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Un tempo bastava dire “intelligenza emotiva” per sentirsi un passo avanti a tutti.Bastava parlare di “riconoscere le emo...
20/10/2025

Un tempo bastava dire “intelligenza emotiva” per sentirsi un passo avanti a tutti.
Bastava parlare di “riconoscere le emozioni”, “ascoltarsi”, “respirare” — e già si aveva l’aura mistica di un guru illuminato.
Si facevano corsi, master, training: tutti a imparare a dare un nome ai sentimenti, come se bastasse etichettare la rabbia per smettere di agire con arroganza.

Ma oggi, diciamolo: l’intelligenza emotiva è diventata una moda stagionale, come i sandali con i calzini.
Un’etichetta svuotata, appesa ovunque: nei post motivazionali, nei manuali da aeroporto, nei discorsi aziendali patinati.

Eppure, riconoscere un’emozione non significa saperla gestire.
Avere consapevolezza non significa avere strumenti.
Dirsi empatici non significa esserlo davvero, soprattutto quando l’ego prende il microfono e canta a squarciagola.

Non basta più raccontare favole sull’autocoscienza.
Serve sporcarsi le mani con la realtà: imparare a stare nei conflitti, reggere le frustrazioni, costruire relazioni vere.

La vera skill e' la capacità di trasformare le emozioni, non solo nominarle.
Serve disciplina, consistenza, pratica, etica.
E, sorpresa! Serve anche un pizzico di umiltà, che è proprio la cosa che la “moda dell’intelligenza emotiva” ha dimenticato dietro il bancone dei like.





C’è un esercizio molto semplice che molti evitano accuratamente:Fermarsi un secondo, guardarsi allo specchio e chiedersi...
02/10/2025

C’è un esercizio molto semplice che molti evitano accuratamente:
Fermarsi un secondo, guardarsi allo specchio e chiedersi:

“Se i miei genitori fossero qui, sarebbero fieri di me?”

Chi vive di arroganza, prepotenza e piccoli giochi di potere questa domanda non se la fa mai.
Perché, sotto sotto, sa già la risposta e preferisce non sentirla.

Ed è proprio lì che si vede la differenza tra chi cresce e chi resta fermo.





-"Nessuno è come me” - parte 2Il bisogno narcisistico di unicità come strategia di controllo organizzativoLa dichiarazio...
31/08/2025

-"Nessuno è come me” - parte 2
Il bisogno narcisistico di unicità come strategia di controllo organizzativo

La dichiarazione “Tanti hanno provato ad imitarmi, ma nessuno è come me” rappresenta un tipico esempio di autoaffermazione grandiosa tipica delle personalità con tratti narcisistici in contesto aziendale.

Aspetti psicologici in gioco 👇

1. Grandiosità manifesta – L’enfasi sull’irripetibilità è una modalità difensiva per confermare la propria immagine ideale. Non si tratta di una constatazione oggettiva, ma di un bisogno costante di validazione (Kohut, 1971).

2. Negazione dell’altro – La frase implica che i collaboratori sono irrilevanti o sostituibili. Viene negata la possibilità che altri possano contribuire con pari valore, rinforzando la centralità esclusiva del leader.

3. Revisione narrativa – I successi collettivi vengono reinterpretati come merito personale. Questo fenomeno è riconducibile al blame shifting positivo (vedi post dedicato): attribuzione selettiva dei risultati a sé, a scapito del gruppo.

4. Creazione di dipendenza – Dichiararsi “unico” genera nel team una duplice reazione:
• timore di non essere mai “abbastanza” senza il leader;
• senso di colpa o inadeguatezza se si prova a emergere.

In termini di dinamiche di gruppo, queste affermazioni funzionano come strumenti di controllo simbolico:
– confermano l’asimmetria di potere;
– scoraggiano la differenziazione;
– rinforzano la passività dei collaboratori, che interiorizzano la convinzione che il successo dipenda esclusivamente dal leader.

🎯 Contraddizione interna
Paradossalmente, la reiterazione costante di frasi come “nessuno è come me” non segnala forza, ma fragilità strutturale. Se la propria unicità fosse solida, non necessiterebbe di continua riaffermazione pubblica.
La maschera grandiosa diventa quindi un copione ripetitivo, volto a tamponare la paura sottostante: essere sostituibile, superato, non indispensabile.

