" un PO a tavola "

" un PO a tavola " Questa PAGINA è un percorso "GASTRONOMICO-FLUVIALE", che mi ha portato dalla sorgente al delta del PO. Di piola in piola, di prelibatezza in prelibatezza!!!

BUONA forchetta & ... coltello !!!!

TORNA il "PLAISENTIF" 🧀💜😋A Perosa Argentina (To) la tradizione incontra il gusto: dal 19 al 21 settembre tornano la Fier...
17/09/2025

TORNA il "PLAISENTIF" 🧀💜😋

A Perosa Argentina (To) la tradizione incontra il gusto:
dal 19 al 21 settembre tornano la Fiera del Plaisentif e la rievocazione storica "Poggio Oddone Terra di Confine". L'evento celebra un formaggio d'alpeggio unico, noto ai gourmet come il "Formaggio delle viole" per il sapore distintivo che il latte assume grazie ai prati fioriti di giugno.

Un formaggio, una storia secolare
La Fiera del Plaisentif affonda le sue radici nella storia della Val Chisone, quando i pastori, a fine estate, si fermavano a Poggio Oddone per dar vita a quello che divenne il mercato più importante della valle. Già allora, la rarità del formaggio lo rendeva una prelibatezza riservata a nobili e funzionari.

Il Plaisentif, che per anni ha rischiato di scomparire, è stato salvato da un progetto di valorizzazione che ha coinvolto le istituzioni e gli ultimi custodi di un'antica sapienza casearia, come il compianto Ivano Challier. Oggi, ogni forma è prodotta con latte crudo intero, stagionata per circa 70 giorni e protetta da un rigoroso disciplinare e da un marchio a fuoco che ne garantisce l'autenticità.

Un programma ricco tra storia e sapori
Il weekend a Perosa Argentina sarà un'immersione completa in tradizioni e sapori. Sabato 20 settembre, alle 16, si terrà un convegno storico presso la scuola primaria. La giornata clou sarà domenica 21 settembre: Alle 9, la Messa in costume darà il via a un suggestivo corteo storico. A seguire, a Villa W***y, si terrà la cerimonia di consegna delle benemerenze e del premio ai produttori in memoria di Ivano Challier.

Alle 11:30, una degustazione guidata permetterà di apprezzare tutte le sfumature del Plaisentif. La giornata sarà arricchita da giochi e laboratori per bambini e dimostrazioni cinofile. Ospite d'onore sarà Michela Carbone, campionessa mondiale della pizza, che presenterà la sua ricetta vincitrice con Plaisentif e Salsiccia di Bra.

La fiera si concluderà con l'evento "Il più votato del Reame", dove una giuria popolare eleggerà il miglior Plaisentif in esposizione. Durante l'intero evento, sarà possibile esplorare le bancarelle di prodotti agroalimentari e artigianali locali, offrendo un'esperienza completa per tutti i sensi.

Per assicurarsi una forma di questo formaggio pregiato, è consigliabile prenotarlo in anticipo contattando i produttori.

https://www.poggiooddone.it/associazione-produttori.../

🐑🧀🐄🧀 😋Cheese 2025 si svolgerà a Bra dal 19 al 22 settembre 2025. L'evento, organizzato da Slow Food e dal Comune di Bra,...
15/09/2025

🐑🧀🐄🧀 😋

Cheese 2025 si svolgerà a Bra dal 19 al 22 settembre 2025. L'evento, organizzato da Slow Food e dal Comune di Bra, sarà la quindicesima edizione della manifestazione internazionale dedicata ai formaggi a latte crudo.
Si attendono oltre 400 espositori e si focalizzerà sulle specialità artigianali di latte crudo, con un mercato, Laboratori del Gusto, degustazioni e conferenze.

Programma
https://cheese.slowfood.it/

la "TORTA NERA" del Monferrato 🍏🎃La torta monferrina, conosciuta anche come torta nera, è uno di quei dolci che racconta...
14/09/2025

la "TORTA NERA" del Monferrato 🍏🎃

La torta monferrina, conosciuta anche come torta nera, è uno di quei dolci che raccontano una storia. Un dessert semplice e profumatissimo, nato tra le colline del Monferrato e tramandato di generazione in generazione, nelle case e nelle cucine contadine del Piemonte.

