MezzoCaffè: la sveglia dei lavoratori

MezzoCaffè: la sveglia dei lavoratori Giornale dei lavoratori Buona lettura...

Il giornale MezzoCaffè nasce nel 1998, per volontà di un gruppo di operai della SKF (industria metalmeccanica) di Bari, come spinta propulsiva di reazione all’appiattimento dei sindacati tradizionali (CGIL-CISL e UIL), sentendo l’esigenza di ricominciare a parlare, a discutere, a scambiare le idee e perché no a reagire, in fabbrica! Nasce con l’obiettivo di spiegare e divulgare tutto quanto possa

servire a rendere meno ciechi e sordi i lavoratori, ma anche essere una piazza, una tribuna, dove ognuno possa essere parte attiva, dicendo la sua! Il nome MezzoCaffè è stato dato per rendere l’idea di qualcosa che si possa condividere (come la tazzina di un caffè preso alla macchinetta di fabbrica), che serve un pò a svegliare durante il turno di lavoro. Nel tempo, il giornale è uscito dalla dimensione aziendale, cominciando a girare in molte altre fabbriche del barese e come un virus a contagiare le coscienze ormai assopite della classe lavoratrice. È diventato un vero giornale, coinvolgendo sempre più persone e toccando anche altri temi che non siano prettamente “di fabbrica”. Oggi, grazie al web (http://giornalemezzocaffe.blogspot.it/) e a Facebook (.mezzocaffe) potrebbe essere letto in tutto il mondo! In un Paese come il nostro, dove la vera informazione è morta, MezzoCaffè vuole essere un giornale libero, che dica la verità sulle cose e che soprattutto dia voce a chi voce ormai non ha più: i lavoratori!

13/07/2025

I SOLDI CI SONO. NASCOSTI, MA CI SONO

L'azienda ha avviato un piano di esuberi, cioè di prepensionare un po' di dipendenti e ha chiamato i sindacati a siglare un accordo, ormai qualche mese fa. Ma si e' dimenticata forse di avvisare i responsabili dell'ufficio del personale, che infatti girano attorno come per perdere tempo: chiamano le persone interessate, poi le richiamano, le richiamano ancora, poi stilano dei piani con dei numeri, poi dicono che non valgono, poi hanno già trovato, poi il dottore non firma, poi, poi, poi. Ma se i sindacalisti annunciarono che erano stati stanziati dodici milioni di euro per l'operazione, qual'e' il problema? Certo il dottore e il suo vice ogni tanto si distraggono, sensibili come sono ancora al fascino dell'umanità femminile, e certo non bisogna buttarli, i soldi, ma così...
Oppure è vero che soldi non ce ne sono? D'altra parte il testo dell'accordo, che i segretari si impegnarono a rendere pubblico, in bacheca non è mai stato messo. Una dimenticanza, sicuramente, con tutto quello che hanno da fare... Ma l'annuncio fu fatto, quindi finora rimane quanto detto. E allora? Allora niente, si consumano le scale per il continuo saliscendi di persone interessate, ma non ancora convinte.
Nel frattempo dicono che la produzione va male, troppi scarti, qualche reclamo, si impone agli impiegati e pure a qualche operaio di consumare le ferie per abbassare il passivo aziendale. Sembrerebbe insomma che veramente si stia salvando la baracca dal crollo. E invece... Invece hanno chiamato, per sostituire il capo contabile che dovrà rimanere assente per un po', uno da Torino: non uno qualsiasi, ma un ex dirigente in pensione, al quale dovranno pagare un contratto di consulenza adeguato alla sua vecchia paga, più vitto e alloggio e quant'altro. Era proprio necessario? Non si poteva per qualche mese sostituire il “ragioniere” aziendale con uno già a libro paga?
Si poteva, ma è meglio evitare. Da quella scrivania vengono tutti i dati, più o meno falsi, su cui poi si calcolano i vari premi di produzione e quella cosa strana che si chiama “cimb”, un premio legato ad alcuni parametri tipo produttività, qualità, sicurezza, ecc. Tutto dipende da quei dati, che nessuno può controllare. E' rimasto l'amaro ricordo di quel disgraziato direttore che, due o tre anni fa, prima a dicembre disse pubblicamente a tutti che l'anno era stato eccezionale, poi a maggio fece uscire dei numeri che davano un premio di produzione a dir poco misero. Più falsi di così...

