi di farina al cucchiaio, inventati e cucinati presso il ristorante
"DA TOJU" di Castellar - Boves (Cn), fin dal LONTANO 1924.

INGREDIENTI:
2 bicchieri di latte
2 uova
400 gr. Di farina
sale

ESECUZIONE:
In una terrina sb****re le uova, aggiungere il latte, un pizzico di sale e, a poco a poco, la farina fino ad ottenere un composto piuttosto denso e di aspetto colloso. Sb****re a lungo finchè la pastella si stacca dalle pareti e lasciarla riposare per due ore. Portare ad ebollizione una pentola d'acqua salata e immergere un cucchiaino per volta ( o sac a poche) del composto . Lasciar cuocere per qualche minuto quindi scolare e servire con sugo d'arrosto o porcini, in stagione.

Ristorante Castellar "Da Toju"
Via Castellar, 206 - Castellar CN
Telefono: 0171 380382

RI-nasce un'antica ricetta saviglianese:il "SALAME DOCHO"Termine di derivazione piemontese,da "ocu" (oca),  🪿 😋Quest'ann...
07/07/2025

RI-nasce un'antica ricetta saviglianese:
il "SALAME DOCHO"
Termine di derivazione piemontese,
da "ocu" (oca), 🪿 😋

Quest'anno, la nostra attività con l'oca, dall’ allevamento alle sue golose interpretazioni, compie 25 anni.

Destino vuole che sia anche l'anniversario dei 200 anni della morte del Patriota saviglianese Santorre Annibale Filippo De Rossi, noto come Santorre di Santa Rosa, nonché Conte di Pomerolo, Signore di Santa Rosa (Savigliano, 18 novembre 1783 – Sfacteria -Grecia-, 8 maggio 1825). Politico, giovane sindaco di Savigliano (“maire” ai tempi della occupazione francese di Napoleone Bonaparte), militare e patriota italiano. Visionario di una Italia non soggiogata a potenze straniere, fedele ai Savoia, eroe del Risorgimento italiano e della guerra d'indipendenza greca, nella quale sacrificò la sua vita in nome di tutti quei Nobili Ideali di quella generazione di Uomini che “sognavano” un Italia sovrana ed indipendente.

Per festeggiare la nostra ricorrenza ed onorare il Patriota saviglianese, abbiamo pensato di realizzare una specialità: "il salame docho" da una antica ricetta risalente al 1700 trascritta nel ricettario della nobile famiglia De Rossi di Santa Rosa.

Visionata l'antica ricetta del salame docho custodita presso l'Archivio Storico della Città di Savigliano (Cn), dopo attenta analisi della fattibilità, siamo riusciti a ridare vita ad una golosità di cui, probabilmente, nessuno conosceva l'esistenza, come storico prodotto saviglianese.

Tutto questo grazie al supporto del Salumificio Fenoglio di Villanova Mondovì (CN), con il quale collaboriamo con successo da sempre e, in modo particolare, all'entusiasmo e alla competenza di Matteo Fenoglio, giovane erede di una lunga tradizione famigliare di artigiani salumieri.

Il “Salame Docho” sarà disponibile per l’autunno/inverno 2025/26. Rigorosamente "a produzione limitata", come si addice ad una vera “perla” gastronomica.

Ricetta del Salame Docho dal ricettario della famiglia
De Rossi di Santa Rosa:

"Si spolpano le oche e ogni Libre 5. altre 5 Libre Panzetta di Porcho, e a queste dieci libre di carne tapulata discrettamente vi si agionga. 5. once sale pepe rotto un oncia Spezieria fina mezzanoncia, Sal nitro in Polvere un quarto doncia, e tutto impastato con una Zaina di Buon Vino".

Azienda Agricola Cascina Peschiera
Str. Santa Scolastica, 9 - Savigliano CN
Telefono: 335 676 1765

"PANNA COTTA" con SALSA di KIWI 🥝😋La panna cotta, un dolce dal gusto delicato e dalla consistenza vellutata, ha origini ...
06/07/2025

"PANNA COTTA"
con SALSA di KIWI 🥝😋

La panna cotta, un dolce dal gusto delicato e dalla consistenza vellutata, ha origini che si intrecciano con la tradizione culinaria del Piemonte, una regione dell’Italia settentrionale. Questa preparazione semplice e rustica ha avuto origine probabilmente tra i contadini piemontesi, che sfruttavano ingredienti locali come la panna, lo zucchero e la gelatina. La tradizione vuole che il dolce sia stato preparato con una ricetta base, in cui la panna veniva cotta con zucchero e gelatina, poi lasciata raffreddare per ottenere una consistenza solida.

Prima di parlare di questo dolce tipico occorre fare una precisazione linguistica. In piemontese il termine italiano “panna” non esiste: la traduzione che verrebbe spontanea, ossia pan-a, ha tutt’altro significato e si riferisce alla pannocchia (con l’accento, panà, si riferisce invece alla panatura).

In piemontese la panna si definisce, utilizzando una forma quasi poetica, fior dël làit, ovvero “fiore del latte”, in quanto affiora sulla superficie del latte vaccino lasciato a riposo. La panna cotta, un dolce da noi relativamente recente, non ha però un termine dialettale specifico, anche se è ormai entrato a far parte della nostra tradizione.

