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IL DOLORE CHE RESTANeurofisiologia di una funzione che ha perso il suo scopoIn questi mesi abbiamo parlato di funzione, ...
17/09/2025

IL DOLORE CHE RESTA
Neurofisiologia di una funzione che ha perso il suo scopo

In questi mesi abbiamo parlato di funzione, consapevolezza, educazione, movimento..
Ma cosa accade quando il dolore non è più il segnale di una lesione, ma diventa una sensazione sorda e persistente, disallineata dai segnali tissutali? Quando il corpo appare guarito, ma l’esperienza dolorosa continua senza che vi sia un reale segnale di danno?

Per rispondere, dobbiamo addentrarci in un territorio ancora poco esplorato nel linguaggio comune, ma ben conosciuto nella scienza del dolore: la neurobiochimica della cronicizzazione.

Il dolore cronico primario non è una semplice persistenza del dolore acuto. È una condizione neurofunzionale complessa e stabile, sostenuta da alterazioni plastiche dei circuiti nervosi, da processi infiammatori neurogliali e da modificazioni epigenetiche.

Il termine “dolore cronico primario” è stato introdotto nella classificazione ICD-11. Indica una condizione in cui il dolore è la malattia stessa, non sintomo e non un danno a sè, ma una disfunzione dei meccanismi di modulazione del dolore.

Le neuroscienze dimostrano che nel dolore cronico primario si assiste a una ridefinizione delle mappe corticali, specialmente nella corteccia somatosensoriale, con fenomeni di “smudging” (sfumatura della rappresentazione corporea), che contribuiscono a un’esperienza percettiva disorganizzata e persistente. Questo dato sottolinea come il dolore non sia solo un segnale, ma una vera e propria rappresentazione plastica alterata.

IL DOLORE NON PASSA?

Forse il tuo sistema nervoso sta mantenendo attivi i circuiti del dolore, anche in assenza di stimoli lesivi, in risposta a una stimolazione nocicettiva afferente che, reiterata nel tempo, ha indotto una disregolazione dei meccanismi di modulazione endogena.

Quando il dolore si cronicizza, le reti nervose deputate all’elaborazione nocicettiva subiscono modificazioni funzionali e strutturali: il midollo spinale, il tronco encefalico, il talamo e la corteccia somatosensoriale mostrano forme di potenziamento sinaptico, alterata connettività funzionale e rimodulazione recettoriale.

Non è più necessaria una lesione tissutale attiva per generare dolore: il sistema si trova in uno stato di facilitazione centrale persistente. Questo processo prende il nome di sensibilizzazione centrale, ed è uno dei meccanismi chiave nella transizione dal dolore acuto a quello cronico.

I recenti studi di neuroimaging funzionale evidenziano che, nei pazienti con dolore cronico, vi è un’attivazione ricorrente non solo nelle aree sensoriali, ma anche in quelle affettive e cognitive (insula, corteccia cingolata anteriore, PFC ventromediale), suggerendo che il dolore cronico è una costruzione multisistema, non un semplice segnale sensoriale aumentato.

ZOOM TECNICO: COSA SIGNIFICA SENSIBILIZZAZIONE CENTRALE?

Nel c***o dorsale del midollo spinale, la trasmissione del segnale nocicettivo è amplificata da una massiva attivazione dei recettori NMDA e AMPA da parte di glutammato e aspartato, principali neurotrasmettitori eccitatori.

Si osserva una riduzione del tono inibitorio (GABA, glicina), alterazione del bilanciamento tra interneuroni inibitori ed eccitatori e una iperattivazione delle cellule gliali, che rilasciano citochine pro-infiammatorie (IL-1β, TNF-α, IL-6), contribuendo a uno stato di neuroinfiammazione glio-mediata.

Le vie discendenti inibitorie (che originano, ad esempio, dalla PAG e RVM) possono ridurre la loro efficacia, diminuendo il controllo inibitorio sul segnale doloroso.
In alcuni casi, anche strutture superiori come il talamo mostrano iperattività spontanea o disregolazione funzionale, anche se non sono coinvolte in tutte le forme di cronicizzazione.

