
29/10/2023
Cecè, l'anima multipla di Pirandello (di Cosimo Filigheddu)
Pirandello per i giovani attori è come l’esame di Anatomia a Medicina: se lo passi al primo tentativo sei già medico. In questo “Cecè” dell’Astra allestito dalla Compagnia Teatro Sassari con la perfetta regia di Mario Lubino, l’unica ansia poteva essere per la riuscita di Bianca Maria Lay, Nada, e Aldo Milia, nel ruolo eponimo, entrambi alla prima prova nella resa di un autore che, oltre che tecnica e studio, richiede la comprensione intima della sua malinconica e spietata concezione dell’uomo, una immedesimazione, più che nel singolo personaggio, nel suo creatore: ciò che soltanto attori rifiniti possono fare.
Prova riuscita per entrambi, direi. Bianca Maria Lay ha mantenuto per tutto l’atto quel fondo di afflizione pirandelliano, pur negli impeccabili passaggi dall’ingenuo gioco della giovane signora dell’alta società alle cadute nella sguaiataggine indotta dall’incalzare degli eventi che gli vanno contro, cioè la vera anima della giovane donna figlia della decadenza romana post unitaria, un po’ ingenua e un po’ ragazza allegra. Una padronanza psicologica del personaggio sorretta da una perfetta conoscenza e occupazione degli spazi del palcoscenico, oltre a una sicurezza ed eleganza di movimenti che rivela una pratica della danza.
Aldo Milia ha dal canto suo mostrato di capire che certi monologhi di Cecè non sono altro che un allenamento di Pirandello prima della grande prova di “Uno, nessuno e centomila”. Milia non sfugge al comico amaro e talvolta volgare insito in questa commedia inconsueta nello stile e nella tematica dell’autore, ma acchiappa solidamente l’anima di Pirandello ogni volta che compare nel testo, soprattutto nella riflessione apparentemente cinica dei mille modi di essere e di mostrarsi, dove abbandona il tono giocoso come in quel “Non è uno strazio pensare che tu vivi sparpagliato in centomila che ti conoscono e che tu non conosci?”.
Scontata invece la perfetta resa del commendator Squatriglia nella bella interpretazione di Alfredo Ruscitto, autore collaudato e coinvolgente, capace di correre dal comico al tragico, dal macchiettistico all’intimo con tutta la professionalità e la passione che lo contraddistingue.
Mario Lubino con la sua regia ha reso con agile coerenza lo spirito multiplo di questo atto unico, dove traspare il disprezzo per il mondo corrotto e affaristico romano, cioè una critica sociale non comune in Pirandello, il quale di solito preferisce riflettere sul rapporto del singolo con la società malata, ciò che però compare anche qui. E per rendere tutto occorre il ritmo di scansione ma nello stesso tempo compatto che Lubino ha impresso al suo allestimento.