10/08/2025
La luce di un nuovo giorno straripava nella stanza da circa tre ore.
L'atmosfera distesa, tipica delle domeniche senza programmi, suggeriva una colazione prolungata e un discorrere leggero, volontariamente limitato alla superficie.
Erano gli ultimi momenti di un fine settimana tra colleghi: organizzato per offrire un po’ di spensieratezza alle incombenze della quotidianità, che impongono relazioni concise.
Improvvisamente, in quell’atmosfera placida, la traiettoria dei discorsi è virata, provando a scendere in profondità.
L’inaspettato cambio di rotta è stato innescato – come spesso accade di questi tempi – dai social network, quando, per curiosità, abbiamo deciso di leggere i commenti a una lettera inviata al nostro giornale da un lettore e recentemente pubblicata. S’intitolava: Perché un vegano in montagna fa più fatica?
Come da previsioni, una larga fetta di considerazioni evidenziava un’alzata di scudi in difesa della “cucina tradizionale dei rifugi”.
Attorno al tavolo imbandito per la colazione nessuno di noi poteva dirsi vegano. Qualcuno forse di tendenze vegetariane. Nonostante ciò sono sorte, con grande spontaneità, due domande.
Innanzitutto ci siamo chiesti cosa si intende per “cucina tradizionale dei rifugi”. Sicuramente non si tratta di una tradizione antica, considerato che le prime strutture pensate per semplificare la scalata delle vette più aspre, sulle Alpi sono sorte a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Ma soprattutto è necessario sottolineare che la cultura – che poi si riflette anche nelle nostre preferenze gastronomiche – come insegna l’antropologia è materia plastica, dinamica, in costante evoluzione. A dispetto delle teorie dei conservatori, le abitudini sono costantemente modificate da un incessante susseguirsi di nuovi stimoli.
Inoltre, perché mai l'integrazione nei menù dei rifugi di una o più opzioni vegane dovrebbe compromettere o, come sosteneva qualcuno, sminuire questa presunta “cucina tradizionale dei rifugi”?
Abbiamo trovato la risposta nella propensione psicologica a intendere la diversità con pregiudizio; nel costante timore che le novità possano interferire con le nostre abitudini. Con il nostro status quo.
L’introduzione di un’offerta vegana (cosa che tra l'altro già avviene in diversi rifugi) non comporta privazioni di alcun tipo per chi include nella sua dieta anche prodotti di derivazione animale. Inoltre, soprattutto quando contempla l’utilizzo di prodotti locali, grazie al suo minore impatto ambientale ha delle ricadute benefiche anche sulle vite di chi vegano non è.
Opzione vegane a parte, abbiamo alla fine discusso sulla tendenza, ben riscontrabile anche in molti commenti, a un perenne litigio, dove l'acredine si impone sul dialogo. Questa situazione, amplificata dalle dinamiche dei social network, sembra ormai egemone in ogni campo rendendo la società più vulnerabile, e forse ai nostri governanti va bene così. Divide et impera suggerisce la locuzione latina: divisi lo siamo già e controllati, o meglio, comandati? Di questo passo non manca molto.
✍ Pietro Lacasella per L'Altramontagna