È qui che il dolore non è più solo nocicettivo (associato a lesione tissutale) né strettamente neuropatico (associato a lesione del sistema nervoso), ma assume le caratteristiche di una condizione nociplastica: un’alterazione della nocicezione senza evidenza di danno tissutale continuo o lesione neurale evidente.

La nociplastia è riconosciuta dall’IASP come una categoria distinta, in cui il sistema nervoso si comporta come se ci fosse un danno, anche in assenza di input periferici patologici. Questo è sostenuto da una iperespressione sinaptica persistente e da una desensibilizzazione delle vie discendenti inibitorie, con riduzione della soglia al dolore in tutto il sistema.

IL RUOLO DEL CONTESTO E DELLA NARRAZIONE

La percezione del dolore è influenzata da fattori contestuali, sociali ed esperienziali. Il contesto (un luogo sicuro, una relazione terapeutica empatica, una spiegazione chiara) modula la risposta del sistema nervoso.

Cambiare la “narrazione” del dolore significa modificare la predizione che il cervello genera su ciò che sta accadendo. È il senso attribuito all’esperienza, non solo lo stimolo, a determinare la risposta.

LE MOLECOLE DEL DOLORE: I PROTAGONISTI INVISIBILI

Glutammato e aspartato: i principali neurotrasmettitori eccitatori del sistema nervoso centrale. Nel contesto della cronicizzazione, la loro liberazione sinaptica risulta aumentata e scarsamente regolata, amplificando il segnale doloroso.

BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor): neurotrofina coinvolta nella plasticità sinaptica. Potenzia la trasmissione nocicettiva e facilita la centralizzazione del dolore, promuovendo la formazione e stabilizzazione di nuove sinapsi eccitatorie.

Sostanza P: neuropeptide che sensibilizza i neuroni nocicettivi, contribuisce alla neuroinfiammazione e, insieme al BDNF, rafforza i circuiti pro-dolorifici.

Prostaglandine (PGE2): mediate dall’enzima COX-2, amplificano il segnale nocicettivo e facilitano la plasticità sinaptica maladattiva.

Citochine pro-infiammatorie: IL-1β, TNF-α e IL-6, rilasciate dalla microglia attivata, mantengono uno stato infiammatorio persistente all’interno del sistema nervoso centrale.

Anche il sistema degli endocannabinoidi mostra una downregulation funzionale nei quadri di dolore cronico. Si osserva ridotta espressione dei recettori CB1 nelle aree corticali e disregolazione dell’asse anandamide–2AG. Questo altera l’omeostasi eccitatoria/inibitoria e apre scenari terapeutici legati alla neuromodulazione cannabinoide.

LA MICROGLIA ATTIVATA: SENTINELLA O SABOTATORE?

La microglia è la principale cellula immunitaria del sistema nervoso centrale. In condizioni fisiologiche, mantiene l’omeostasi tissutale.

Ma in caso di stimolazione nocicettiva persistente o trauma emotivo associato a dolore, può entrare in uno stato di attivazione cronica, rilasciando molecole pro-infiammatorie e contribuendo alla neuroinfiammazione centrale.

In questo stato, non risponde più a un danno da riparare, ma contribuisce attivamente alla perpetuazione del dolore, mantenendo un ambiente neurochimico ipereccitabile.

È stato dimostrato che, nei modelli animali, la microglia attivata può promuovere una trasformazione fenotipica astrocitaria e cooperare con gli astrociti per sostenere la cronicizzazione. Inoltre, la microglia può favorire un aumento della permeabilità della barriera ematoencefalica, facilitando ulteriori ingressi molecolari nel SNC.

QUANDO I FRENI NATURALI NON FUNZIONANO PIÙ

Le vie discendenti inibitorie rappresentano il principale sistema endogeno di modulazione del dolore. Utilizzano neurotrasmettitori come GABA, serotonina, noradrenalina, endorfine.