Il suo nome deriva dal tipico colore scuro, dovuto alla presenza di cacao e amaretti nell’impasto — gli stessi ingredienti che ritroviamo nel più noto bonèt o nelle tradizionali pesche ripiene piemontesi. Ma la sua particolarità sta soprattutto nel suo carattere rustico, nel modo in cui valorizza ingredienti poveri, spesso avanzi, trasformandoli in un dolce ricco e sostanzioso.
La "torta nera" si faceva nelle borgate dove il forno veniva acceso una volta a settimana per cuocere il pane; una volta finito si lasciava morire il fuoco e, per non sprecare, si faceva cuocere questa torta.

Nata come ricetta “di recupero”, la torta nera veniva preparata con mele mature, spesso ammaccate ma dolcissime, zucca di stagione, cioccolato, frutta secca, pane raffermo o amaretti, senza farina né lievito. La particolarità della torta monferrina sta anche nella preparazione: all'interno dell'impasto non c'è che un cucchiaio di farina e niente lievito. Un dolce umido, compatto, profumato, cotto lentamente sulla stufa o sulla cucina economica, per far sì che il composto si asciugasse con calma, sprigionando tutti i suoi aromi. Ogni famiglia ha la sua variante, custodita gelosamente. In molti comuni del Monferrato - da Masio a Gabiano, fino a Montafia - si trova ancora oggi nelle trattorie e nei forni artigianali, servita con una spolverata di zucchero a velo e qualche amaretto in cima.

Ingredienti (per stampo da 20 cm)

450 g di mele renette (già pulite, tagliate a tocchetti)
300 g di zucca delica (già pulita)
40 ml di acqua
2 cucchiai di zucchero semolato
scorza di un limone
1 uovo intero
1 tuorlo d’uovo
1 cucchiaio di fecola di patate o maizena
30 g di b***o fuso
40 g di scaglie di cioccolato fondente
1 cucchiaio di cacao amaro
100 g di amaretti
30 g di zucchero
30 g di pinoli
Q.b. di uvetta sultanina (facoltativa)

Per guarnire
Zucchero a velo
6 amaretti interi

Procedimento
Preparare frutta e zucca:
Pulite e tagliate a tocchetti piccoli la zucca e le mele. In una casseruola, cuocete la zucca con 40 ml di acqua e 2 cucchiai di zucchero per circa 5-6 minuti. Aggiungete poi le mele e la scorza di limone (facoltativa anche una spolverata di cannella) e lasciate cuocere a fuoco basso fino a ottenere un composto morbido, simile a una purea.

Preparare gli altri ingredienti:
Sbriciolate finemente gli amaretti, sminuzzate il cioccolato. In una ciotola capiente mescolate gli amaretti, il cacao, lo zucchero, poi unite l’uovo intero e il tuorlo, il cioccolato fondente, il b***o fuso e la fecola. Mescolate tutto con cura.

Unire tutto l’impasto:
Incorporate il composto di mele e zucca alla miscela preparata e mescolate bene, fino a ottenere un impasto omogeneo. Se necessario, schiacciate i pezzi di frutta rimasti troppo grandi. Aggiungete i pinoli e l’uvetta precedentemente ammollata (o altra frutta secca a piacere).

Preparare la tortiera:
Imburrate e infarinate uno stampo da 20 cm usando un mix di cacao e farina (o fecola), poi versate l’impasto.

Cottura:
Infornate in forno ventilato preriscaldato a 150-160°C per circa 55 minuti. La torta sarà pronta quando risulterà compatta, con una crosticina in superficie.

Finitura:
Lasciate raffreddare almeno 2 ore. Prima di servire, spolverate con zucchero a velo e decorate con gli amaretti interi.

La pasticceria CERUTI MADONNINA si trova a Serralunga di Crea (AL) ai piedi del Santuario di Crea le cui origini risalgono al IV secolo, in una zona ricca di vigneti, circondata da verdi colline, dista 80 km da Torino e 80 km da Milano.

"Siamo una pasticceria a conduzione familiare in cui le ricette si tramandano di padre in figlio sin dagli inizi del 1900, è così che abbiamo mantenuto un carattere artigianale e la scelta accurata degli ingredienti per prodotti di qualità."

fraz. Madonnina, 62
Serralunga Di Crea (Alessandria)
TEL. 0142940184
www.pasticceriaceruti.com

l'ÜVA FROLA  🍇L'uva fragola, o Vitis labrusca, è una varietà americana che arrivò in Europa a metà del XIX secolo, diven...
13/09/2025

l'ÜVA FROLA 🍇

L'uva fragola, o Vitis labrusca, è una varietà americana che arrivò in Europa a metà del XIX secolo, diventando fondamentale per salvare le viti europee dalla fillossera tramite l'uso come portainnesto.

