10/11/2025
"𝗧𝗶 𝗶𝗴𝗻𝗼𝗿𝗲𝗿ò 𝘁𝗮𝗹𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝘁𝗮𝗻𝘁𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗶𝗻𝗶𝘇𝗶𝗲𝗿𝗮𝗶 𝗮𝗱 𝗮𝘃𝗲𝗿𝗲 𝗱𝘂𝗯𝗯𝗶 𝘀𝘂𝗹𝗹𝗮 𝘁𝘂𝗮 𝗲𝘀𝗶𝘀𝘁𝗲𝗻𝘇𝗮"
Questa frase è stata pronunciata in prima serata televisiva da un giurato di uno show di intrattenimento pagato da tutti i contribuenti del servizi pubblico. Davanti a milioni di persone, compresi bambini e adolescenti.
E nessuno é intervenuto e ha detto niente.
𝗡𝗲𝘀𝘀𝘂𝗻𝗼 𝗵𝗮 𝗻𝗼𝗺𝗶𝗻𝗮𝘁𝗼 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗼 𝗰𝗵𝗲 è 𝗿𝗲𝗮𝗹𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗮𝗰𝗰𝗮𝗱𝘂𝘁𝗼: 𝗹𝗮 𝗻𝗼𝗿𝗺𝗮𝗹𝗶𝘇𝘇𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗽𝘂𝗯𝗯𝗹𝗶𝗰𝗮 𝗱𝗶 𝘂𝗻𝗮 𝘁𝗲𝗰𝗻𝗶𝗰𝗮 𝗱𝗶 𝘃𝗶𝗼𝗹𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗽𝘀𝗶𝗰𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗰𝗮.
Lavoro con bambini, adolescenti e famiglie da anni. Studio le relazioni educative, i processi di apprendimento, le dinamiche che formano o deformano le persone. E quando sento una frase così, in quel contesto, con quella leggerezza, mi si gela il sangue.
Quella non è una frase forte, non è un carattere deciso, non è neanche cattiveria televisiva. È l'esplicitazione di una strategia di abuso emotivo: l'ignoring prolungato e intenzionale usato per destabilizzare l'identità di un'altra persona. "Io ho il potere di cancellare la tua esistenza attraverso la mia non-considerazione".
Questa è la logica del bullismo relazionale. Quella che vediamo nelle scuole, nelle famiglie disfunzionali, nelle relazioni tossiche. Solo che qui viene detta in TV, da un adulto, applaudita, commentata, e trasformata in contenuto virale.
E qui sta il punto che mi crea più disagio: 𝗰𝗼𝘀𝗮 𝘀𝘁𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗶𝗺𝗽𝗮𝗿𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗶 𝗿𝗮𝗴𝗮𝘇𝘇𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝗴𝘂𝗮𝗿𝗱𝗮𝗻𝗼?
Stanno imparando che figure adulte autorevoli possono minacciare pubblicamente l'annientamento psicologico di un'altra persona. Che la crudeltà relazionale è spettacolo. Che va bene usare il silenzio come arma per far male. Che gli altri adulti presenti stanno lì a guardare, quindi evidentemente va bene così.
Stiamo facendo campagne contro il bullismo nelle scuole mentre in prima serata trasmettono esattamente quelle dinamiche, solo con adulti pagati per farlo.
E il vero tradimento non è neanche nella frase in sé. È nel silenzio di tutti gli altri. Nessun conduttore che interrompe, nessun altro giurato che dice "aspetta, questo non si può dire", nessuna produzione che interviene. Solo un pubblico che tifa, commenta, si schiera, ma mai che qualcuno dica: "Fermi. Questo è violenza psicologica e non possiamo lasciar passare che venga spacciata per intrattenimento."
Come pedagogista mi chiedo: 𝗱𝗼𝘃𝗲 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝗴𝗹𝗶 𝗮𝗱𝘂𝗹𝘁𝗶 𝗿𝗲𝘀𝗽𝗼𝗻𝘀𝗮𝗯𝗶𝗹𝗶?
Quelli che dovrebbero proteggere i più giovani dall'esposizione a modelli relazionali distruttivi? Quelli che dovrebbero dire "no, non in prima serata, non davanti ai bambini, non senza conseguenze"?
Perché la questione non è se quella giurata è antipatica o simpatica, se aveva ragione o torto in quello scontro specifico. La questione è che un'intera macchina mediatica ha permesso, prodotto, trasmesso e monetizzato un contenuto che insegna ai minori che la violenza psicologica è accettabile.