Nel dolore cronico, si osserva una ridotta efficacia delle vie inibitorie (disinibizione centrale), che porta a iperalgesia (dolore amplificato) e allodinia (dolore in risposta a stimoli non dolorosi).

Non è il dolore ad aumentare in senso assoluto, ma è il filtro inibitorio a venir meno, esponendo il sistema a una iper-risposta disfunzionale.

La capacità di regolare il dolore attraverso conditioned pain modulation (CPM) risulta ridotta in pazienti con dolore cronico. Questo deficit di inibizione diffusa è correlato a una minore attivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale e dell’insula anteriore durante l’elaborazione del dolore.

LA MEMORIA DEL DOLORE: UNA TRACCIA GENICA

Il dolore cronico non altera solo la funzione. Modifica l’espressione genica delle cellule nervose e gliali.

Attraverso meccanismi epigenetici (metilazione del DNA, acetilazione degli istoni), si consolida la struttura dei circuiti pro-dolorifici e si stabilizza la sensibilità sinaptica.

Il dolore, in questi casi, diventa un circuito funzionalmente stabile, non più legato alla presenza di una lesione, ma alla sua memoria neurochimica.

Alcuni studi hanno evidenziato che la metilazione del gene OPRM1, che codifica per il recettore oppioide μ, è associata a una minore risposta ai farmaci e a una maggiore cronicizzazione. Allo stesso modo, microRNA come miR-21 e miR-124 risultano alterati nel dolore cronico, agendo sulla funzione delle cellule gliali.

E COSA POSSIAMO FARE?

Il dolore cronico primario non si spegne con una tecnica e non si dissolve con una frase. Ma può essere rimodulato.

Come? Attraverso interventi che agiscono sui circuiti alterati, promuovono nuove esperienze percettive, riattivano i freni naturali del sistema, migliorano la fiducia e ricostruiscono il senso di sicurezza interocettiva e motoria.

CONCLUSIONI

Il dolore cronico primario non è frutto di un errore del paziente, ma di una neuroplasticità maladattiva, che può essere rimodulata attraverso il cambiamento esperienziale e relazionale.

Non dobbiamo convincere il corpo che “non c’è niente”. Dobbiamo offrirgli nuove possibilità di risposta. Serve tempo, costanza, conoscenza e un approccio multidimensionale che includa corpo, mente e ambiente.

Ogni nuova esperienza di movimento, relazione o consapevolezza riattiva il potenziale plastico del sistema nervoso e può condurre a una riorganizzazione funzionale, più coerente con il presente.

Quando la neurochimica incontra la clinica, nasce una medicina della profondità.

E la buona notizia è che la plasticità non è definitiva: anche il dolore può essere “disimparato”.

OLTRE IL SINTOMO: IL RUOLO DELLA FISIOTERAPIA

Il dolore cronico primario ci obbliga a ripensare cosa intendiamo per guarigione: non più semplice assenza di sintomi, ma recupero della funzionalità, della partecipazione e della qualità di vita.

In questa prospettiva, il fisioterapista non è solo un tecnico del movimento, ma un mediatore tra sistema nervoso e realtà. Un educatore del dolore, capace di spiegare, rassicurare, proporre.

Soprattutto, capace di restituire senso e controllo a chi sente che il dolore sia diventato una parte inamovibile di sé.

GLOSSARIO NEUROFUNZIONALE

Concetti chiave per comprendere il dolore cronico primario

1. Smudging

Termine neuroscientifico che indica una “sfumatura” o disorganizzazione delle mappe corticali, in particolare nella corteccia somatosensoriale (S1) o motoria (M1). Nel dolore cronico, la rappresentazione del corpo diventa meno definita: un dito, un’anca o una schiena possono “perdersi” nella mappa del cervello. È stato osservato in lombalgie aspecifiche croniche, disturbi dell’arto fantasma e dolore miofasciale.

