10/11/2025
Punire non educa: prepara l’errore successivo
Educare non è imporre. È permettere. È preparare un terreno dove il seme possa crescere. La disciplina non si ottiene con la punizione, ma con la scoperta dell’ordine dentro di sé.
Eppure noi, spesso, quando un bambino sbaglia, corriamo alla punizione come si corre all’acqua per spegnere un incendio.
La punizione fa impressione, è immediata, dà l’idea di controllo.
Ma è solo un’apparenza.
Pensiamo invece che compito dell'adulto sia osservare, offrire libertà entro limiti chiari, proporre materiali che trasformano l’energia in lavoro intelligente, e praticare la riparazione quando accade l’errore: “Come possiamo rimettere a posto ciò che è stato turbato?”
La psicologia contemporanea lo ha mostrato chiaramente — soprattutto la Teoria dell’Autodeterminazione di Deci e Ryan: gli esseri umani crescono quando sentono tre cose fondamentali dentro di sé:
di avere una scelta, di essere capaci, e di non essere soli.
Quando puniamo, spezziamo proprio questi tre fili:
la scelta diventa obbedienza, la capacità diventa insicurezza, la relazione diventa distanza.
Il bambino non impara a fare meglio: impara a nascondere l’errore.
E l’errore, nascosto, non si trasforma. Rimane lì, si indurisce, ritorna.
Un ambiente educativo è riuscito quando il bambino non obbedisce perché è costretto, ma perché ha compreso il senso del suo gesto nel mondo.
La punizione, invece, toglie senso alle azioni: resta solo la paura.
Questo vale nelle case, nelle scuole, e — con una forza ancora più evidente — nei quartieri periferici siciliani, dove la vita insegna presto che la sopravvivenza è una lotta quotidiana.
In luoghi come Librino, San Cristoforo, lo ZEN, il rifiuto è antico.
Qui, quando punisci, non educhi: confermi una storia già conosciuta.
La storia che dice: non vali, non appartieni, non è la tua città.
Lì la punizione non si sente come correzione, ma come destino.
E il destino, quando viene imposto, diventa rabbia.
È per questo che la punizione è inefficace: perché non risponde al bisogno profondo.
Il bambino non ha bisogno di essere contenuto.
Ha bisogno di essere riconosciuto.
L’educazione vera — quella che fiorisce nel tempo — non passa dal castigo, ma dalla relazione, dall’offerta di un ruolo reale nel mondo, da attività che permettono di costruire, riparare, trasformare.
Quando un ragazzo sente di poter fare, non ha più necessità di distruggere.
Quando si sente visto, non ha bisogno di gridare.
Quando comprende il proprio posto, non tenta di rubarlo.
E qui entra in gioco qualcosa che noi, al LUDUM, conosciamo bene:
la conoscenza che si può toccare.
Il laboratorio in cui le mani imparano prima della voce.
La scienza che non è teoria, ma esperienza.
La responsabilità come competenza, non come obbedienza.
Un bambino che costruisce una lampada, un robot, uno slime, un modellino, sta costruendo se stesso.
Sta imparando che può lasciare una traccia.
E chi lascia traccia non ha bisogno di ribellione.
Ha già un posto nel mondo.
Servono interventi efficaci e plausibili, come :
Micro-ambienti educativi diffusi: aule-laboratorio dentro parrocchie, spazi di quartiere, biblioteche; orari pomeridiani stabili con tutor.
Compiti reali e visibili: orti urbani, ciclofficine, laboratori di scienza hands-on, media-lab; prodotti che il quartiere vede.
Giustizia riparativa di comunità: patti semplici (“se danneggio, riparo con lavoro utile”), cerchi di parola guidati, mentori del quartiere.
Alleanze scuola-famiglia: incontri brevi e regolari, non solo quando “va male”; contratti educativi chiari.
Sport e arti come grammatica del corpo: rugby, danza, teatro di figura, pupi; regole interne forti, appartenenza positiva.
Borse di merito comunitarie: piccoli incentivi non consumistici (libri, abbonamenti, strumenti) legati a impegno e restituzione sociale.
Certezza, non severità: risposte immediate, proporzionate e riparative a piccoli reati; percorsi brevi di lavoro utile invece di multe e punizioni inefficaci.
In periferia, “punire” senza offrire alternative praticabili è chiedere al bambino di scegliere il bene nel vuoto. Prepariamo il terreno: verrà.
Non si tratta di punire meno. Si tratta di riconoscere di più.
Perché, come diceva Maria Montessori:
“L’educazione è un aiuto alla vita.
Punire, invece, è solo un ritardo alla nascita dell’uomo che sarà.”
Fonti: Maria Montessori: Il Metodo della Pedagogia Scientifica; La scoperta del bambino; Educazione alla libertà. ; Deci & Ryan: Self-Determination Theory (1985–2020).