20/10/2025
Un tempo bastava dire “intelligenza emotiva” per sentirsi un passo avanti a tutti.
Bastava parlare di “riconoscere le emozioni”, “ascoltarsi”, “respirare” — e già si aveva l’aura mistica di un guru illuminato.
Si facevano corsi, master, training: tutti a imparare a dare un nome ai sentimenti, come se bastasse etichettare la rabbia per smettere di agire con arroganza.
Ma oggi, diciamolo: l’intelligenza emotiva è diventata una moda stagionale, come i sandali con i calzini.
Un’etichetta svuotata, appesa ovunque: nei post motivazionali, nei manuali da aeroporto, nei discorsi aziendali patinati.
Eppure, riconoscere un’emozione non significa saperla gestire.
Avere consapevolezza non significa avere strumenti.
Dirsi empatici non significa esserlo davvero, soprattutto quando l’ego prende il microfono e canta a squarciagola.
Non basta più raccontare favole sull’autocoscienza.
Serve sporcarsi le mani con la realtà: imparare a stare nei conflitti, reggere le frustrazioni, costruire relazioni vere.
La vera skill e' la capacità di trasformare le emozioni, non solo nominarle.
Serve disciplina, consistenza, pratica, etica.
E, sorpresa! Serve anche un pizzico di umiltà, che è proprio la cosa che la “moda dell’intelligenza emotiva” ha dimenticato dietro il bancone dei like.