2. Stimolazione nocicettiva afferente

È l’arrivo al sistema nervoso centrale di segnali provenienti da nocicettori periferici, attivati da stimoli chimici, termici o meccanici. Può anche originare da alterazioni neurogene (es. neuromi, flogosi neurogena) purché vi sia un input periferico reale.
Quando il sistema nervoso continua a segnalare dolore in assenza di questi stimoli, non è più nocicettivo o neurogeno, ma nociplastico.

3. Conditioned Pain Modulation (CPM)

Meccanismo fisiologico attraverso cui uno stimolo doloroso può inibire un altro dolore. È una misura dell’efficacia delle vie discendenti inibitorie: se CPM è assente o ridotto, il sistema ha perso una parte della sua “regolazione naturale del dolore”.

4. Istone

Proteina che funge da struttura di avvolgimento per il DNA all’interno del nucleo cellulare. La loro acetilazione o metilazione è uno dei principali meccanismi di regolazione epigenetica: controllano quali geni vengono espressi (attivi) o silenziati (inattivi), senza modificare il codice genetico.

5. miR-21 e miR-124

Sono microRNA, molecole di RNA non codificante che regolano finemente l’espressione genica.

miR-21: favorisce infiammazione e attivazione gliale (pro-dolorifico).

miR-124: ha un’azione neuroprotettiva e anti-infiammatoria (anti-dolorifico).

Alterazioni di questi microRNA sono associate a maggior rischio di cronicizzazione del dolore.

6. Predictive coding

Modello teorico secondo cui il cervello non si limita a ricevere stimoli, ma prevede continuamente ciò che accadrà. Il dolore, in questo schema, può emergere come una predizione appresa, più che come risposta a un input reale. Se il cervello “si aspetta” dolore, può generarlo anche in assenza di un vero stimolo dannoso.

Fisio-Notizie

IL DIAFRAMMA – IL GRANDE INCOMPRESO DEL CORPO (E IL SUO RAPPORTO CON LO PSOAS)Bentornati nel nostro viaggio anatomico, c...
17/09/2025

IL DIAFRAMMA – IL GRANDE INCOMPRESO DEL CORPO (E IL SUO RAPPORTO CON LO PSOAS)

Bentornati nel nostro viaggio anatomico, con una domanda che ribalta la prospettiva: e se ti dicessi che il tuo modo di respirare ha molto più a che fare con la postura e con la percezione di dolore lombare di quanto spesso si pensi? 🧐

Cosa stai guardando?

Questa illustrazione rappresenta una vera e propria “centralina di comando” del tuo corpo: il diaframma toraco-lombare. Ma non è da solo. Osserva attentamente: insieme a lui vediamo attori noti come il grande e piccolo psoas e l’iliaco, oltre al retto dell’addome e al quadrato dei lombi (non presenti nell’immagine).

Il diaframma è un muscolo a forma di cupola che separa cavità toracica e addominale. Qui lo vedi da un’inquadratura inferiore (caudocraniale), e puoi distinguere i tre principali iati anatomici: foro della vena cava inferiore, foro esofageo, foro aortico.

In basso, quelle due robuste colonne muscolari che si proiettano verso l’alto sono i pilastri del diaframma, o crura, che mostrano rapporti di continuità fasciale con le strutture lombari profonde, incluso lo psoas. Non è poesia: è anatomia funzionale. Comunque poetica! 😅

Perché è così interessante?

Perché qui non stiamo parlando solo di fisiologia respiratoria. Stiamo parlando di modulazione della pressione intra-addominale, stabilità e supporto del rachide lombare, funzione viscerale, coordinazione neuromuscolare tra respiro e controllo motorio del core.

In alcune condizioni cliniche (lombalgie non specifiche, modelli posturali adattivi, alterazioni del pattern respiratorio), un reclutamento non ottimale del diaframma può associarsi a una maggiore attività compensatoria dello psoas.

È importante precisare: questa è una correlazione biomeccanico-funzionale, non una regola universale né un automatismo diagnostico.