23/06/2025

Questa è gente che ha studiato

Di fronte alle mattane di uno come Trump tutto passa in secondo piano: se non fosse tragica la situazione in cui ci sta cacciando (a noi, non a lui potrebbero toccare le conseguenze) sarebbe sublime. Dire agli iraniani dopo averli bombardati con le bombe più potenti che esistono, atomiche a parte, che “adesso possiamo fare la pace” è arte pura, dove realtà e fantasia si superano a vicenda.

Ma sia pure in secondo o in terzo piano ci sembra degno di essere raccontato quanto successo pochi giorni fa in una azienda a noi nota. Si sono tenute delle riunioni tra capi ed operai in cui è stata prospettata la “grave” situazione dello stabilimento: poca produzione, troppi scarti, ecc. ecc. E fin qui nulla di nuovo, se pensiamo che qualche anno fa - nella stessa azienda - un capo del personale disse addirittura che lo stabilimento è “in perdita da dieci anni”. Meno pericoloso ma altrettanto surreale, lui e Trump. Vabbè, torniamo ai giorni nostri: la sera stessa o la sera dopo aver fatto annunci catastrofici sull’andamento dello stabilimento tutti i capi, in blocco, compreso naturalmente chi aveva duramente redarguito gli operai, se ne sono andati a mangiare al ristorante. Roba di pesce, non una cosa così…
Naturalmente qualcuno si è meravigliato: come, la mattina quasi a piangere e la sera al ristorante? E cie’ alla chigghione, come si dice a Bari? No, è stata una risposta, siamo andati a elaborare una “strategia”. E che, bisogna andare al ristorante per elaborare strategie?

Certo potrebbe sembrare incoerente, un tale atteggiamento. Ma vogliamo per una volta spezzare una lancia a favore dell’azienda e dei suoi capi, che potrebbero rivelarsi meno incoerenti e più preparati di quello che sembra. Se si sono comportati così è perché questi hanno studiato, ecco la verità. Hanno letto Erodoto, il primo storico greco e autore per l’appunto delle “Storie”, dove racconta di come i persiani agivano quando dovevano prendere decisioni importanti. Ne parlavano e deliberavano due volte, una volta da sobri e una volta da da ubriachi, dopo cena. Se le deliberazioni coincidevano, passavano all’azione. Insomma i capi dello stabilimento che sono andati a mangiare subito dopo aver annunciato catastrofi, stavano lavorando pure al ristorante. Elaboravano strategie alla maniera dei persiani. Questa, evidentemente, è gente che ha studiato.

12/06/2025

VERREBBE VOGLIA DI NON FARE PIU' NIENTE

I referendum, come previsto, non hanno raggiunto il quorum e non sono serviti a niente. Colpa di chi? Di chi ha invitato a non andare al voto? Può darsi, come può darsi che tanti siano stati accidiosi spontaneamente, senza bisogno di spinte. E' facile, è una scorciatoia, fare finta di aver capito tutto e non fare niente. Ma tutta questa accidia non è naturale: molti non sono andati a votare per protesta contro quella parte politica, la cosiddetta sinistra, che dovrebbe rappresentare gli interessi dei lavoratori e non lo fa. Neanche quando propone i referendum.
Spieghiamoci meglio: una legge come il jobs act è chiaramente contro i lavoratori, ma se a a proporre di cancellarla, almeno in parte, sono quelli stessi che sui luoghi di lavoro latitano da anni, da anni permettono sotto i loro occhi che si faccia contemporaneamente cassa integrazione e lavoro di domenica, che non dicono e non fanno nulla quando i padroni dicono “arrivederci e grazie”, allora... Allora è normale che a molti sia venuto il dubbio che i referendum proposti dalla Cgil siano serviti soltanto a farsi vedere, a mettersi in mostra. Come se avessero voluto dire che non è vero che non facciamo niente, lo vedete? Si, ma proporre un referendum e poi non promuoverlo, se non stancamente e solo nelle ultime settimane, a che pro? Insomma, il sospetto è che la stessa Cgil che non si impegna nelle fabbriche abbia scelto di impegnarsi (non molto) fuori dalle fabbriche solo per salvare la faccia. Naturalmente c'è stato chi ci ha creduto. Molti militanti del sindacato di Landini hanno fatto tanto, ma quanti non erano convinti neanche loro?
Adesso si stanno accapigliando su cosa significano i 14 milioni di votanti: tutti contro la Meloni oppure? Oppure niente, perchè niente è stato. Rimane nei luoghi di lavoro il ricorso sfrenato ai lavoratori precari, anche quando il lavoro precario non è; rimane che si fa cassa integrazione e si lavora la domenica, nella stessa azienda; rimane che una fabbrica legata all'”automotive” aspetta solo di chiudere i battenti, senza nessuna riconversione seria.
A noi rimane da dare una speranza, ai giovani lavoratori senza speranza: è vero che i grandi sindacati, nonostante qualche referendum, sembrano non voler contrariare i padroni; è vero che i partiti “di sinistra” (non il Pd, naturalmente) sono troppi, piccoli e autoreferenziali, ma è anche vero che l'unico modo per perdere davvero è scegliere l'individualismo. I buoni compagni, tra tanti poco onesti, esistono.

