03/08/2025
Tra stronze ci si intende.
Tra stronze, c’è poco da fare, ci si intende.
Non servono parole, solo sguardi, mezze frasi, un certo modo di muovere le mani mentre si sorseggia un caffè. Io, ve lo confesso, ho sempre avuto un debole, un amore quasi viscerale, per il lavoro per e con le donne. È la mia missione, il mio campo di battaglia e, diciamocelo, il mio porto sicuro. Mi occupo di noi, di noi stesse, da un tempo che mi pare un’eternità, così tanto che a volte mi sembra di aver assistito alla nascita del primo istinto di sopravvivenza femminile. Non ho mai permesso che le solite, stanche, supponenti e francamente noiose sentenze maschiliste avessero la meglio. Quelle che ti dicono che siamo competitive (e chi non lo è, in fondo? Gli uomini, forse?), pettegole (chi non lo è, quando c’è del buono da raccontare?), perfide (e cosa c’è di più affascinante di una certa, misurata perfidia?). Stronzate. Ho sempre, e sottolineo sempre, cercato la solidarietà, la complicità, il patto non scritto con le altre donne. Proprio come fanno gli uomini tra loro, in quel loro mutuo soccorso, invisibile ma inossidabile. E onestamente, in tutti questi anni di lavoro, di donne che ci sanno fare, che sanno muoversi, che sanno stare al mondo, ne ho incontrate tante. E con loro, mai un problema. Mai. Poi certo, il caso vuole che ogni tanto ti si palesi davanti la “ragazzetta”. Quella ambiziosa, sì, e pure bellina, il che non guasta mai, che ti guarda con gli occhi della predatrice. In te non vede una risorsa, un appoggio per salire, un faro che le indichi la via. No, lei vede solo una nemica da abbattere, una torre da far crollare. Una concorrente. È capitato, certo che è capitato. Ma la mia borsa di attrezzi, in questi casi, è ben fornita. Ho imparato a gestire la situazione con quella calma che solo chi sa che il tempo è galantuomo e che la stupidità ha le gambe corte, può possedere. Ho una tale esperienza dell’essere umano, soprattutto di quello femminile, con le sue sfumature, le sue ombre e le sue inaspettate risorse, che non ci casco più. Anzi, spesso mi diverto a osservare il meccanismo. E mi è capitato anche con donne più grandi, quelle che per età dovrebbero avere la saggezza di Salomone e invece rivelano una mediocrità disarmante, insicurezze profonde di una stupidità quasi imbarazzante. Ma del resto, cosa c’è di più pericoloso della stupidità? È un’arma bianca, affilata, capace di colpire alle spalle, senza preavviso.
Ebbene stamattina, tra un caffè e l’altro con la mia vecchia sorella, è riemerso un episodio di molto tempo fa. Una di quelle cicatrici che non fanno più male, che sono diventate parte del tuo paesaggio interiore, ma che ogni tanto, senza un motivo apparente, pizzicano. Lavoravo per una società di comunicazione nella nostra regione. Loro gestivano l’ufficio stampa di una importante organizzazione medica. Per questa organizzazione, era stato messo in piedi un evento fuori sede, e l’incarico era stato affidato a una società di una città di mare in provincia di Ancona. L’evento si teneva a Bologna o Padova non ricordo con precisione e poco importa, davvero. Quel che conta è che l’organizzazione era stata data in mano a questa società di eventi, la cui proprietaria era una donna. Bella donna, o almeno credeva di esserlo, con quella tracotanza fatta di griffe che a volte si confonde con l’eleganza, quella sicurezza di sé che non deriva dal merito ma da altro. Era ben ammanicata, ben introdotta in certi ambienti, quelli dove le porte si aprono non per la capacità di superare gli ostacoli, ma per la facilità con cui si stringono mani, si scambiano favori, si sta gomito a gomito con chi conta. Il mio ruolo? Semplice sulla carta: seguire l’evento e fare delle interviste alle protagoniste. Tutto qui. Ricordo ancora che ebbi qualche problema con la batteria del cellulare. Un intoppo tecnico, una cosa da nulla, un piccolo fastidio. Ma le interviste le portai a casa, tutte, nessuna esclusa. Usate e riusate dalla società che mi aveva incaricato. Tutto bene, allora? No. Perché avevo fatto un lavoro eccezionale. Avevo intervistato tutte le presenti, anche quelle più reticenti, quelle che si nascondevano dietro un’aria di timidezza. Ma l’argomento era di quelli che contano: oncologia. Non il gossip da bar, non la fiera di paese. Ritenevo giusto, anzi doveroso, non perdere nemmeno un intervento, una parola, un sussurro, una eco. Non avevo sbagliato un colpo. Ero stata troppo brava. Troppo attenta, troppo empatica, troppo. L’eccesso, la colpa suprema in un mondo che premia la mediocrità funzionale. E così, la st***za, sì, chiamiamola col suo nome, senza orpelli, la st***za proprietaria della società di eventi, per paura di chissà cosa , forse della mia professionalità che mettesse in risalto le sue ombre, le sue crepe – scrisse una mail. Una mail velenosa, intrisa di lamentele infondate, accusandomi di essere stata poco professionale, di aver creato disagio, di essere stata questo e quello. Fandonie, naturalmente. Ma quelle fandonie, quelle piccole, meschine, e francamente stupide bugie, mi fecero interrompere il rapporto di lavoro. Ora, che dire? La st***za ben ammanicata continua a lavorare, a organizzare i suoi eventi, a muoversi con le persone che contano. E anche io, per fortuna, continuo la mia strada, con i miei valori, i miei principi e la mia inossidabile professionalità. La cosa non mi ha nociuto più di tanto, non ha distrutto la mia carriera, non ha spezzato il mio spirito. Ma ha minato, sì, un pochino, giusto un pochino, quello che ho sempre pensato delle donne. Quelle donne che ho sempre guardato con i miei occhi e con il mio cuore, con quella fiducia quasi ingenua in una sorellanza che credevo fosse un pilastro inamovibile, indistruttibile. Devo però dire, con la lucida onestà che mi contraddistingue e che a volte mi rende scomoda, che alcune di noi sono davvero stronze. Ma stronze tanto. Come questa povera donnetta, che si crede “sto cazzo”, che si atteggia a chissà chi, quando in realtà è solo una piccola anima invidiosa e meschina. E va bene! C’è da dire poi che la lamentela che fece, fu letta e interpretata da un’altra st***za come lei, una che evidentemente parlava la stessa lingua del veleno e della mediocrità. Ma perché mi è venuto in mente oggi? Perché proprio stamattina questo ricordo è riaffiorato? Non saprei. Forse è la luna. Ma lo scoprirò. Perché la verità, come l’onda, torna sempre a riva. E le stronze, alla fine, si riconoscono. Sempre.