Il risultato? Potresti ritrovarti con la percezione di rigidità lombare, un respiro “alto” prevalentemente toracico e, talvolta, disturbi funzionali come senso di oppressione o alterata motilità viscerale.

Il test (semiserio, ma utile per la consapevolezza)

Vuoi un piccolo esperimento di percezione corporea? (Questo è un semplice esercizio di percezione, non un test diagnostico validato scientificamente.)

Sdraiati supino. Appoggia una mano sull’addome e una sul petto. Respira lentamente.

Si solleva prima il petto? Potresti avere una prevalenza toracica del respiro.

Si solleva prima l’addome? Stai reclutando più efficacemente il diaframma.

Piega le anche e le ginocchia a 90°, appoggiando i piedi su una sedia.

Durante l’espirazione, immagina di percepire lo psoas che si “ammorbidisce” e si allunga passivamente. Non è immediato, ma questo esercizio può favorire una maggiore consapevolezza del rapporto tra respiro e regione lombare.

NB: Questo non sostituisce la valutazione di un professionista sanitario qualificato.

Curiosità wow

Il pilastro destro del diaframma si inserisce anteriormente fino al corpo vertebrale di L3 (in alcuni soggetti anche L4), e talvolta le fibre connettive possono fondersi con quelle del grande psoas e con i legamenti longitudinali anteriori.

Ecco spiegato perché respirazione e postura hanno connessioni anatomiche dirette, oltre che coordinate neurofisiologiche.

Conclusione e invito alla community

Fisioterapisti e operatori sanitari: quanto spesso integrate il ragionamento respiratorio nella valutazione dei pazienti con lombalgia o disfunzioni del core?

Pazienti e curiosi: vi siete mai chiesti se la vostra lombalgia potrebbe avere anche una componente legata al pattern respiratorio?

“Le informazioni presentate hanno finalità divulgativa e non sostituiscono una valutazione personalizzata da parte di professionisti sanitari qualificati. La presenza di lombalgia può derivare da numerosi fattori, per cui ogni caso necessita di un approccio individualizzato.”

Fisio-Notizie

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Scopri consigli pratici e approfondimenti sul benessere fisico e la fisioterapia. Leggi i nostri articoli su EduCare Fisio.

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I dati mostrano che l’insulina è ampiamente impiegata nelle unità di terapia intensiva e nei reparti di emergenza, vista la sua efficacia nel trattare prontamente l’iperglicemia, una condizione potenzialmente grave se non gestita rapidamente.

L’insulina come arma salvavita: urgenze endocrinologiche

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16/09/2025

Finalmente è martedì! Benvenuti all’ottavo episodio di “Neurolandia: il sistema nervoso come non lo avete mai visto!”

Oggi parliamo di un nervo che cuce e ricuce, non con ago e filo.. ma con adduzione e controllo. È il nervo otturatorio, il sarto dell’anca e del bacino, quello che mantiene eleganza e precisione nei movimenti delle cosce. Silenzioso, profondo, spesso ignorato.. finché non pizzica!

Dove sta?

Il nervo otturatorio origina dal plesso lombare, precisamente dalle radici L2, L3, L4. Scende medialmente al muscolo psoas e passa attraverso il canale otturatorio (una piccola apertura nell’osso pubico).

Da qui entra nella coscia, dove si divide in un ramo anteriore (tra adduttore lungo e breve) e in un ramo posteriore (dietro all’adduttore breve, vicino al grande adduttore).

Un decorso profondo e strategico, molto vicino a strutture ginecologiche, urologiche e vascolari.

Che cosa fa?

Dal punto di vista motorio, innerva i principali muscoli adduttori della coscia: gracile, adduttore lungo, breve e parte dell’adduttore grande. Partecipa alla stabilità del bacino durante la deambulazione.

Dal punto di vista sensitivo, fornisce sensibilità alla parte mediale della coscia, tramite il ramo cutaneo anteriore.

In sintesi: porta la gamba verso la linea mediana e ti fa “stringere le gambe” con forza e controllo. Non poco, vero?

Come si lamenta?