Sebbene non sia più adatta alla vinificazione a causa di un aumento del metanolo durante la fermentazione, è permessa per il consumo diretto e la produzione casalinga di bevande non definite "vino". La sua coltivazione è comune, soprattutto come uva da tavola, grazie alla sua resistenza a malattie e ambienti difficili.

L’uva fragola si chiama così proprio perché il suo profumo ricorda molto quello del frutto rosso dell’estate.

È una vite dalle foglie grandi, pelose e opache, mentre gli acini non sono molto grandi, ma molto compatti tra di loro.

Viene raccolta tra fine agosto e settembre e spesso destinata al consumo fresco, alla produzione di marmellate, mostarde, sciroppi e, dove ancora permesso, di un vino artigianale dal carattere spiccatamente “casalingo”.

La leggenda dell’üva frola:
una storia per l’autunno

Tanti e tanti anni fa la vite non produceva frutti. Era una pianta ornamentale. Un contadino aveva una vite bella e rigogliosa. I suoi rami, carichi di foglie, si allungavano sempre più e coprivano con la loro ombra le pianticelle vicine. “Anche le piccole piante hanno bisogno di sole” pensava il contadino. “Devo perciò potare la vite.” Un giorno egli tagliò energicamente tutti i rami della bella pianta e tolse molte foglie degli altri. La vite ne soffrì e pianse. Quando scese la sera, un usignolo si posò delicatamente sopra un piccolo ramo della pianta e cominciò a cantare per consolarla. Il canto dell’usignolo era così dolce che le stelle si commossero e fecero discendere un po’ della loro energia sulla vite. Allora la pianta sentì scorrere in sé una linfa nuova. Le sue gemme si aprirono e tante foglioline verdi spuntarono sui rami quasi spogli. Le sue lacrime, belle come perle, si trasformarono a poco a poco in piccoli frutti… Al sorgere del sole, dai rami pendevano i primi grappoli d’uva. La vite era diventata così una pianta fruttifera. I suoi frutti avevano l’energia delle stelle, la dolcezza del canto dell’usignolo e il colore del cielo all’aurora. 💕

I “Nocciolini di Chivasso" su francobollo 👍Da ieri, 10 settembre 2025, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha...
12/09/2025

I “Nocciolini di Chivasso" su francobollo 👍

Da ieri, 10 settembre 2025, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha emesso una nuova serie di francobolli dedicati al settore alimentare, nell’ambito della collana “Le eccellenze del sistema produttivo e del made in Italy”. dedicati al settore alimentare, relativi al valore della tariffa B pari a 1,30 euro.

Per il francobollo piemontese, l’illustratore Emanuele Cigliuti ha scelto di raffigurare i famosi Nocciolini di Chivasso (To), affiancati da una foglia di nocciolo e dai suoi frutti, l’ingrediente principe di questa prelibatezza dolciaria.

Particolare orgoglio per il Piemonte, e in modo speciale per Chivasso, dove i Nocciolini rappresentano da oltre un secolo un simbolo identitario. Considerati “i dolci più piccoli del mondo”, sono il frutto di una tradizione artigianale che lega la città al gusto e alla creatività. L’inclusione dei Nocciolini nella serie nazionale dei francobolli è un riconoscimento che va oltre il lato filatelico: è la consacrazione di un prodotto che, pur nella sua semplicità, incarna un pezzo della cultura dolciaria italiana.

La storia narra che l'invenzione dei Nocciolini di Chivasso risalga al 1810, quando il mastro pasticcere Giovanni Podio unì le nocciole Piemonte agli altri due ingredienti, ricavando l'impasto magico. Ma fu Nazzaro, il genero, che nel 1904 ne registrò il brevetto presso il ministero del commercio del Regno d'Italia, col nome originario di "noasetti", e che nel 1900 e 1911 portò i Nocciolini alle Esposizioni Universali di Parigi prima e Torino poi. L'intraprendente pasticcere, che spogliò i nocciolini della loro confezione di latta per il tradizionale sacchetto rosa, fu insignito del titolo di "fornitore della Real Casa" da Vittorio Emanuele III di Savoia. L'epoca fascista spazzò via il nome straniero per l'italiano "Nocciolini".