La panna cotta è uno dei dolci al cucchiaio più conosciuti e apprezzati in Italia e all’estero per la semplicità e il gusto delicato, che la rendono una perfetta coccola a fine pasto. Molto spesso questo dolce viene descritto come “un budino bianco” ma, attenzione, è un errore!

Quali sono le differenze tra budino e panna cotta? Entrambi sono dolci al cucchiaio, morbidi e vellutati, ma con ingredienti diversi. La panna cotta, come vedremo dopo, è preparata con latte, panna, zucchero, vaniglia e colla di pesce (o albumi) e viene ricoperta, generalmente, con del caramello. La ricetta originale non prevede l’uso della gelatina, quindi senza colla di pesce, tuttavia, data la diffusione di questo ingrediente, è comunemente accettata anche la versione di panna cotta con gelatina.
Il budino, invece, è un dessert preparato con latte, tuorli (assenti nella preparazione della panna cotta), zucchero e, solitamente, amido di mais.

Quali sono le origini della panna cotta?
Sono incerte: sui libri di ricette si legge che si tratta di un dolce tradizionale piemontese, la cui data di nascita viene fatta risalire agli inizi del ‘900 dove sarebbe stato cucinato per la prima volta da una signora ungherese nelle Langhe.

Nonostante la tradizione piemontese sia comunemente riconosciuta come l’origine della panna cotta, alcuni storici suggeriscono che ricette simili possano risalire a tempi più antichi. La crema cotta, infatti, ha parallelismi con dolci dell’epoca romana e medievale, che utilizzavano tecniche di preparazione e ingredienti analoghi. La panna cotta, però, nella sua forma moderna sembra essersi sviluppata specificamente nel Piemonte tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, mantenendo una connessione con le tradizioni locali e i metodi di preparazione tradizionali.

Con il passare del tempo, la panna cotta è diventata un piatto rappresentativo della cucina italiana. La ricetta con la sua semplicità e versatilità è stata la chiave del successo, permettendo al dolce di essere servito con una varietà di salse e aromi, come frutti di bosco, caramello e cioccolato. Questa caratteristica lo ha reso un dessert facilmente personalizzabile e apprezzato in molte varianti.

Le prime attestazioni le abbiamo solo negli anni Sessanta quando Ettore Songia, chef stellato al ristorante cuneese de “I tre citroni”, fu il primo a mettere su carta la ricetta come la conosciamo oggi.

Nel nord dell’Europa, invece, i libri di ricette le attribuiscono origini molto più antiche, che vengono fatte risalire addirittura al Medioevo. In Danimarca, Ungheria e Francia si possono trovare preparazioni molto simili al nostro dessert piemontese.

Il danese Moos hwit è un dolce al cucchiaio identico alla panna cotta: nei ricettari si legge che la ricetta più antica è stata scritta da Henrik Harpestræng, botanico e medico danese morto nel 1244.

Il Krémes (pronunciato crè-mesci), uno dei dolci piú amati dagli ungheresi, non è altro che una specie di panna cotta racchiusa fra due croste di pasta sfoglia che poi viene tagliata a cubetti. Ricorda il nostro “diplomatico” con la farcitura di crema pasticcera.

Il Blanc Manger è un dolce francese comunemente fatto con latte o panna e zucchero addensato con gelatina, amido di mais o muschio irlandese (Chondrus crispus, una specie di alga rossa fonte di carragenina, una gelatina di largo uso alimentare, medicinale ed industriale), spesso aromatizzato con mandorle.

Oggi la prepareremo seguendo la ricetta con la colla di pesce e la accompagneremo a un frutto di stagione, il kiwi, che bilancia perfettamente la dolcezza del dessert.

PANNA COTTA:
100 ml latte intero
2 fogli di colla di pesce (4g)
500 ml di panna
200g di zucchero semolato
1/2 bacca di vaniglia

PREPARAZIONE:
Idratare i fogli di colla di pesce in acqua fredda per 10 minuti e farla sciogliere nel latte tiepido. In una pentola sb****re con una frusta la panna con lo zucchero e i semi della bacca di vaniglia, appena inizia il bollore togliere dal fuoco e unire il latte con la colla di pesce.

Amalgamare bene e versare il composto in stampini della forma che preferite, lasciare raffreddare e mettere in frigorifero per almeno 5 ore.

Prima di sformare la panna cotta, immergere gli stampini in acqua bollente per 10 secondi (fino al bordo, attenzione a non bagnare la panna cotta!). In questo modo i bordi del dolce si “sciolgono” leggermente e il composto esce dallo stampino con più facilità.

SALSA AI KIWI:
2 kiwi
2 cucchiaini di succo di limone
20g zucchero

PREPARAZIONE:
Sbucciare, pulire e tagliare a cubetti i kiwi. Farli cuocere in un pentolino con lo zucchero e il succo di limone per circa 15 minuti e frullare il tutto con il frullatore ad immersione.

Lasciare raffreddare e la salsa è pronta da servire con la panna cotta appena sformata!

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