27/10/2025
Beato Angelico, la luce che inventò l’invisibile
Firenze, tra Palazzo Strozzi e il Museo di San Marco – fino al 25 gennaio 2026
Entrare nella mostra dedicata a Beato Angelico non è come visitare un’esposizione: è attraversare un tempo sospeso.
A Firenze, tra le sale solenni di Palazzo Strozzi e le celle silenziose del Museo di San Marco, la città celebra il frate domenicano che insegnò alla pittura a respirare luce.
Due luoghi, un solo respiro: quello del Rinascimento che nasce – e che, a distanza di secoli, continua a interrogarci.
La retrospettiva, intitolata semplicemente Beato Angelico, è la più ampia mai realizzata a Firenze in oltre settant’anni.
Curata da Carl Brandon Strehkle, Stefano Casciu e Angelo Tartuferi, riunisce più di 140 opere tra dipinti, disegni, sculture e miniature, in gran parte provenienti da musei italiani e internazionali.
Un progetto di ricerca e di restauro durato quattro anni, che restituisce alla storia un artista fondativo del Quattrocento e mette in dialogo due istituzioni simboliche: Palazzo Strozzi, spazio della grande arte pubblica, e San Marco, luogo dove il frate visse, dipinse e pregò.
La mostra segue un doppio filo: da un lato l’evoluzione pittorica dell’Angelico, dall’altro la sua influenza su una generazione di maestri — Masaccio, Filippo Lippi, Lorenzo Monaco, Ghiberti, Michelozzo — che fecero di Firenze la culla del Rinascimento.
È una narrazione di passaggio e di trasformazione: dal linguaggio gotico internazionale alla nuova visione prospettica e umana che segnerà per sempre la storia dell’arte europea.
La luce come pensiero.
Davanti a un affresco del Beato Angelico non si guarda: si entra.
La luce non cade sulle figure: le attraversa. Ogni volto, ogni gesto, ogni drappo sembra partecipare di una grazia che non appartiene al mondo terreno ma ne fa parte, come se il divino avesse deciso di manifestarsi nel colore stesso.
In un’epoca in cui l’arte cercava la perfezione della forma, lui osò cercare la purezza dello sguardo.
I suoi angeli, le sue Madonne, le sue Annunciazioni non sono icone distanti: sono presenze.
E oggi, in tempi saturi d’immagini, quell’invisibile che l’Angelico seppe rendere visibile ci appare come un linguaggio di salvezza: una bellezza che non consola, ma illumina.
Restituire l’intero: la Pala di San Marco.
Uno dei momenti più forti dell’esposizione è la ricomposizione quasi integrale della Pala di San Marco, capolavoro realizzato tra il 1438 e il 1443 per l’altare maggiore della chiesa domenicana.
Grazie a un lavoro di restauro e di ricerca sostenuto da Intesa Sanpaolo, sono state ricollocate 17 delle 18 parti originarie, ricostruendo un insieme che da secoli non si poteva più vedere.
Davanti a quell’opera, con i santi che sembrano conversare nella luce, si comprende il senso profondo di questa mostra: non celebrare un artista, ma ricomporre un’armonia perduta.
Un Rinascimento che ci riguarda.
C’è un filo che lega il lavoro dell’Angelico al presente.
Nel suo modo di unire fede e ricerca, disciplina e visione, si avverte la nascita di un’idea moderna dell’uomo: un essere capace di guardare il mistero senza temerlo.
In questo senso, Beato Angelico non è solo una mostra sul passato, ma un invito a riscoprire la forza spirituale della bellezza.
Quella che non urla, non provoca, ma trasforma chi la incontra. #
Nel dialogo fra Palazzo Strozzi e San Marco, Firenze sembra suggerire una verità semplice e dimenticata: il Rinascimento non è mai finito, finché qualcuno avrà il coraggio di guardare la luce come un inizio.
Per RADICI Riccardo Dimeo