Sarà felice l' AMICO Alberto Marchetti, il "SIGNORE del GELATO" che nel maggio 2024 ha acquistato la Dolciaria Fontana, storica azienda di Chivasso ambasciatrice di un’eccellenza del gusto piemontese del sapore unico e inconfondibile.
“I Nocciolini sono il topping perfetto per il mio gelato!. Sono sempre stato affascinato dalle cose buone. Sin da piccolo ho amato i Nocciolini di Chivasso ed entrare oggi a far arte della loro storia mi riempie di orgoglio. Tradizione, genuinità, rispetto delle cose fatte “come una volta” sono principi che ho sempre cercato di portare in tutto ciò che faccio: nel mio gelato e ora in questa nuova avventura”. 🤗🍨

https://www.ascomtorino.it/notizia?kid=8268

"Crudo di Cuneo D.O.P." 🐷La storia del Prosciutto Crudo di Cuneo affonda le radici nel XVII secolo, come testimonia un d...
11/09/2025

"Crudo di Cuneo D.O.P." 🐷

La storia del Prosciutto Crudo di Cuneo affonda le radici nel XVII secolo, come testimonia un documento del 1618, quando la lavorazione delle cosce di maiale era un'arte tramandata tra i norcini piemontesi.
Questo antico mestiere, che vide la figura del "sautissè" girare per le cascine, si sviluppò grazie al microclima favorevole dell'area cuneese e all'uso del sale trasportato lungo la Via del Sale.

Nel XIX secolo, la lavorazione divenne un'arte culinaria apprezzata dalla borghesia, che richiedeva ricette personalizzate ai primi salumieri artigianali. Per preservare questa tradizione, il Consorzio di tutela nacque nel 1998 e nel 2009 ottenne la registrazione della denominazione Crudo di Cuneo D.O.P. da parte dell'Unione Europea.

Origini e tradizione antica
XVII secolo:
Le origini della lavorazione del prosciutto nell'area cuneese risalgono almeno a quest'epoca, come evidenziato da un documento del 1618.

Pratiche contadine:
La lavorazione avveniva in modo tradizionale durante i giorni di festa della mattanza del maiale, verso la fine dell'inverno.

Il "Sautissè":
L'esperto della lavorazione delle carni, noto come "sautissè", selezionava le cosce migliori, le metteva in salagione e le avviata alla stagionatura nelle cantine.

Le “vie del sale”
Le vie del sale tra Piemonte e Liguria erano terre di passaggio di pastori, pellegrini, mulattieri, commercianti e viaggiatori che dal Ponente ligure e dalla Provenza raggiungevano, tramite i passi alpini, il Piemonte ed il Nord Europa, dando vita a f***e reti di scambi. Luoghi di transito, dunque, presidiati dalle molte torri di avvistamento disseminate sul territorio. Il territorio compreso tra le Alpi ed il Mar Ligure è caratterizzato da un ricco impianto culturale diffuso formato da chiese, monumenti, castelli, centri storici e palazzi d’epoca, “hospitali” cioè luoghi di sosta e di preghiera, nonché sentieri, mulattiere, passaggi.

Per oltre mille anni il sale ha rappresentato per l’uomo uno dei beni più preziosi, tanto da essere definito “l’oro bianco”. Il sale, infatti, oltre ad essere importante per insaporire le pietanze, era fondamentale per conservare i prodotti alimentari e in particolare le carni. L’area del Cuneese ha da tempo immemorabile potuto disporre in abbondanza di sale grazie al fatto di essere al centro delle più importanti “vie del sale”, cioè i percorsi, le mulattiere e le strade sulle quali avveniva il trasporto delle merci nei secoli passati. Attraversavano questo territorio, infatti, le più importanti vie del sale che dalla Costa azzurra conducevano al Piemonte e quindi alle grandi città di Torino e Milano.

Nel Medioevo un’importante via del sale era rappresentata dal percorso che risaliva la regione del Queyras, nelle Hautes-Alpes, attraversava le Alpi al Colle dell’Agnello (2.748 m slm) e scendeva a Chianale in Valle Varaita.
Documenti storici testimoniano che, nel 1385, erano impegnati cinquanta uomini e cinquanta muli per il trasporto del ferro proveniente dalle miniere di Bellino destinato alla Francia. Al ritorno del viaggio i muli trasportavano altre merci tra le quali appunto il sale. Una seconda antica via del sale era quella che, partendo da Hyères in Camargue, saliva all’interno della Provenza e raggiungeva il Cuneese attraverso il Col de Larche o Colle della Maddalena, per scendere nella Valle Stura di Demonte e raggiungere infine Cuneo.