Implicazioni per il team
– Diminuzione della motivazione intrinseca dei collaboratori.
– Rischio di omertà organizzativa: applausi per paura o convenienza, piuttosto che per reale condivisione.
– Normalizzazione di pratiche di manipolazione reputazionale come standard culturale dell’azienda.

📍 Conclusione
Dietro la frase “nessuno è come me” si nasconde la vera dinamica narcisistica: non la celebrazione dell’unicità, ma il tentativo di mantenere il monopolio del riconoscimento.
Un potere che non si fonda sulla reale autorevolezza, ma sulla paura e sulla dipendenza.


-"Nessuno è come me"- parte 1(monologo dell’osservatore)Eccola lì, quella frase!Quella che ogni tanto tira fuori come il...
17/08/2025

-"Nessuno è come me"- parte 1
(monologo dell’osservatore)

Eccola lì, quella frase!
Quella che ogni tanto tira fuori come il coniglio dal cilindro: "Tanti hanno provato ad imitarmi, ma nessuno è come me.”

Con faccia seria, quasi commossa dalla propria grandezza, come se stesse facendo un annuncio storico:
"la scoperta dell’acqua calda…"
e invece no.

Ascolto e penso: meno male.
Perché se davvero ce ne fossero stati due...

Nessuno è come lui.
E ha ragione: nessuno ha quel talento raro di trasformare un’idea collettiva in un monologo personale da standing ovation.

E' unico, sì!
Irripetibile, certo!
Ma non per genialità.
Per… resistenza del pubblico.

E intorno?
Gli applausi.
Le frasi tipo: “È vero, nessuno è come te.”

Non stanno applaudendo la verità.
Stanno applaudendo per paura, per convenienza, perché conviene sempre stare vicino al sole... Anche se è una lampadina da 40 watt che sfrigola già da un po’.



-"Tu vuoi guadagnare dal mio lavoro" -parte 2-Dinamiche di appropriazione narcisistica nei contesti organizzativiIl mecc...
12/08/2025

-"Tu vuoi guadagnare dal mio lavoro" -parte 2-
Dinamiche di appropriazione narcisistica nei contesti organizzativi

Il meccanismo di base si puo' riassumere così:
Il leader narcisista percepisce se stesso come centro imprescindibile dell’organizzazione e interpreta qualsiasi risultato positivo come diretta conseguenza della propria presenza, indipendentemente dal reale contributo.
Il lavoro, le idee e i risultati prodotti dai collaboratori vengono ri-etichettati come derivati dalla sua “visione”, mentre gli errori o le criticità vengono proiettati sugli altri membri del team.

💬 La frase “Tu vuoi guadagnare dal mio lavoro” è un esempio di inversione accusatoria (blame shifting):
– L’altro ha svolto il lavoro concreto, ma il leader ne rivendica la paternità morale o strategica.
– L’asserzione ribalta la dinamica di sfruttamento, trasformando la vittima in “opportunista” e il leader in “creatore originale”.

🎯 Aspetti psicologici rilevanti:

1. Bisogno di conferma grandiosa – Secondo la teoria di Kohut (1971), il Sé narcisistico necessita di continui rinforzi esterni per mantenere coerenza interna. Attribuirsi i meriti altrui serve a preservare un’immagine grandiosa di sé.

2. Svalutazione indiretta – La negazione del contributo dell’altro non è solo omissione, ma una forma di svalutazione implicita, che riduce la percezione di competenza e valore del collaboratore.

3. Controllo narrativo – Il leader manipola la “storia” organizzativa per collocarsi costantemente al vertice della catena di merito. Questo mantiene la dipendenza psicologica dei collaboratori, che sentono di non poter ottenere riconoscimento senza il filtro del leader.

4. Proiezione difensiva – Attribuire all’altro l’intento di “approfittare” è una proiezione: il leader assegna al collaboratore lo stesso comportamento strumentale che lui stesso agisce.

👉 il Team rischia:
– Erosione della motivazione e della fiducia interna.
– Aumento della dipendenza gerarchica.
– Normalizzazione di comportamenti disfunzionali come standard aziendale.

