
17/09/2025
IL DOLORE CHE RESTA
Neurofisiologia di una funzione che ha perso il suo scopo
In questi mesi abbiamo parlato di funzione, consapevolezza, educazione, movimento..
Ma cosa accade quando il dolore non è più il segnale di una lesione, ma diventa una sensazione sorda e persistente, disallineata dai segnali tissutali? Quando il corpo appare guarito, ma l’esperienza dolorosa continua senza che vi sia un reale segnale di danno?
Per rispondere, dobbiamo addentrarci in un territorio ancora poco esplorato nel linguaggio comune, ma ben conosciuto nella scienza del dolore: la neurobiochimica della cronicizzazione.
Il dolore cronico primario non è una semplice persistenza del dolore acuto. È una condizione neurofunzionale complessa e stabile, sostenuta da alterazioni plastiche dei circuiti nervosi, da processi infiammatori neurogliali e da modificazioni epigenetiche.
Il termine “dolore cronico primario” è stato introdotto nella classificazione ICD-11. Indica una condizione in cui il dolore è la malattia stessa, non sintomo e non un danno a sè, ma una disfunzione dei meccanismi di modulazione del dolore.
Le neuroscienze dimostrano che nel dolore cronico primario si assiste a una ridefinizione delle mappe corticali, specialmente nella corteccia somatosensoriale, con fenomeni di “smudging” (sfumatura della rappresentazione corporea), che contribuiscono a un’esperienza percettiva disorganizzata e persistente. Questo dato sottolinea come il dolore non sia solo un segnale, ma una vera e propria rappresentazione plastica alterata.
IL DOLORE NON PASSA?
Forse il tuo sistema nervoso sta mantenendo attivi i circuiti del dolore, anche in assenza di stimoli lesivi, in risposta a una stimolazione nocicettiva afferente che, reiterata nel tempo, ha indotto una disregolazione dei meccanismi di modulazione endogena.
Quando il dolore si cronicizza, le reti nervose deputate all’elaborazione nocicettiva subiscono modificazioni funzionali e strutturali: il midollo spinale, il tronco encefalico, il talamo e la corteccia somatosensoriale mostrano forme di potenziamento sinaptico, alterata connettività funzionale e rimodulazione recettoriale.
Non è più necessaria una lesione tissutale attiva per generare dolore: il sistema si trova in uno stato di facilitazione centrale persistente. Questo processo prende il nome di sensibilizzazione centrale, ed è uno dei meccanismi chiave nella transizione dal dolore acuto a quello cronico.
I recenti studi di neuroimaging funzionale evidenziano che, nei pazienti con dolore cronico, vi è un’attivazione ricorrente non solo nelle aree sensoriali, ma anche in quelle affettive e cognitive (insula, corteccia cingolata anteriore, PFC ventromediale), suggerendo che il dolore cronico è una costruzione multisistema, non un semplice segnale sensoriale aumentato.
ZOOM TECNICO: COSA SIGNIFICA SENSIBILIZZAZIONE CENTRALE?
Nel c***o dorsale del midollo spinale, la trasmissione del segnale nocicettivo è amplificata da una massiva attivazione dei recettori NMDA e AMPA da parte di glutammato e aspartato, principali neurotrasmettitori eccitatori.
Si osserva una riduzione del tono inibitorio (GABA, glicina), alterazione del bilanciamento tra interneuroni inibitori ed eccitatori e una iperattivazione delle cellule gliali, che rilasciano citochine pro-infiammatorie (IL-1β, TNF-α, IL-6), contribuendo a uno stato di neuroinfiammazione glio-mediata.
Le vie discendenti inibitorie (che originano, ad esempio, dalla PAG e RVM) possono ridurre la loro efficacia, diminuendo il controllo inibitorio sul segnale doloroso.
In alcuni casi, anche strutture superiori come il talamo mostrano iperattività spontanea o disregolazione funzionale, anche se non sono coinvolte in tutte le forme di cronicizzazione.
È qui che il dolore non è più solo nocicettivo (associato a lesione tissutale) né strettamente neuropatico (associato a lesione del sistema nervoso), ma assume le caratteristiche di una condizione nociplastica: un’alterazione della nocicezione senza evidenza di danno tissutale continuo o lesione neurale evidente.
La nociplastia è riconosciuta dall’IASP come una categoria distinta, in cui il sistema nervoso si comporta come se ci fosse un danno, anche in assenza di input periferici patologici. Questo è sostenuto da una iperespressione sinaptica persistente e da una desensibilizzazione delle vie discendenti inibitorie, con riduzione della soglia al dolore in tutto il sistema.