Una terza via del sale, molto importante nei secoli XV-XVII, era quella che seguiva la direttrice Valle del Guil – Valle Po, attraversando le Alpi al Colle delle Traversette (2.950 m slm). Questa via collegava all’epoca il Delfinato con il Marchesato di Saluzzo, tant’è che per migliorare la sua percorribilità Lodovico II, marchese di Saluzzo, nel 1480 decise la realizzazione di un traforo, detto “Buco di Viso”, che risulta essere la prima galleria di attraversamento delle Alpi. Il traforo era lungo 110 m e consentiva ai muli di transitare carichi di merce.

Nel periodo di maggior traffico, transitavano su questa via oltre 2.500 muli carichi di merce ogni anno. Una quarta via, molto importante per l’area cuneese, era quella che univa Nizza a Cuneo, passando per Saint-Martin-Vésubie e scavalcando le Alpi con diversi percorsi. Il più utilizzato era il Colle di Finestra, a 2474 m slm. Ma esistevano due alternative, quella del Col Ciriegia (2443 m slm) e quella del Passo di Pagarì (2819 m slm), per scendere in Valle Gesso e raggiungere Cuneo.

Nel 1453 venne costruita una nuova via che partiva da Nizza, saliva fino al Passo di Pagarì e scendeva ad Entracque per raggiungere Cuneo. Questa via fu chiamata Pagarina, in quanto voluta e finanziata da Pagarino del Pozzo. Nel 1581 la Contea di Tenda entrava a far parte di Casa Savoia e l’intensificarsi del traffico commerciale indusse i governanti a costruire un nuovo percorso che consentiva di raggiungere tramite il Colle di Tenda la città di Cuneo evitando i colli del Brans e del Bruy.

Tale nuova mulattiera fu conclusa nel 1643. Più tardi, furono aperte nuove vie per il trasporto del sale e delle merci nell’ottica di individuare percorsi più agevoli ed evitare di pagare costose “gabelle” ai potentati locali. Tra queste, quella che segue il percorso dell’attuale Ventimiglia-Cuneo. La mulattiera risaliva la Valle Roja, per congiungersi alla via che giungeva da Nizza, transitava al Colle di Tenda e scendeva a Cuneo. Nel 1780 il Duca Vittorio Amedeo III decise di migliorare la percorribilità della via del Colle di Tenda rendendola carrozzabile. Altra via storica era la Marenca che da Imperia risaliva la Valle Impero per raggiungere Pieve di Teco, poi il Colle di Nava, scendere a Garessio e quindi raggiungere Mondovì.

Sviluppo e valorizzazione
XIX secolo:
La borghesia e la nobiltà iniziarono ad apprezzare il prosciutto, spingendo i maestri salumieri a sviluppare salumifici artigianali e ricette personalizzate.

Filiera del prodotto:
L'area del Cuneese, ricca di boschi di querce e castagni, forniva i maiali e il microclima ideale per la stagionatura.

Istituzione del Consorzio (1998):
Un gruppo di imprenditori della filiera suinicola fondò il Consorzio per tutelare e valorizzare il prodotto.

Riconoscimento D.O.P. (2009):
Il Consorzio ottenne la registrazione della denominazione Crudo di Cuneo D.O.P. da parte dell'Unione Europea.

Caratteristiche del prosciutto crudo di Cuneo DOP
Ad oggi, il prosciutto crudo di Cuneo DOP viene commercializzato quando raggiunge i 24 mesi di stagionatura (anche se il Disciplinare consentirebbe di commercializzarlo dopo un minimo di 10 mesi) ed evidenzia un peso compreso fra 8,5 e 12 kg a stagionatura ultimata; il colore al taglio deve essere rosso uniforme. La consistenza della parte magra esterna e di quella interna deve essere morbida e uniforme. Il grasso esterno visibile (grasso di copertura) deve essere di colore bianco o bianco tendente al rosa, compatto e non untuoso.

