14/11/2025
A me di Andrea Scanzi non piace nulla. Né la sua enfasi da protagonista di sé stesso, né quella rabbia a getto continuo che trasforma ogni confronto in una tenzone epica, né l’autocompiacimento da rockstar della coscienza civile. Però l'altra sera ha fatto centro. Ha centrato il bersaglio grosso. Ha riportato Bruno Vespa sulla terra.
È successo a È sempre Cartabianca, l’11 novembre. Vespa, ospite d’onore per presentare il suo nuovo libro Finimondo (e già il titolo pareva una minaccia), cercava di barcamenarsi tra propaganda e revisionismo elegante. Il tema erano i centri di rimpatrio in Albania, il grande sogno m*loniano di esternalizzare l’immigrazione e la responsabilità. Un piano costoso, pieno di buchi, che Scanzi ha messo in discussione con parole nette: "La M*loni aveva promesso che avrebbe risolto tutto, e ora dà la colpa alla magistratura. È un fallimento. Punto."
Vespa ha provato la solita mossa: una carezza velenosa, un tono da zio burbero, quel classico paternalismo con cui ha raddrizzato decenni di interviste inginocchiate. “Abbi pazienza, Scanzi…”
Ed è lì che Scanzi ha fatto la cosa giusta. Quella che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo sognato di fare con certi toni, certi sguardi, certi Bruno Vespa: lo ha interrotto. "Abbi pazienza lo dici a qualcun altro, Vespa."
Andrea Scanzi ha 51 anni, Bruno Vespa ne ha 81. Potrebbero essere padre e figlio. Ma non lo sono. Fanno lo stesso mestiere. Sono due uomini adulti, seduti nello stesso studio, con lo stesso microfono davanti, lo stesso tempo a disposizione, lo stesso diritto di parola. Ecco perché quell’“abbi pazienza” è così intollerabile. Non è una frase: è una posa. Un gesto antico, che puzza di gerarchia, di superiorità autoattribuita. È la carezza pelosa del potere che si sente ancora maestro.
Scanzi ha fatto quello che ogni adulto dovrebbe fare quando gli parlano dall’alto in basso: ha detto no. “Abbi pazienza lo dici a qualcun altro”. Che è come dire: non mi insegni nulla, non sono tuo apprendista, e soprattutto non sono disposto a farmi zittire con una frase da salotto buono.
Da quel momento lo scontro è cambiato. Vespa ha tentato di rifugiarsi nella solita comfort zone: “Non rispondo a una persona maleducata”. Ma era tardi. Scanzi ha rincarato: “Io la pazienza l’ho avuta ad ascoltarti. Ora tocca a te ascoltare me”.
Il punto è proprio questo: Vespa è ancora convinto che il tempo, l’esperienza, il nome inciso sulle copertine, siano argomenti. Ma in uno studio televisivo non valgono più come una volta. La deferenza non è più un automatismo. Nessuno si ferma se Bruno dice “per favore”. Nessuno tace per rispetto. Se alzi il sopracciglio, oggi qualcuno ti alza il volume.
Scanzi ha fatto quello che andava fatto: ha spezzato il riflesso condizionato del rispetto unilaterale. Non per maleducazione, ma per parità. Perché Vespa non è un monumento: è un uomo. E in quanto tale, risponde. Non comanda. Non regola il dibattito con le dita.
Che sia l’inizio della fine? Chissà. Vespa ha visto altri tramonti e li ha sempre trasformati in prime serate. Ma qualcosa scricchiola. Sta pestando una m**d@ dietro l’altra, e non c’è più nessuno che si chini a pulirgli la suola. E il bello è che non se ne accorge. O peggio: se ne accorge, ma finge di no.
E invece il mondo è cambiato. Ora se dici “abbi pazienza”, può darsi che qualcuno ti risponda: no, caro. Abbi tu pazienza. E smettila di crederti intoccabile.