Quando è irritato o compresso, il nervo otturatorio può causare dolore nella parte interna della coscia, spesso profondo e difficile da localizzare.
Può portare a debolezza negli adduttori, con instabilità o difficoltà a stringere le gambe. Intorpidimento o parestesie lungo la faccia mediale della coscia e dolore irradiato verso inguine o ginocchio, soprattutto nella deambulazione o durante il passo laterale.

A volte può simulare problemi muscolari.. ma la causa è neurologica.

Ruolo nella vita quotidiana

Il nervo otturatorio lavora quando cammini, soprattutto nella fase di contatto iniziale, stabilizzi il bacino su una gamba sola, fai movimenti di adduzione, mantieni la postura eretta in equilibrio, o ti alzi da una sedia senza le gambe che si aprono a papera.

Senza di lui, il gesto si fa incerto. E il ginocchio.. “sfugge verso l’esterno”.

Patologie e disfunzioni

Neuropatia da compressione durante interventi chirurgici pelvici (es. ginecologici, urologici).

Lesione ostetrica (durante parti complicati o forcipe).

Ernia otturatoria (rara, ma da tenere in considerazione soprattutto negli anziani).

Traumi pelvici o fratture del bacino.

Sindrome del canale otturatorio: entrapment diretto del nervo nel passaggio osteo-fasciale.

Curiosità neurologica

Lo sapevi che in caso di ernia otturatoria, uno dei segni clinici può essere il segno di Howship-Romberg?

Un dolore alla coscia mediale che peggiora con l’estensione, abduzione e rotazione interna dell’anca, proprio perché il nervo viene stirato dal contenuto erniario nel canale otturatorio.

Approccio fisioterapico

La gestione fisioterapica (dopo diagnosi medica) si orienta sulla valutazione selettiva degli adduttori e dei compensi motori. Sono utili tecniche di neurodinamica (scivolamento del nervo otturatorio) e un percorso di rieducazione motoria funzionale per il recupero della stabilità dinamica del bacino.

Rinforzo mirato degli adduttori e muscoli sinergici e tecniche manuali su muscolo psoas, parete addominale, adduttori e fascia iliaca. Recupero propriocettivo e allenamento alla simmetria.

In caso di ipertono o retrazione adduttoria, stretching neuromodulato e gestione del carico.

Conclusione

Il nervo otturatorio non ama la ribalta,
ma senza di lui la camminata perde precisione e il bacino si fa traballante. È il nervo dell’equilibrio elegante.. e se si irrita, anche un semplice passo può diventare un disagio interno, difficile da spiegare ma impossibile da ignorare.

Ci vediamo martedì prossimo su Neurolandia.. perché quando i nervi parlano, noi impariamo ad ascoltarli. 🤗

Nota bene

Anche se a Neurolandia i nervi parlano.. la diagnosi medica la fa il medico. Quindi, se i sintomi ti fanno compagnia da troppo tempo, ascolta i segnali e confrontati con un neurologo o uno specialista medico. Noi siamo qui per spiegarti come funzionano le cose, ma la cura parte sempre da una valutazione sanitaria.

Fisio-Notizie

L’embolia polmonare, una patologia caratterizzata dall’occlusione di un’arteria polmonare da un trombo, rappresenta una ...
15/09/2025

L’embolia polmonare, una patologia caratterizzata dall’occlusione di un’arteria polmonare da un trombo, rappresenta una delle principali urgenze cardiovascolari, posizionandosi al terzo posto dopo l’infarto miocardico e l’ictus.
In Italia, l’incidenza annuale di embolia polmonare varia tra 71 e 117 casi per 100.000 abitanti, con un totale di circa 65.000 casi. Questi dati evidenziano l’importanza cruciale di una diagnosi tempestiva e di un trattamento efficace per ridurre il rischio di complicanze e migliorare l’esito del paziente.

