05/12/2025
Non colpa, ma macchia: l’estetica del male in Giappone
Qualche tempo fa, un lettore mi ha posto una domanda tanto sintetica quanto vertiginosa: come viene concepito il “male” in Giappone? Non mi chiedeva della cosmologia dell'aldilà, né di inferni o paradisi, ma dell’essenza stessa del concetto. È una domanda fondamentale, la cui risposta rivela una frattura profonda rispetto al pensiero occidentale a cui siamo abituati.
Per comprendere il “male” in Giappone, bisogna operare un distacco dalle categorie dualistiche e morali tipiche del pensiero abramitico. Se la tradizione occidentale ha spesso personificato il male in un'entità metafisica agente (Satana) o in una colpa indelebile (il peccato originale), l’approccio giapponese, specialmente quello radicato nello Shintō, si muove su coordinate radicalmente differenti.
La visione autoctona giapponese, prima della massiccia influenza continentale, non articola la sua cosmologia sul classico asse bene-male, bensì sull’opposizione tra la purezza (kiyoshi) e impurità (kegare). Il “male” primigenio non è un atto morale deliberato, quanto uno stato di “contaminazione”. Il kegare è associato a eventi naturali ma disgregativi coma la morte, la malattia, il sangue (soprattutto quello mestruale e del parto). Non è un “peccato” commesso, ma una condizione che interrompe l’armonia vitale e allontana dalla benevolenza dei kami. Di conseguenza, la risposta al kegare non è il pentimento o l’espiazione morale, ma la purificazione attraverso rituali come il misogi.
Anche il concetto di tsumi, spesso tradotto semplicisticamente come “peccato”, tradisce questa complessità. Nell’antica ritualistica Shintō, come l’ “ōharae” (il rito di grande purificazione), il termine tsumi include sì le trasgressioni umane (come l’adulterio), ma anche calamità naturali (disastri, raccolti scarsi) e contaminazioni (come la lebbra). Tsumi è, in senso lato, tutto ciò che disturba l’ordine cosmico e sociale, che sia intenzionale o meno.
Questa visione è cristallizzata nel mito della discesa di Izanagi nello yomi, il regno dei morti. Lo yomi non è un “inferno” di punizione etica; è un luogo di decadimento e contaminazione radicale. Izanagi fugge non perché Izanami sia diventata “malvagia” in senso morale, ma perché è diventata kegare, impura, perché corrotta dalla morte. Significativamente, è proprio dal rituale di purificazione che Izanagi compie al suo ritorno (il misogi) che nascono molti dei principali kami, ma anche i magatsuhi no kami, ovvero i kami delle calamità e dei disastri. Il “male”, in questa ottica, è concepito quasi come il risultato inevitabile del processo di separazione tra la vita (purezza) e la morte (impurità).
Con l’arrivo del Buddismo in Giappone, questo quadro si arricchisce di una dimensione introspettiva. Il Buddismo introduce una concezione più psicologica e interiorizzata del male, identificandolo con i bonnō, le passioni mondane, gli attaccamenti, l’ignoranza e i desideri considerati causa di sofferenza. Il “male” qui non è un'entità esterna da purificare, ma una condizione interna della mente (avidità, rabbia, delusione) da superare attraverso la disciplina e l’illuminazione. La figura di Mara, talvolta assimilata ad un “demonio” tentatore, non è un avversario cosmico di Dio, ma la personificazione di questi stessi ostacoli interni al processo di liberazione.
Studiosi che hanno profondamente analizzato queste dinamiche, come Massimo Raveri, hanno messo in luce come il pensiero giapponese, nel suo sincretismo, tenda a “gestire” il negativo e il caotico piuttosto che a espellerlo seguendo una dualità radicale. Il negativo non viene annichilito, ma viene spesso riassorbito, pacificato e trasformato attraverso il rito. Allo stesso modo, l’antropologa Carmen Blacker, nei sui studi sul folklore e lo sciamanesimo giapponese, riprendendo Mary Douglas, ha evidenziato come il pericolo e il “male” siano spesso associati a ciò che è "fuori posto”: come spiriti inquieti che non sono stati propriamente pacificati, o forze esterne che irrompono senza controllo.
In conclusione, il concetto di male in Giappone non si presenta come una forza monolitica e assoluta. È piuttosto una costellazione complessa di concetti: la contaminazione che richiede purificazione, la trasgressione o la calamita che rompe l’armonia, ed è l’illusione interna che allontana dell’illuminazione. Più che un nemico da annientare, è più una disarmonia da riequilibrare, una contaminazione da detergere o un’illusione da trascendere.
Io sono Yoka Yoka Nippon e qui ti racconto il Giappone in tutte le sue sfumature. Se questi temi ti appassionano, segui la pagina e il nostro blog, Ombrelli Rotti.
https://www.ombrellirotti.asia/
Note
Per chi volesse approfondire le origini e i dettagli storici citati nel post, ecco i riferimenti ai testi e agli archivi giapponesi consultati:
1 Il mito di Izanagi e Izanami e la nascita dei Magatsuhi no kami. Per chi non possiede il testo e volesse consultare il testo originale e tradizioni accademiche in lingua inglese, il sito dell'università di Berkeley e molto utile:
https://jhti.studentorg.berkeley.edu/
2 Concetto di Tsumi e l’Ōharae. Una lettura che ho trovato molto interessante e il libro “Norito: A Translation of the Ancient Japanese Ritual Prayers” di Philippi. Trovate la versione aggiornata in inglese per Kindle.
3 Massimo Raveri, “Il pensiero classico giapponese”. All’interno del libro i capitoli dedicati allo shintō antico e all’arrivo del buddismo offrono una preziosa disamina della dialettica tra kegare e hare.
4 Carmen Blacker e Mary Douglas. Dell Blacker consiglio “The Catalpa Bow: Essays on Shamanistic Practices in Japan”. Aiuta a capire, passatemi il termine, il “lato oscuro” e magico della spiritualità giapponese.
Mary Douglas. Non ha bisogno di presentazioni. “Purity and Danger”.
Premetto che la bibliografia e i testi citati rappresentano una selezione personale, maturata nel corso del mio percorso di studi (ci sono anche testi in lingua giapponese ma non li ho elencati perché non hanno una traduzione) e di ricerca. Dato che il panorama degli studi sul Giappone è vasto e variegato, altri accademici o appassionati potrebbero suggerire percorsi di lettura o riferimenti differenti. Considerate quindi questi titoli come un punto di partenza per l'approfondimento, piuttosto che come un elenco esaustivo e dogmatico.