08/08/2025
Mario Paciolla, non fu suicidio:
Gravi sospetti su un caso ancora aperto
Le falle e le contraddizioni della tesi del suicidio.
Le testimonianze e le prove che mostrano come Mario sarebbe stato in grave pericolo negli ultimi giorni della sua vita.
Sono passati quasi 5 anni dalla morte di Mario Paciolla, il cooperante italiano che lavorava per l’ONU in Colombia, trovato senza vita nella sua casa di San Vicente del Caguan il 15 luglio del 2020.
Mario lavorava nella missione delle Nazioni Unite che si occupava di monitorare gli accordi di pace tra le forze guerrigliere delle FARC e il governo colombiano. Accordi che prevedevano un percorso di reinserimento nella società per chi consegnava le armi.
Le autorità colombiane da subito sentenziarono che si trattò di un suicidio.
Ma Mario non aveva alcuna ragione per togliersi la vita. Anzi.
Mario negli ultimi giorni di vita era molto spaventato e stava cercando in tutti i modi di rientrare velocemente in Italia.
Proprio il 15 luglio avrebbe dovuto iniziare il viaggio di ritorno, andando prima a Florencia, poi a Bogotà e finalmente in Italia. In questi 5 anni la famiglia e gli amici non si sono mai arresi alla tesi del suicidio, continuando a chiedere con una incessante campagna pubblica, verità e giustizia. La giustizia italiana sta ancora decidendo sul caso: dopo il rigetto da parte del Tribunale di Roma della prima richiesta di archiviazione per suicidio avanzata dai pm della Procura capitolina, ora si sta decidendo sulla seconda richiesta di archiviazione, avanzata sempre dagli stessi magistrati.
In questa inchiesta, abbiamo messo in fila tutte le falle, le incongruenze e le contraddizioni della tesi per cui Mario si sarebbe tolto la vita.
Nei suoi ultimi giorni di vita Mario sapeva di essere in grave pericolo.
Mario viveva un villaggio al centro di una rotta importantissima per il narcotraffico. Proprio in quella regione, il Caquetà, i guerriglieri che non entravano nel percorso degli accordi di pace, finivano per diventare le milizie dei narcos, minacciando e attaccando gli ex guerriglieri che avevano deposto le armi.
Un posto molto pericoloso, tra i più caldi della Colombia.
La ricostruzione della morte:
Le falle nella versione dei colombiani
Per comprendere come la tesi del suicidio non regga, basta leggere la ricostruzione messa agli atti del procedimento giudiziario di come Mario si sarebbe tolto la vita.
Secondo la ricostruzione della Procura la notte tra il 14 e il 15 luglio, Mario prende due lenzuola ed un cuscino e va nel patio di casa sua.
Il cuscino lo mette su un materassino gonfiabile, non sappiamo bene il perché. Poi prende il lenzuolo e inizia a tentare di impiccarsi. Per potersi impiccare Mario deve legare il lenzuolo ad una grata che si trova nel patio della sua abitazione. Per arrivare alla grata, prende una sedia, ci sale sopra, si mette in punta di piedi, allunga le braccia tesissime, ma a questo punto dalla punta delle dita di Mario alla grata mancherebbero “solo”, secondo loro, 9 centimetri e mezzo. Nonostante il corpo di Mario sia in iperestensione mancano più di 9 centimetri per permettergli di far passare il lenzuolo nella grata posta sul soffitto del patio. L
a versione di come sarebbero andate le cose da qui in poi appare assolutamente singolare.
“Mario avrebbe dovuto lanciare il lenzuolo, centrare il buco della grata, far scendere il lenzuolo, fare 7-8 nodi che sono dei nodi da professionista, Mario è andato sul computer fino a poco prima di morire, non c’è nessuna ricerca su come fare dei nodi o su come suicidarsi. Dopo aver fatto tutto questo Mario avrebbe provato ad impiccarsi, si sarebbe però sfilacciato il lenzuolo, rendendo vano il tentativo. A questo punto Mario avrebbe desistito ed avrebbe deciso di tagliarsi le vene. A dir poco surreale.
Quindi, secondo quello che c’è scritto negli atti giudiziari, dopo il primo tentativo, Mario avrebbe poi provato a suicidarsi in un altro modo, con il taglio delle vene.
Soprattutto Mario, che in quel momento è seduto su un materassino gonfiabile, se si taglia prima un polso e poi un altro, avrà un gocciolamento di sangue, sui vestiti, sul suo corpo, ed invece non ci sono assolutamente tracce di sangue sui suoi abiti. Ma nemmeno il taglio delle vene sarebbe andato a buon fine.
Ma come è possibile che nonostante i tagli ai polsi ed il sangue sgorgante, Mario non abbia lasciato nessuna impronta?
In quel momento Mario ha un tendine lesionato e anche la muscolatura del polso lesionata, ha riempito due catini con il suo sangue. Ma anche il secondo tentativo di suicidio sarebbe andato male. Quindi Mario avrebbe tentato per la terza volta il suicidio, questa volta provando ad impiccarsi nuovamente.
A questo punto secondo la ricostruzione della Procura rifarebbe tutte le cose fatte nel primo tentativo, quindi lancerebbe il lenzuolo verso la grata da cui lo separano 9 centimetri e mezzo, farebbe scendere il lenzuolo, farebbe 7-8 nodi da professionista, e proverebbe ad impiccarsi. Questa volta, secondo questa versione, sarebbe andata in porto. Solo che la sedia su cui sarebbe salito per impiccarsi, non è a terra, ma è in piedi messa accanto al corpo, e il ca****re di Mario toccava con i piedi a terra.
La famiglia non può dopo 5 anni essere violentata istituzionalmente con una versione così assurda di un'ipotesi di suicidio.
Siamo sempre più convinti si sia trattato di omicidio. Speriamo che la verità venga a galla.