L’aroma e il sapore al taglio deve essere fragrante, stagionato e dolce; il grasso interno deve essere di colore bianco e non troppo abbondante. Il grasso, alla puntatura, non deve presentare odore di rancido, né odore di latte, pesce, né altri odori anomali. La composizione chimica del magro in percentuale del muscolo bicipite femorale deve rispettare i seguenti limiti minimi e massimi.

Filiera corta: la moderna produzione del Crudo di Cuneo si basa su una filiera corta, che garantisce l'origine e la qualità del prodotto.

Zona di produzione del Crudo di Cuneo D.O.P.
Comprende l'intero territorio della provincia di Cuneo, la provincia di Asti e 54 comuni della zona sud della provincia di Torino. Questo specifico microclima pedemontano offre condizioni ideali, con correnti d'aria tiepide e secche che favoriscono l'umidità ottimale (50-70%) per la stagionatura naturale dei prosciutti, anche in cantine sotterranee.

In dettaglio:
Provincia di Cuneo: L'intera provincia.
Provincia di Asti: L'intero territorio provinciale.
Provincia di Torino: 54 comuni selezionati nella zona sud, tra cui Airasca, Andezeno, Carmagnola, None, Pinerolo, Pino Torinese, e altri.
Questa area è storicamente vocata alla suinicoltura e vanta un microclima favorevole alla corretta stagionatura dei prosciutti, come evidenziato dal disciplinare di produzione.

Dove trovarlo:
Per trovare negozi che vendono Crudo di Cuneo D.O.P., cerca direttamente presso macellerie e salumerie specializzate nella zona di produzione (provincia di Cuneo, Asti e alcuni comuni della provincia di Torino) o punti vendita come il negozio Biraghi di Piazza San Carlo a Torino.

https://www.prosciuttocrudodicuneo.it/it/home/

la "PANISSA"Una ricetta che unisce le storie contadine di una intera regione, e che nasce dalla tradizione povera delle ...
10/09/2025

la "PANISSA"

Una ricetta che unisce le storie contadine di una intera regione, e che nasce dalla tradizione povera delle campagne. E che proprio dall’usare ciò che si aveva in casa prende il suo nome, diventando però nel corso dei decenni esempio di cucina italiana, portato in tutto il mondo dagli emigranti. È la Panissa piemontese, il risotto mantecato povero negli ingredienti ma ricchissimo di storia.

Panissa piemontese, una ricetta dal nome incerto
La Panissa piemontese è solo uno dei tanti piatti che rappresentano la ricca tradizione culinaria di questa regione, affiancata da altre delizie come la Bagna Cauda, il Bollito e il Vitello Tonnato, che sono parte integrante della cultura gastronomica locale, ricca di piatti tipici regionali molto apprezzati anche fuori dal Piemonte.

L’origine del nome è incerta, probabilmente derivante dal panigo, una varietà di miglio che è progressivamente scomparsa, soppiantata dal riso. Proprio il riso è l’ingrediente principale di questo piatto povero tipico della tradizione piemontese, a cui venivano aggiunti gli ingredienti che i braccianti agricoli avevano a disposizione.

Nelle case contadine non mancavano i legumi, di cui il fagiolo è il principe, la cipolla, con magari un sedano, qualche carota, sale e pepe e il salame. In particolare il salame della duia, o in piemontese, salame d‘la doja, un insaccato di maiale fatto maturare nello strutto fuso, che gli permette di restare morbido e non seccare. Se la situazione lo permetteva, si poteva aggiungere del lardo, o della cotica, e magari anche qualche verdura. Ciò che però non poteva mancare e non mancava nelle cucine contadine era il vino rosso, usato per colorare e sfumare il riso.

Da dove ha origine la panissa?
Se l’origine del nome è incerta, sappiamo qualcosa di più a proposito dell’origine di questo piatto. La Panissa, infatti, nasce nelle campagne di Novara e di Vercelli, da qui è stata poi importata in tutto il Piemonte dai lavoratori stagionali, e da lì in tutto il mondo.

Nasce nelle risaie dove i braccianti venivano spesso pagati soltanto con un pugno di riso. Una volta rientrati a casa, avevano bisogno di far fruttare al meglio la paga di giornata e quindi hanno iniziato a cucinarlo con quello che c’era a disposizione. Una ricetta povera, ma che doveva essere sostanziosa poiché spesso rappresentava l’unico pasto della giornata e doveva dare energia sufficiente per affrontare le dure giornate di lavoro nelle risaie.