💡 l' Intervento è possibile in chiave organizzativa:
– Riconoscere e nominare il pattern.
– Creare sistemi di tracciamento e riconoscimento formale del lavoro individuale.

Nota finale:
Con un leader narcisista, il conflitto aperto raramente produce cambiamento, poiché per lui il confronto non è un dialogo, ma un palcoscenico su cui riaffermare la propria immagine. La strategia di tutela deve includere protezione della propria identità professionale e costruzione di reti di supporto alternative.


-"TU VUOI GUADAGNARE DAL MIO LAVORO"- parte 1(ovvero: l’arte raffinata di sfruttare gli altri e farsi pure un applauso)I...
10/08/2025

-"TU VUOI GUADAGNARE DAL MIO LAVORO"- parte 1
(ovvero: l’arte raffinata di sfruttare gli altri e farsi pure un applauso)

Il narcisista aziendale ha un superpotere:
prendere il tuo impegno, la tua creatività e le tue ore extra, impacchettarli con il suo nome in copertina, e poi guardarti dritto negli occhi dicendo: “Tu vuoi guadagnare dal mio lavoro.”

Il suo lavoro, capito?
Quello che hai fatto tu, ma che lui ha “supervisionato” con due mail di sarcasmo passivo.

Questo tipo di leader tossico ha una filosofia semplice:
– Le tue idee sono sue.
– I tuoi successi sono suoi.
– I tuoi errori? Sempre tuoi.

Il problema è che lo fa sembrare normale.
Perché nella sua testa l’azienda gira solo grazie al suo “genio”.
(Spoiler: l’azienda gira perché qualcuno si spacca la schiena.)

Tipico dialogo aziendale:
– Tu: “Ma questo progetto l’ho portato avanti io, dall’inizio alla fine.”
– Lui: “Sì, ma senza la mia visione non sarebbe stato possibile.”

📌 Regola n.1 della sopravvivenza:
Non discutere con un narcisista.
Non vincerai mai perché per lui non è una discussione: è un palcoscenico.


-"Mi hai tradito.” parte 2(Il tradimento percepito nelle personalità narcisistiche e borderline)➡Traduzione clinica: hai...
08/08/2025

-"Mi hai tradito.” parte 2
(Il tradimento percepito nelle personalità narcisistiche e borderline)

➡Traduzione clinica: hai smesso di aderire alla mia fantasia di controllo.

In alcune strutture di personalità – in particolare con tratti narcisistici e borderline – il concetto di tradimento non si fonda su eventi oggettivi, ma su rotture percepite dell’adattamento relazionale.

Nel modello relazionale narcisista, l’altro non è vissuto come un soggetto separato, ma come un’estensione del Sé ideale.
L’identità del leader narcisista si regge sulla conferma esterna costante: quando un collaboratore esprime un’opinione divergente, pone un limite o agisce in autonomia, ciò viene esperito non come dialogo o differenziazione, ma come ferita narcisistica (Kohut, 1971).

Nel funzionamento borderline, invece, prevale una scissione affettiva: le persone sono “buone” finché soddisfano bisogni emotivi profondi (spesso inconsci), e diventano “cattive” o “pericolose” non appena si sottraggono o pongono un confine.
Il “tradimento” è quindi l’abbandono percepito, anche se l’altro non ha mai realmente lasciato la relazione (Masterson, 1981).

In questi casi, la percezione di tradimento è innescata da atti di autodeterminazione dell’altro:
– esprimere disaccordo
– non aderire a una richiesta non etica
– uscire da una dinamica di compiacenza
– porre un confine professionale o emotivo

Il soggetto narcisista/borderline reagisce non con confronto, ma con attacco reputazionale:
– svalutazione pubblica
– isolamento del collaboratore
– narrazione distorta dei fatti
– etichettamento patologizzante (“è instabile, è ingrato, è sleale")

👉 Non si tratta di aggressività diretta, ma di aggressività relazionale mascherata, finalizzata a:
– ristabilire controllo
– proteggere il proprio Sé grandioso
– punire chi ha “osato” differenziarsi
– ricostruire un’immagine vittimistica

Dal punto di vista clinico, questo pattern si può leggere come una difesa rigida contro la disintegrazione dell’identità: la narrazione di “essere stato tradito” serve a mantenere coerenza interna in un mondo che non viene tollerato se non conferma l’Io.