IL RUOLO DEL CONTESTO E DELLA NARRAZIONE
La percezione del dolore è influenzata da fattori contestuali, sociali ed esperienziali. Il contesto (un luogo sicuro, una relazione terapeutica empatica, una spiegazione chiara) modula la risposta del sistema nervoso.
Cambiare la “narrazione” del dolore significa modificare la predizione che il cervello genera su ciò che sta accadendo. È il senso attribuito all’esperienza, non solo lo stimolo, a determinare la risposta.
LE MOLECOLE DEL DOLORE: I PROTAGONISTI INVISIBILI
Glutammato e aspartato: i principali neurotrasmettitori eccitatori del sistema nervoso centrale. Nel contesto della cronicizzazione, la loro liberazione sinaptica risulta aumentata e scarsamente regolata, amplificando il segnale doloroso.
BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor): neurotrofina coinvolta nella plasticità sinaptica. Potenzia la trasmissione nocicettiva e facilita la centralizzazione del dolore, promuovendo la formazione e stabilizzazione di nuove sinapsi eccitatorie.
Sostanza P: neuropeptide che sensibilizza i neuroni nocicettivi, contribuisce alla neuroinfiammazione e, insieme al BDNF, rafforza i circuiti pro-dolorifici.
Prostaglandine (PGE2): mediate dall’enzima COX-2, amplificano il segnale nocicettivo e facilitano la plasticità sinaptica maladattiva.
Citochine pro-infiammatorie: IL-1β, TNF-α e IL-6, rilasciate dalla microglia attivata, mantengono uno stato infiammatorio persistente all’interno del sistema nervoso centrale.
Anche il sistema degli endocannabinoidi mostra una downregulation funzionale nei quadri di dolore cronico. Si osserva ridotta espressione dei recettori CB1 nelle aree corticali e disregolazione dell’asse anandamide–2AG. Questo altera l’omeostasi eccitatoria/inibitoria e apre scenari terapeutici legati alla neuromodulazione cannabinoide.
LA MICROGLIA ATTIVATA: SENTINELLA O SABOTATORE?
La microglia è la principale cellula immunitaria del sistema nervoso centrale. In condizioni fisiologiche, mantiene l’omeostasi tissutale.
Ma in caso di stimolazione nocicettiva persistente o trauma emotivo associato a dolore, può entrare in uno stato di attivazione cronica, rilasciando molecole pro-infiammatorie e contribuendo alla neuroinfiammazione centrale.
In questo stato, non risponde più a un danno da riparare, ma contribuisce attivamente alla perpetuazione del dolore, mantenendo un ambiente neurochimico ipereccitabile.
È stato dimostrato che, nei modelli animali, la microglia attivata può promuovere una trasformazione fenotipica astrocitaria e cooperare con gli astrociti per sostenere la cronicizzazione. Inoltre, la microglia può favorire un aumento della permeabilità della barriera ematoencefalica, facilitando ulteriori ingressi molecolari nel SNC.
QUANDO I FRENI NATURALI NON FUNZIONANO PIÙ
Le vie discendenti inibitorie rappresentano il principale sistema endogeno di modulazione del dolore. Utilizzano neurotrasmettitori come GABA, serotonina, noradrenalina, endorfine.
Nel dolore cronico, si osserva una ridotta efficacia delle vie inibitorie (disinibizione centrale), che porta a iperalgesia (dolore amplificato) e allodinia (dolore in risposta a stimoli non dolorosi).
Non è il dolore ad aumentare in senso assoluto, ma è il filtro inibitorio a venir meno, esponendo il sistema a una iper-risposta disfunzionale.
La capacità di regolare il dolore attraverso conditioned pain modulation (CPM) risulta ridotta in pazienti con dolore cronico. Questo deficit di inibizione diffusa è correlato a una minore attivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale e dell’insula anteriore durante l’elaborazione del dolore.
LA MEMORIA DEL DOLORE: UNA TRACCIA GENICA
Il dolore cronico non altera solo la funzione. Modifica l’espressione genica delle cellule nervose e gliali.
Attraverso meccanismi epigenetici (metilazione del DNA, acetilazione degli istoni), si consolida la struttura dei circuiti pro-dolorifici e si stabilizza la sensibilità sinaptica.
Il dolore, in questi casi, diventa un circuito funzionalmente stabile, non più legato alla presenza di una lesione, ma alla sua memoria neurochimica.