Se il luogo della nascita della panissa è ben chiaro, molto meno è la sua datazione. Sappiamo che il suo sviluppo è strettamente legato alla diffusione della coltivazione del riso nelle aree del vercellese e del novarese, territori resi fertili grazie all’opera di canalizzazione dei monaci cistercensi che fondarono anche l’Abbazia di Santa Maria di Lucedio. Questi, stabilitisi nella zona nel XII secolo, contribuirono all’introduzione delle prime colture di riso, che trovò un terreno ideale nella Pianura Padana, dove c’era ampia disponibilità di acqua e un clima umido.

Le prime documentazioni scritte che menzionano l’uso del riso nelle ricette piemontesi risalgono al XVI secolo, nonostante ciò, la Panissa come la conosciamo oggi potrebbe aver avuto origine solo più tardi, nel corso del XVII o XVIII secolo, quando l’uso del riso divenne più accessibile anche tra le classi popolari. Un aspetto interessante è che, mentre altre pietanze a base di riso come il risotto, erano spesso considerate piatti ricchi riservati alle classi più abbienti, la Panissa è rimasta a lungo un pasto delle classi contadine.

Come si prepara la panissa piemontese?
Esistono ancora oggi delle differenze sostanziali nella ricetta tra la panissa vercellese e la paniscia novarese, e non c’è una ricetta ufficiale dogmatica tramandata ai nostri giorni. È ben chiaro però cosa non può mancare: un soffritto per il riso, di varietà Arborio, Baldo, Sant’Andrea o Maratelli, i fagioli, cipolla, vino rosso, preferibilmente Barbera o altre DOC dei colli piemontesi, e infine un prodotto della lavorazione del maiale.

Poi quando è il momento di mangiare, poco importa degli impiattamenti: la Panissa era ed è un piatto conviviale, che scaldava il corpo e l’anima al termine di una lunga e fredda giornata di lavoro nella risaia. E questo si è tramandato fino ai giorni nostri tant’è che la Panissa è protagonista di molte sagre piemontesi, soprattutto nelle province di Vercelli e Novara, dove ogni anno si celebrano eventi dedicati al riso e ai piatti tradizionali. Una delle più famose è la “Sagra della Panissa” che si tiene a Vercelli nel mese di agosto, durante la quale i visitatori possono assaporare la ricetta originale preparata secondo la tradizione. Nelle trattorie locali, la Panissa viene spesso servita come piatto forte, abbinata a un bicchiere di vino rosso piemontese, mantenendo vivo il legame con la cultura contadina e la convivialità delle tavolate familiari.

Ingredienti (per 4 persone):
400 gr. di riso S. Andrea
100 gr di fagioli secchi(di Saluggia)
100 gr di lardo senza cotenna
1 salame sotto grasso
1/4 cipolla
1 bicchiere di vino rosso corposo
Brodo di carne q.b.
Sale q.b.

Preparazione:
Dopo aver lavato i fagioli, provvedete a metterli a bagno in acqua abbondante. Trascorse 12 ore, mettete i fagioli in brodo di carne e fateli bollire fino a cottura (circa 80 minuti). Preparate un soffritto con trito di lardo, salame sottograsso, un po’ di cipolla tritata e un cucchiaino di olio extravergine d’oliva. In un tegame ( consigliamo di rame stagnato)mettete il riso e fatelo tostare. Sfumare con il vino rosso a piacere e lasciatelo evaporare. Aggiungete il brodo (caldo) gradatamente. Poco prima che la cottura sia ultimata, spegnete il fuoco e lasciate riposare la panissa, in modo che il riso assorba il condimento residuo.

Consigliamo di salare solo il brodo con i fagioli.

Oggi il "Bar Sport" è triste... Fai BUON VIAGGIO, Stefano😢Sull'immagine del dolce che nessuno comprava, contenuta propri...
09/09/2025

Oggi il "Bar Sport" è triste...
Fai BUON VIAGGIO, Stefano😢

Sull'immagine del dolce che nessuno comprava, contenuta proprio nella raccolta di esordio del 1976, Stefano Benni ha costruito la descrizione dell'evoluzione del bar e della sua funzione nelle abitudini degli italiani.

La Luisona
Al bar Sport non si mangia quasi mai. C’è una bacheca con delle paste, ma è puramente coreografica. Sono paste ornamentali, spesso veri e propri pezzi d’artigianato. Sono lì da anni, tanto che i clienti abituali, ormai, le conoscono una per una. Entrando dicono: «La meringa è un po’ sciupata, oggi. Sarà il caldo». Oppure: «È ora di dar la polvere al krapfen». Solo, qualche volta, il cliente occasionale osa avvicinarsi al sacrario.

