
19/05/2025
Da che parte sto: parole, silenzi e pensieri che non mentono
Capita spesso che mi trovi coinvolto in conversazioni su temi di geopolitica, sia in contesti informali – quei dibattiti “da bar” – sia in ambienti più strutturati. Si parla di guerre in corso, di economia, di politica italiana o europea. E ogni volta che esprimo la mia opinione, percepisco – negli sguardi o nei commenti – un sottile fastidio, una resistenza.
Forse è per via della chiarezza con cui cerco di esprimere le mie idee: una semplicità coerente, frutto di una visione del mondo che coltivo sin da bambino.
E no, non significa che io non abbia dubbi. Anzi, ogni volta mi domando se dovrei accompagnare le mie risposte con un “se” o un “ma”, consapevole della complessità degli argomenti in gioco. Spesso, però, mi accorgo di non avere ancora gli strumenti per articolare risposte tecnicamente esaustive. Ma questo non mi impedisce di prendere posizione.
So da che parte sto.
Sto dalla parte dei popoli, dell’etica, della libertà individuale – purché non leda quella degli altri. Difendo le democrazie, ma condanno con fermezza quelle che osano colonizzare popoli più deboli, snaturandone l’identità e alterandone il percorso naturale e culturale, nel senso più profondo e antropologico del termine.
Condanno tutte le guerre, senza eccezioni. Ma credo anche che chi si trova dalla parte del giusto abbia il dovere di difendersi, con ogni mezzo necessario, anche con i denti.
Condanno ogni forma di violenza, fisica e psicologica, e ogni tentativo di sopraffazione mascherato da progresso o civiltà.
Credo nella libertà degli ucraini come in quella dei palestinesi, e da sempre sostengo il diritto alla libertà di ogni popolo, compresi gli ebrei.
Quando si parla di economia o di politica, vedo nell’Europa federale una possibile risposta: un’Europa unita, capace di affrontare le grandi sfide globali, al riparo dal dominio di chi vuole governare attraverso la logica del profitto.
Il silenzio non è resa.
Spesso il mio silenzio viene scambiato per resa. O peggio, per un tacito consenso.
Ma a chi, di preciso? Parlo di chi fa dell’ignoranza la propria bandiera, di chi si avvicina con doppi fini.
Li riconosco subito – dal modo in cui si muovono, dallo sguardo. Ho una specie di antenna: percepisco ciò che non viene detto. Il corpo non mente, non ne è capace. E l’inconscio ancor meno.
Ma non è un attacco personale, né un messaggio cifrato a qualcuno.
È un invito alla riflessione: le cose non sono sempre come appaiono, né come vogliamo farle apparire. C’è qualcosa che sfugge a ogni tentativo di manipolazione: l’intimità del pensiero.
Le parole possono ferire o difendere, ma prima ancora nascono dal pensiero. E il pensiero è figlio dell’ambiente: dell’ambiente naturale, dell’architettura che ci circonda, del contesto culturale, del senso civico.
Tutto questo ci modella. E a sua volta, modella il nostro linguaggio.
Io sto dalla parte della bellezza.
Quella autentica, che nasce dal rispetto anche verso ciò che non condivido.
Sto con i valori umani, con gli ultimi, ma anche con chi ha avuto la possibilità di emergere, e con chi ce l’ha fatta con onestà.
Non invidio chi ha successo: piuttosto, mi domando da dove posso iniziare io per costruire qualcosa di altrettanto valido.
In fondo, basterebbe un po’ più di onestà intellettuale per rendere questo mondo un posto migliore. Per tutti.