22/05/2025

MUTISMO SELETTIVO

A leggere le bacheche sindacali della Skf di Bari, in questi giorni, sembrerebbe che l'unico grande problema in azienda sia un capo... che fa il kapò. La questione è riassumibile facilmente: in azienda ogni tanto qualcuno viene promosso e da semplice operaio diventa “coordinatore operativo”, e in genere viene scelto non tanto per i suoi meriti quanto per la sua fedeltà. Certo l'ultimo caso è stato piuttosto singolare: uno che fino alla sera prima era rappresentante sindacale si è ritrovato la mattina dopo promosso a “capo”. Ma questo dimostra soltanto che il caso umano in questione fingeva di fare il rappresentante degli altri lavoratori mentre in realtà “collaborava” con la direzione aziendale: uno st***zo, insomma. Ma non l'unico, solo l'ultimo, che una volta diventato “capo” si è messo a maltrattare i suoi ex compagni, rivelando la sua vera natura.
Fin qui, se vogliamo, nulla di nuovo o eccezionale. E poi, se vogliamo dirla tutta, più di un capo qualsiasi è stato st***zo il direttore che lo ha scelto, riconoscendolo come suo simile. La novità è stata che, nel silenzio di tomba che ormai impera nelle aziende, è apparso in bacheca un “comunicato sindacale” che ha parlato di comportamenti “vessatori, intimidatori e lesivi della dignità da parte di un coordinatore operativo”. Neanche due o tre giorni dopo, nella bacheca sindacale accanto, un altro “comunicato di risposta” che ha messo in dubbio quanto denunciato nel primo comunicato, invitando a fare nomi e cognomi.
Non ce n'è bisogno: i fatti sono quelli, e – lo ripetiamo - non sono purtroppo una novità. L'unica novità è che chi ha scritto il primo comunicato di denuncia nell'ultima elezione è stato estromesso dalla rappresentanza sindacale unitaria, ed è forte il sospetto che stia cercando di risalire nei consensi. Consensi di tutti, azienda compresa, altrimenti non avrebbe indorato la pillola pomposamente parlando di comportamenti incompatibili con rispetto, principi e diritti “oltre che dal D. Leg. 81/2008 in materia di benessere organizzativo e tutela della salute psico-fisica dei lavoratori” e minacciando di “ricordarlo nelle sedi che riterremo più opportune”. Quali sedi, se nemmeno si fa un nome? Cioè, un nome c'è, ed è la firma dell'estensore del comunicato, quasi una pubblicità personale.
Stronzate a parte, nella Skf di Bari sta andando via una intera linea di produzione senza che nessuno ne parli; il contratto nazionale è fermo da quasi un anno, mentre i prezzi aumentano, e nessuno ne parla; si farà un referendum su questioni sacrosante come la troppa precarietà, e tutto tace. Va bene la denuncia dei comportamenti vessatori di un capo, ma come non sospettare che si scelga di parlare solo di ciò che non dà realmente fastidio?

09/05/2025

UNA VOCE NEL DESERTO CHE ERA MEGLIO NON SENTIRE

Del rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici non ne parla nessuno. Una volta al mese, più o meno, i sindacati proclamano un giorno di sciopero, e per fare più scena lo fanno in giorni diversi per ogni azienda, in modo da spostare i pochi militanti, sempre gli stessi, da un cancello ad un altro, magari in permesso sindacale. Si chiamano i lavoratori allo sciopero senza che nessuno venga a spiegare il perché o il per come la trattativa è ferma. Non una assemblea al riguardo.