E quando provo a dirlo, mi trovo davanti due tipi di reazioni: chi mi dice che sto esagerando (è solo TV, è intrattenimento, non è mica violenza vera), e chi mi dice che comunque l'altra parte aveva sbagliato prima. Come se questo giustificasse qualcosa.
𝗠𝗮 𝗻𝗼𝗶 𝗽𝗿𝗼𝗳𝗲𝘀𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶𝘀𝘁𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹'𝗲𝗱𝘂𝗰𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗽𝗼𝘀𝘀𝗶𝗮𝗺𝗼 𝘀𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗮 𝗴𝘂𝗮𝗿𝗱𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗹 𝘁𝗶𝗳𝗼 𝗱𝗮 𝘀𝘁𝗮𝗱𝗶𝗼.
Dobbiamo nominare le cose per quello che sono. Quella frase è una minaccia di abuso emotivo. Il contesto in cui è avvenuta la legittima socialmente. Il silenzio degli adulti presenti la normalizza. E tutto questo ha un impatto educativo misurabile su chi guarda.
Non è censura. Non è moralismo. È responsabilità pedagogica.
Forse è arrivato il momento che le nostre associazioni professionali, pedagogisti, psicologi, educatori, intervengano. Non per fare guerra alla TV, ma per dire chiaramente: questi contenuti hanno un costo educativo che qualcuno sta pagando. E quel qualcuno sono i ragazzini che poi arrivano nei nostri studi, nelle nostre scuole, con l'idea che trattare così un'altra persona sia normale.
Possiamo segnalare all'AGCOM. Possiamo scrivere alle emittenti. Possiamo creare osservatori pedagogici sui media. Possiamo chiedere che ci sia supervisione educativa sui contenuti in fascia protetta. Possiamo fare formazione agli operatori TV sull'impatto di quello che producono.
𝗠𝗮 𝘀𝗼𝗽𝗿𝗮𝘁𝘁𝘂𝘁𝘁𝗼, 𝗽𝗼𝘀𝘀𝗶𝗮𝗺𝗼 𝘀𝗺𝗲𝘁𝘁𝗲𝗿𝗲 𝗱𝗶 𝗳𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗹 𝘁𝗶𝗳𝗼 𝗲 𝗶𝗻𝗶𝘇𝗶𝗮𝗿𝗲 𝗮 𝗳𝗮𝗿𝗲 𝗴𝗹𝗶 𝗮𝗱𝘂𝗹𝘁𝗶.
Perché ogni volta che una scena così passa senza che nessuno intervenga, stiamo insegnando a un'intera generazione che questa è la normalità. E poi ci stupiamo del bullismo, della violenza relazionale, della fatica dei giovani a costruire legami sani.
La TV ha un potere educativo enorme. E con quel potere viene una responsabilità che non può essere tradita in nome dell'audience.
Scrivo questo come pedagogista e pedagogista clinico, come qualcuno che ogni giorno lavora per riparare i danni di modelli relazionali tossici. E che non può più stare zitta a guardare quegli stessi modelli ve**re trasmessi in prima serata come se niente fosse.
𝙽𝚘𝚝𝚊 𝚍𝚒 𝚝𝚛𝚊𝚜𝚙𝚊𝚛𝚎𝚗𝚣𝚊: 𝙸𝚕 𝚌𝚘𝚗𝚝𝚎𝚗𝚞𝚝𝚘, 𝚕𝚎 𝚒𝚍𝚎𝚎 𝚎 𝚕'𝚊𝚗𝚊𝚕𝚒𝚜𝚒 𝚙𝚎𝚍𝚊𝚐𝚘𝚐𝚒𝚌𝚊 𝚍𝚒 𝚚𝚞𝚎𝚜𝚝𝚘 𝚝𝚎𝚜𝚝𝚘 𝚜𝚘𝚗𝚘 𝚍𝚎𝚕𝚕'𝚊𝚞𝚝𝚛𝚒𝚌𝚎. 𝙻𝚊 𝚏𝚘𝚛𝚖𝚊 𝚕𝚒𝚗𝚐𝚞𝚒𝚜𝚝𝚒𝚌𝚊 è 𝚜𝚝𝚊𝚝𝚊 𝚛𝚒𝚏𝚒𝚗𝚒𝚝𝚊 𝚌𝚘𝚗 𝚒𝚕 𝚜𝚞𝚙𝚙𝚘𝚛𝚝𝚘 𝚍𝚒 𝚒𝚗𝚝𝚎𝚕𝚕𝚒𝚐𝚎𝚗𝚣𝚊 𝚊𝚛𝚝𝚒𝚏𝚒𝚌𝚒𝚊𝚕𝚎