Da dove nasce l’embolia polmonare
L’embolia polmonare è spesso causata da un trombo che si forma in una vena profonda del corpo, condizione nota come trombosi venosa profonda (TVP). La TVP si verifica più comunemente nelle vene delle gambe o del bacino e può essere causata da una varietà di fattori. Questi includono l’immobilità prolungata, come durante un lungo viaggio in aereo o in auto, o la degenza dopo un intervento chirurgico. Altri fattori di rischio includono l’età avanzata, l’obesità, le fratture ossee, l’uso di contraccettivi ormonali o la terapia ormonale sostitutiva, la gravidanza e il parto, il fumo di sigaretta e alcune condizioni genetiche che aumentano la coagulazione del sangue.
La TVP può causare sintomi come gonfiore, dolore, sensazione di calore e arrossamento nella gamba interessata. Tuttavia, è possibile che non si verifichino sintomi evidenti fino a quando il trombo non si stacca e viaggia fino ai polmoni, causando un’embolia polmonare.

Dinamiche fisiopatologiche dell’embolia polmonare
L’embolia polmonare (EP) è un evento patologico grave che, come anticipato, si instaura in seguito all’ostruzione dell’albero arterioso polmonare da parte di materiale embolico, spesso trombi provenienti dalle vene sistemiche. Questo fenomeno porta a un aumento delle resistenze vascolari polmonari e, di conseguenza, ad un incremento della pressione nell’arteria polmonare e nel ventricolo destro. Il ventricolo destro risponde inizialmente con una dilatazione per mantenere la gittata cardiaca, ma oltre un certo limite, questa dilatazione diventa controproducente, causando insufficienza ventricolare destra.
Inoltre, tale insufficienza del ventricolo destro comporta un aumento delle pressioni in atrio destro e nelle vene sistemiche, portando a congestione venosa sistemica. A valle dell’ostruzione poi, si verifica una riduzione del riempimento del ventricolo sinistro, con conseguente diminuzione della gittata sistemica e possibile ipotensione sistemica, fino allo shock nelle forme più gravi.
Tutto questo genera inevitabilmente sintomi che possono variare da dispnea e tachipnea a ipossia ipocapnica, sincope e segni di trombosi venosa profonda (TVP, che ne spiegherebbe l’insorgenza). Infine, i casi di EP massiva, si possono manifestare dolore toracico, emottisi e shock.

L’embolia polmonare: percorsi diagnostici e terapeutici
La diagnosi di embolia polmonare si basa su una serie di esami.
-L’elettrocardiogramma, o ECG, può mostrare segni di sovraccarico ventricolare destro, ma un ECG normale non esclude in ogni caso la patologia, costringendo ad ulteriori approfondimenti.
-La radiografia del torace è fondamentale per escludere altre cause di dispnea, ma spesso appare normale in caso di embolia polmonare.
-L’eco-Doppler viene utilizzato per diagnosticare la trombosi venosa profonda negli arti inferiori. In caso di instabilità emodinamica, l’ecocardiogramma verifica la presenza di dilatazione o disfunzione ventricolare destra.

Embolia polmonare: un’analisi dettagliata

È lunedì.. ed è tempo di una nuova puntata di “Anatomia Spassosa: esploriamo il corpo umano con un sorriso! 😄”Oggi facci...
15/09/2025

È lunedì.. ed è tempo di una nuova puntata di “Anatomia Spassosa: esploriamo il corpo umano con un sorriso! 😄”

Oggi facciamo un salto nella parte alta del corpo, in un angolo spesso trascurato ma davvero unico:
andiamo a conoscere l’osso ioide, l’unico osso del corpo.. che non tocca nessun altro osso!

Sì, hai letto bene: è un vero equilibrista sospeso, e senza di lui non parleremmo, non deglutiremmo e non canteremmo nemmeno sotto la doccia!

È piccolo, a forma di ferro di cavallo, e se ne sta lì, in alto nel collo, sospeso tra muscoli e legamenti come un funambolo. Ma non lasciarti ingannare dalle dimensioni: l’osso ioide è uno snodo cruciale per voce, deglutizione e respirazione.

Cos’è e dov’è?

