23/07/2025
I nostri.. Sembravano uomini ma erano eroi...
Articolo di History Car
Tra le dune e le sabbie fredde di Cortellazzo, nel pieno della Grande Guerra, c'era un piccolo avamposto italiano che sembrava più un villaggio di uomini e speranze che un fronte di battaglia. In quel luogo di legno e sacchi di sabbia, battuto dal vento e impregnato di silenzio, viveva un gruppo di soldati uniti da qualcosa che andava ben oltre la divisa. Erano uomini venuti da tutta Italia, figli di storie diverse, portatori di dialetti e sogni lontani, legati da una fratellanza che solo il pericolo vero sa creare.
C'era Giulio, bergamasco, muratore nella vita civile, robusto e silenzioso. Parlava poco ma quando lo faceva, tutti si fermavano. Era il tipo che, se ti vedeva tremare per il freddo, toglieva la propria coperta senza dire una parola. Nessuno gli aveva mai visto una lacrima, ma la notte, ogni tanto, lo si sentiva sussurrare il nome di sua moglie e dei suoi due figli. Gli altri facevano finta di dormire, per rispetto.
Poi c’era Alfio, di Catania, figlio di pescatori. Sempre allegro, con una battuta pronta anche nei momenti più duri. Portava con sé un fazzoletto rosso che diceva essere della madre, e ogni volta che uscivano in pattuglia, lo legava al polso "perché il mare non si dimentica mai di me". Una volta, durante una notte gelida, riuscì a cucinare con una gavetta un piatto che somigliava vagamente a una pasta con le sarde. Era immangiabile, ma tutti risero fino alle lacrime.
Nino, invece, era di Parma. Ex studente di lettere, il più istruito del gruppo. Aveva un quaderno nascosto sotto la giubba e annotava ogni cosa: il cielo, i discorsi, le paure. Diceva che un giorno, se fosse tornato, avrebbe scritto un libro. Era lui a leggere ad alta voce la sera, scegliendo pezzi di Dante o Manzoni, mentre i compagni fumavano e il fumo si mischiava alla nebbia. Una volta scrisse un poema per onorare un mulo caduto durante un bombardamento, e lo lessero tutti in piedi, in silenzio, come se fosse stato un commilitone.
Tonio veniva da Bari. Corporatura minuta, voce forte. Si occupava delle biciclette da ricognizione e, anche se nessuno capiva come facesse, riusciva sempre a farle funzionare. Diceva: "La guerra si vince sui pedali, non solo coi fucili." Un giorno pedalò per dodici chilometri sotto il fuoco nemico solo per riportare una lettera del comandante. Tornò con una scheggia nel braccio e il sorriso di chi sapeva di aver fatto qualcosa di giusto.
Ermes, di Trento, era il più giovane. Non aveva ancora vent'anni. Era stato arruolato come portaordini e lo prendevano un po’ in giro all’inizio, ma in pochi mesi si era fatto rispettare. Durante una ritirata disordinata, fu lui a restare indietro per aiutare un compagno ferito. Lo portarono via entrambi su una carriola trovata chissà dove. Da allora, nessuno lo chiamò più "il piccolo".
Infine c’era Piero, di Arezzo. Un falegname, mani grosse e voce calma. Aveva costruito una piccola croce con due pezzi di legno trovati nelle retrovie, e l’aveva piantata fuori dalla baracca principale. Diceva: "Non serve sapere chi siamo stati, basta che qualcuno sappia che c’eravamo." Era il primo a svegliarsi e l’ultimo a coricarsi, e quando uno dei ragazzi cadeva, era lui a chiudergli gli occhi.
A Cortellazzo non c’erano medaglie da mostrare, né fanfare. C’erano scarponi infangati, mani callose e occhi che avevano visto troppo. Ma c’era anche una bicicletta appoggiata a una parete, una baracca fatta di legno storto, e risate improvvise che scoppiavano come fuochi fatui, spezzando il grigiore.
Quegli uomini, ognuno con la propria storia, con il proprio accento e le proprie paure, formarono una famiglia. Una famiglia che la guerra non riuscì a spezzare. E se oggi ci si ferma in silenzio davanti a una vecchia foto sbiadita scattata tra i sacchi e le tavole, con un gruppo di soldati e una bicicletta nel mezzo, forse li si può ancora sentire ridere, parlare, vivere.
Perché gli eroi di Cortellazzo non erano giganti, ma uomini semplici che, senza chiederlo, hanno scritto una delle pagine più vere dell’anima italiana.