📍 Per chi subisce queste dinamiche:
Non si tratta di aver tradito.
Si tratta di essersi scelti.
Di aver detto “no” al potere asimmetrico.
E nella mente di chi ha bisogno del tuo silenzio per esistere…


Congratulazioni per essere tra le persone con più interazioni e per aver ottenuto un posto nella lista delle interazioni...
08/08/2025

Congratulazioni per essere tra le persone con più interazioni e per aver ottenuto un posto nella lista delle interazioni settimanali! 🎉 Chris Del, Flora Centra

-"MI HAI TRADITO" -parte 1-(Traduzione: Hai smesso di fare esattamente ciò che volevo, quando volevo, come volevo.)Nel m...
07/08/2025

-"MI HAI TRADITO" -parte 1-
(Traduzione: Hai smesso di fare esattamente ciò che volevo, quando volevo, come volevo.)

Nel manuale del capo narcisista, il tradimento non è un atto.
È un pensiero indipendente.

Hai espresso un’opinione?
Tradimento.
Hai fatto una scelta professionale senza il suo permesso morale?
Tradimento.
Hai messo un confine sano?
Tradimento, eresia e lesa maestà.

🧠 Perché?
Perché nella sua narrativa tu non sei una persona autonoma.
Sei un’estensione. Una proiezione. Una funzione e quando smetti di funzionare come previsto, la sua ferita narcisistica sanguina.

🎯 Spoiler:
Non lo hai tradito. Ti sei solo scelto.
Hai difeso la tua etica, il tuo tempo, la tua salute mentale.
Hai detto “no” dove lui/lei si aspettava solo “grazie per l’opportunità di farmi del male con eleganza”.

E ora ti dipinge come sleale, ingrato, instabile.
Perché è più facile accusarti che guardarsi allo specchio senza filtri.

📌 Restare integri sembra sempre una colpa,
agli occhi di chi confonde il potere con l’amore.


- "SE ANDIAMO AVANTI COSÌ, FORSE DOVREI CAMBIARE STRADA"- “E allora perché sei ancora qui?”(Parte 2)👉Riflessione su ambi...
06/08/2025

- "SE ANDIAMO AVANTI COSÌ, FORSE DOVREI CAMBIARE STRADA"
- “E allora perché sei ancora qui?”
(Parte 2)
👉Riflessione su ambivalenza e immobilismo nei contesti relazionali e professionali disfunzionali

È una frase che molte persone pronunciano ciclicamente, spesso in situazioni di disagio cronico, frustrazione relazionale o ambienti lavorativi tossici:
“Forse dovrei cambiare strada.”

Lo dicono dopo episodi che li hanno feriti, lo pensano dopo giorni in cui si sentono svuotati, non riconosciuti, svalutati.
Ma poi... restano.

Questo fenomeno non è semplice incoerenza, e' un blocco adattivo: un equilibrio precario tra consapevolezza del malessere e paura della perdita.

Dal punto di vista psicologico, entrano in gioco almeno tre dinamiche:

1. Ambivalenza del cambiamento
L’individuo percepisce il bisogno di cambiare, ma è emotivamente e cognitivamente legato a ciò che conosce. La strada attuale, seppur dolorosa, è familiare, e quindi meno ansiogena dell’ignoto.

2. Interiorizzazione di copioni disfunzionali
Molte persone restano in contesti che li logorano perché inconsciamente riproducono schemi di adattamento primari: “resisto e tengo duro”, “se cambio perdo tutto”, “se mollo, deludo”.

3. Zona di comfort disfunzionale
Il malessere prolungato diventa una zona nota, che anestetizza. Il soggetto si abitua al malessere, lo razionalizza, e normalizza ciò che non dovrebbe essere normale.