L’osso ioide è un piccolo osso impari e mediano, a forma di U rovesciata. Si trova alla base della mandibola, sopra la laringe, all’altezza della C3 circa. Ed ecco il suo superpotere: non si articola con nessun altro osso del corpo umano!

È sospeso grazie a muscoli e legamenti, connesso alla mandibola, alla lingua, al cranio, alla laringe, al torace. Insomma: è una centralina muscolare fluttuante!

Cosa fa (e perché è così importante)?

L’ioide è come un direttore d’orchestra silenzioso.

Ecco i suoi ruoli principali.

Aiuta a parlare e cantare: è il punto d’ancoraggio di muscoli coinvolti nella fonazione.

Coordina la deglutizione: si muove su e giù quando mandiamo giù un boccone.

Partecipa alla respirazione: regola la posizione della laringe e della glottide.

È una base stabile per i muscoli della lingua e del collo. Senza questo piccolo osso, le funzioni vitali di fonazione e alimentazione sarebbero seriamente compromesse!

Curiosità divertente

L’osso ioide è come Spider-Man: sta sospeso nel vuoto, ma collega mondi diversi, lingua, faringe, laringe, mandibola, cranio.. È anche l’unico osso del corpo a non avere contatti articolari con altri ossi, ma riesce comunque a essere protagonista di tantissimi movimenti.
Altro che solitudine: questo osso solitario è al centro della rete sociale del collo!

Funzionamento buffo

Immagina un trapezista che ondeggia sospeso in aria: ogni muscolo che lo tira lo fa spostare in una direzione diversa.

Ecco l’ioide: si muove su, giù, avanti e indietro, grazie all’azione di oltre dodici muscoli! È un vero ballerino del collo, sempre in movimento quando parli, ingoi, respiri o.. sbadigli. 😮

Nella vita di tutti i giorni

Anche se non ci pensi mai, l’osso ioide ti accompagna in ogni parola che pronunci, sorso d’acqua che deglutisci, canzone che canti a squarciagola e respiro profondo che fai durante una meditazione.

E se qualche muscolo che lo connette (come lo sternoioideo, lo stiloioideo o il miloioideo) è in tensione, potresti persino sentire fastidi al collo, alla mandibola o difficoltà nella deglutizione.

Parole complicate, spiegate semplici

Osso impari: c’è solo uno, non in coppia.

Muscoli sopraioidei e sottoioidei: muscoli che si attaccano sopra e sotto l’ioide, tirandolo in ogni direzione.

Deglutizione: il complesso movimento per mandare giù cibo e liquidi.

Disfonia funzionale: alterazione della voce dovuta a problemi muscolari, anche legati all’ioide.

Come può soffrire?

Tensione miofasciale nei muscoli sopra- o sottoioidei, difficoltà di deglutizione (disfagia) da disfunzione muscolare, problemi vocali funzionali (disfonia) sono i problemi più comuni.

Frattura dell’osso ioide (rara ma grave), spesso in contesti traumatici o in medicina legale

Momento educativo leggero

Rilassare i muscoli del collo migliora la mobilità dell’ioide. Cantare, sbadigliare, fare esercizi di vocalizzazione: un ottimo allenamento! Il trattamento miofasciale della regione sottomentoniera può avere effetti sorprendenti su tensioni mandibolari e cervicali!

Curiosità scientifica

L’osso ioide è così particolare che in medicina legale viene studiato per ricostruire eventi traumatici: una sua frattura può essere un segno distintivo in caso di strangolamento o traumi diretti.

È un piccolo “testimone silenzioso” nei casi forensi.

Ma nel quotidiano, è il nostro acrobata muto:
lavora in silenzio, sospeso nel collo,
connettendo mondi, stabilizzando strutture e mantenendo la tua voce.. armoniosa!

Conclusione

La prossima volta che canti in macchina, deglutisci una pizza o sbadigli in riunione.. pensa al tuo osso ioide, l’equilibrista silenzioso che lavora senza mai chiedere il bis.

Fisio-Notizie

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