Alcuni studi hanno evidenziato che la metilazione del gene OPRM1, che codifica per il recettore oppioide μ, è associata a una minore risposta ai farmaci e a una maggiore cronicizzazione. Allo stesso modo, microRNA come miR-21 e miR-124 risultano alterati nel dolore cronico, agendo sulla funzione delle cellule gliali.
E COSA POSSIAMO FARE?
Il dolore cronico primario non si spegne con una tecnica e non si dissolve con una frase. Ma può essere rimodulato.
Come? Attraverso interventi che agiscono sui circuiti alterati, promuovono nuove esperienze percettive, riattivano i freni naturali del sistema, migliorano la fiducia e ricostruiscono il senso di sicurezza interocettiva e motoria.
CONCLUSIONI
Il dolore cronico primario non è frutto di un errore del paziente, ma di una neuroplasticità maladattiva, che può essere rimodulata attraverso il cambiamento esperienziale e relazionale.
Non dobbiamo convincere il corpo che “non c’è niente”. Dobbiamo offrirgli nuove possibilità di risposta. Serve tempo, costanza, conoscenza e un approccio multidimensionale che includa corpo, mente e ambiente.
Ogni nuova esperienza di movimento, relazione o consapevolezza riattiva il potenziale plastico del sistema nervoso e può condurre a una riorganizzazione funzionale, più coerente con il presente.
Quando la neurochimica incontra la clinica, nasce una medicina della profondità.
E la buona notizia è che la plasticità non è definitiva: anche il dolore può essere “disimparato”.
OLTRE IL SINTOMO: IL RUOLO DELLA FISIOTERAPIA
Il dolore cronico primario ci obbliga a ripensare cosa intendiamo per guarigione: non più semplice assenza di sintomi, ma recupero della funzionalità, della partecipazione e della qualità di vita.
In questa prospettiva, il fisioterapista non è solo un tecnico del movimento, ma un mediatore tra sistema nervoso e realtà. Un educatore del dolore, capace di spiegare, rassicurare, proporre.
Soprattutto, capace di restituire senso e controllo a chi sente che il dolore sia diventato una parte inamovibile di sé.
GLOSSARIO NEUROFUNZIONALE
Concetti chiave per comprendere il dolore cronico primario
1. Smudging
Termine neuroscientifico che indica una “sfumatura” o disorganizzazione delle mappe corticali, in particolare nella corteccia somatosensoriale (S1) o motoria (M1). Nel dolore cronico, la rappresentazione del corpo diventa meno definita: un dito, un’anca o una schiena possono “perdersi” nella mappa del cervello. È stato osservato in lombalgie aspecifiche croniche, disturbi dell’arto fantasma e dolore miofasciale.
2. Stimolazione nocicettiva afferente
È l’arrivo al sistema nervoso centrale di segnali provenienti da nocicettori periferici, attivati da stimoli chimici, termici o meccanici. Può anche originare da alterazioni neurogene (es. neuromi, flogosi neurogena) purché vi sia un input periferico reale.
Quando il sistema nervoso continua a segnalare dolore in assenza di questi stimoli, non è più nocicettivo o neurogeno, ma nociplastico.
3. Conditioned Pain Modulation (CPM)
Meccanismo fisiologico attraverso cui uno stimolo doloroso può inibire un altro dolore. È una misura dell’efficacia delle vie discendenti inibitorie: se CPM è assente o ridotto, il sistema ha perso una parte della sua “regolazione naturale del dolore”.
4. Istone
Proteina che funge da struttura di avvolgimento per il DNA all’interno del nucleo cellulare. La loro acetilazione o metilazione è uno dei principali meccanismi di regolazione epigenetica: controllano quali geni vengono espressi (attivi) o silenziati (inattivi), senza modificare il codice genetico.
5. miR-21 e miR-124
Sono microRNA, molecole di RNA non codificante che regolano finemente l’espressione genica.
miR-21: favorisce infiammazione e attivazione gliale (pro-dolorifico).
miR-124: ha un’azione neuroprotettiva e anti-infiammatoria (anti-dolorifico).
Alterazioni di questi microRNA sono associate a maggior rischio di cronicizzazione del dolore.
6. Predictive coding
Modello teorico secondo cui il cervello non si limita a ricevere stimoli, ma prevede continuamente ciò che accadrà. Il dolore, in questo schema, può emergere come una predizione appresa, più che come risposta a un input reale. Se il cervello “si aspetta” dolore, può generarlo anche in assenza di un vero stimolo dannoso.
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