Quando, in supervisione, una persona pronuncia frasi come:
"Così non si può andare avanti"
ma poi resta immobile,
la domanda da porsi non è: perché non cambia?
ma:
👉 cosa mantiene ancora attivo il legame con ciò che fa male?
👉 quali sono i benefici secondari della permanenza?
👉 quali risorse interiori non sono ancora disponibili per sostenere un passaggio evolutivo?

Il problema non è sempre il contesto.
È spesso l’inerzia emotiva che tiene fermi,
anche quando si ha la consapevolezza di meritare altro.

Cambiare strada non è solo un atto pratico.
➡ È un processo identitario.

E finché non si è pronti a lasciar morire una parte del proprio sé che si è adattata a sopravvivere, non si potrà mai davvero iniziare a camminare altrove.


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- "SE ANDIAMO AVANTI COSÌ, FORSE DOVREI CAMBIARE STRADA."- “E allora perché sei ancora qui?”(Parte 1)Lo dici da mesi.Lo ...
05/08/2025

- "SE ANDIAMO AVANTI COSÌ, FORSE DOVREI CAMBIARE STRADA."
- “E allora perché sei ancora qui?”
(Parte 1)

Lo dici da mesi.
Lo pensi da anni.
Ogni volta che questa situazione ti pesa, ti umilia, ti spegne…torni lì: "Forse dovrei cambiare."

Ti lamenti a bassa voce, poi sorridi a chi ti consuma, eppure resti.
Ti dici che non è il momento, che non è facile, che non sei pronto.

Ma la verità sai quale è: ti stai abituando a stare male.

E io non te lo dico per giudicare, lo dico perché lo vedo.
Perché ogni volta che torni a raccontare che "così non si può andare avanti",
mi viene solo da chiederti:
"E allora perché sei ancora qui?"

🔍 Forse il problema non è la strada.
È che non stai camminando.


̀scomode

IL DOPPIOGIOCHISTA DEL CONSENSO - parte 2-All’inizio appare come una figura affettuosa, empatica, sintonizzata.Mostra gr...
04/08/2025

IL DOPPIOGIOCHISTA DEL CONSENSO - parte 2-

All’inizio appare come una figura affettuosa, empatica, sintonizzata.
Mostra grande attenzione ai tuoi bisogni, alle tue idee, ai tuoi stati emotivi: ti riflette un’immagine positiva di te stesso, ti conferma e ti sostiene... E tu, naturalmente, ti senti visto, valorizzato, accolto.

Questa apparente alleanza non nasce da un autentico legame relazionale, è funzionale al mantenimento di un equilibrio di potere a suo favore.
Non sei una persona, ma una pedina da tenere vicina, finché torni utile alla narrazione che lui/lei vuole costruire.

📌 Il meccanismo si basa su una dinamica tipica della relazione manipolatoria: il riconoscimento iniziale agisce come un rinforzo positivo — un boost per l’autostima,
che attiva sentimenti di fiducia e attaccamento, ma è un investimento, non un dono.

Quando emerge il primo disaccordo, quando viene messa in discussione l’immagine idealizzata, la funzione del legame cambia.
L’altro non è più alleato ➡ diventa minaccia.
E il doppiogiochista, anziché sostenere il conflitto in modo maturo, attacca in modo indiretto, attraverso il discredito.

Lo fa utilizzando forme mascherate di aggressività relazionale:
• Etichettature patologizzanti (“è instabile”, “non sta bene”, “non è lucido”);
• Manipolazione reputazionale (“non è affidabile”, “sta creando problemi”, “è pericoloso”);
• Isolamento sociale (“meglio non coinvolgerlo più”, “stiamo attenti”).

Questa è una forma di gaslighting relazionale ad alta intensità: non si basa su uno scontro diretto, ma sulla riformulazione della realtà a proprio vantaggio, e sull’uso della rete sociale come strumento di pressione.

Non è lealtà ➡ è strategia.
Non è empatia ➡ è un dispositivo di legame asimmetrico.
Non è amicizia ➡ è gestione di alleanze per fini personali.

📌 Una nota fondamentale:
quando qualcuno ti idealizza troppo in fretta, lo fa per controllarti.
E se ti controlla, non può tollerare che tu diventi autonomo.

Il “no” diventa una minaccia, perché rompe lo schema, ed è lì che il volto reale della relazione si rivela.


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