Una volta, ad esempio, entrò un rappresentante di Milano. Aprì la bacheca e si mise in bocca una pastona bianca e nera, con sopra una spruzzata di quella bellissima granella in duralluminio che sola contraddistingue la pasta veramente cattiva. Subito nel bar si sparse la voce: «Hanno mangiato la Luisona!»

La Luisona era la decana delle paste, e si trovava nella bacheca dal 1959. Guardando il colore della sua crema i vecchi riuscivano a trarre le previsioni del tempo. La sua scomparsa fu un colpo
durissimo per tutti.
Il rappresentante fu invitato a uscire nel generale disprezzo. Nessuno lo toccò, perché il suo gesto malvagio conteneva già in sé la più tremenda delle punizioni.

Infatti fu trovato appena un’ora dopo, nella toilette di un autogrill di Modena, in preda ad atroci dolori. La Luisona si era vendicata.

La particolarità di queste paste è infatti la non facile digeribilità.
Quando la pasta viene ingerita, per prima cosa la granella buca l’esofago. Poi, quando la pasta arriva al fegato, questo la analizza e rinuncia, spostandosi di un colpo a sinistra e lasciandola
passare. La pasta, ancora intera, percorre l’intestino e cade a terra intatta dopo pochi secondi. Se il barista non ha visto niente, potete anche rimetterla nella bacheca e andarvene.

https://www.ilfattoquotidiano.it/.../morto.../8120380/

la "LAMPADINA" di Alpignano 😋 💡Nel 1880 Alessandro Cruto inventò la lampada ad incandescenza con filamento in carbonio f...
08/09/2025

la "LAMPADINA"
di Alpignano 😋 💡

Nel 1880 Alessandro Cruto inventò la lampada ad incandescenza con filamento in carbonio fondando proprio ad Alpignano, nella bassa Val di Susa, una fabbrica per la produzione su scala internazionale delle lampadine da lui inventate.

La Torta Lampadina di Alpignano (To) è un dolce ideato per omaggiare Alessandro Cruto, l'inventore della prima lampadina a filamento di carbonio prodotta industrialmente ad Alpignano, e celebrare la storia dell'Opificio Cruto, dove nel 1886 fu prodotta su scala internazionale la sua invenzione.

Origini e Storia
L'Invenzione:
Alessandro Cruto, nato a Piossasco nel 1847, sviluppò un innovativo filamento di carbonio artificiale per le lampadine elettriche.

L'Opificio Cruto:
Nel 1885, Cruto commissionò a Gerolamo Taddei la realizzazione di un opificio ad Alpignano, dove nel 1886 fu prodotta la prima lampadina con il suo brevetto.

L'Ecomuseo Sogno di Luce:
Questa struttura è oggi sede di un ecomuseo che racconta la storia dell'invenzione di Cruto e il suo impatto sulla cittadina di Alpignano, che ha visto la nascita e la produzione di lampadine fino agli anni '60 con la Philips.

Il Dolce:
La "Lampadina Dolce" è un prodotto culinario, ideato come omaggio al genio di Cruto e all'importante ruolo della sua fabbrica nella storia di Alpignano.

In sintesi, il dolce "Lampadina" non è un dolce tradizionale antico, ma una creazione recente che lega indissolubilmente la memoria storica dell'invenzione della lampadina con l'identità culinaria e culturale della città di Alpignano.

Il dolce di Alpignano
Il 13 dicembre 2008, in suo onore e in omaggio alla nostra città, presentavamo una torta che negli anni sarebbe diventata un simbolo di Via Mazzini: La Lampadina, il dolce di Alpignano, un dolce unico, con gli ingredienti più preziosi del nostro territorio.

La Lampadina Dolce di Alpignano è un omaggio al genio creativo di Cruto e alla sua importante invenzione, che ha illuminato il mondo moderno. Questo dolce unisce la storia e l'innovazione in un modo delizioso.

L'immagine mostra la nostra Lampadina, il dolce di Alpignano, con il suo aspetto invitante e accattivante che riflette il suo status di simbolo culinario della città.

Un’altra ottima idea italiana.

Indirizzo

Pinerolo
10064

Telefono

+393470613849

Sito Web

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