Stessa cosa per i referendum, promossi dalla Cgil. Il mancato raggiungimento del quorum è ampiamente annunciato, e come potrebbe essere diversamente? Non ne parla nessuno, neanche per questo argomento nessuna assemblea nei luoghi di lavoro. E se non se ne parla nelle fabbriche come volete che si interessino alla faccenda fuori?

Nella Skf di Bari da qualche settimana ci sono degli operai bulgari che sono venuti a prendersi, letteralmente, una linea di produzione. Con tanto di interprete stanno affianco degli operai locali a imparare come si conducono le macchine che tra un mese o due saranno trasferite in Bulgaria. Qualcuno ne parla, qualcuno si è chiesto se ci sono a Bari altre produzioni in arrivo, per compensare i posti di lavoro che andranno perduti? Niente, silenzio assoluto.

Sembrerebbe un deserto, e invece qualcosa si muove. L’unica voce, per così dire, è stata quella di un rsu della Uilm che in un comunicato affisso in bacheca nelle scorse settimane ha denunciato… cosa? Niente meno che la “introduzione di un nuovo responsabile legato a un’impresa esterna” che si sarebbe “arrogato” il diritto di inviare del lavoro fuori. Anche se poi, nello stesso comunicato, dice che è stato il “responsabile della pianificazione” a “permettere di fatto” a un “esterno”, anzi a un “appartenente a un’impresa di pulizie” di mandare il lavoro fuori. Si è arrogato o lo hanno delegato?
Cambia poco, anche perché la cosa dura da anni. Quel che è cambiato, ultimamente, è che a gestire il flusso di prodotto dato fuori in lavorazione non è più lui, proprio quello che ha scritto il comunicato. E così si capisce perché su tutto il resto tace, ma su questo no. Era meglio il silenzio, a questo punto.

PIU' CHE SINDACALISTI, INTRATTENITORI Un certo Giuliano Cazzola, che di professione fa l'economista e scrive per il sito...
26/03/2025

PIU' CHE SINDACALISTI, INTRATTENITORI

Un certo Giuliano Cazzola, che di professione fa l'economista e scrive per il sito tutt'altro che comunista ilsussidiario.net, ci ha fatto sapere pochi giorni fa che l'Organizzazione internazionale del lavoro, nientemeno, avrebbe scoperto che le retribuzioni in Italia sono scese, dal 2008, quasi del 9%. Quelli della grande organizzazione internazionale hanno scoperto l'acqua calda: non sapevamo di quanto, ma che i prezzi fossero saliti più delle retribuzioni lo sapevamo tutti, senza bisogno della Oil o di Cazzola.
Giustamente però, nello stesso articolo, l'economista e buon cristiano Cazzola si chiede: i sindacati dov'erano? Bella domanda. Anche perchè, nonostante i risultati disastrosi, nelle grandi aziende gli iscritti al sindacato non sono pochi, anzi; e non versano poco, anzi. Versano qualcosa come l'uno per cento della paga, cioè una cifra che in un anno si misura in centinaia, non in decine di euro. Allora? Perchè molti lavoratori “premiano” un sindacato che li ha penalizzati?
Giuliano Cazzola in realtà lo sa bene, cosa succede. Lui e tutto quel mondo che gira intorno a Comunione e liberazione (praticamente l'editore de ilsussidiario.net) predicano la necessità dei “corpi intermedi”, cioè di uomini e donne organizzati che stanno tra lo stato e la società: come la Chiesa, ma senza essere preti. Dei veri e propri “mezzani”, insomma. Ma stare in mezzo, come Cazzola, non significa essere neutrali: chi paga questo esercito di intermediari è lo stato, sono i padroni, e per stare in mezzo devono far piacere a loro. Insomma, devono sapere cosa accade fra i lavoratori e li devono tenere buoni: non a caso la Cisl, sindacato di riferimento per Comunione e liberazione, fa meno scioperi degli altri. Che non ne fanno quasi per niente.
Ma siccome i lavoratori non sono stupidi rimane la domanda: come hanno potuto accettare passivamente il peggioramento della propria condizione economica? L'intermediazione c'è stata, c'è stata la corruzione diffusa, c'è stato l'individualismo, ma c'è stato anche qualcos'altro: c'è stato l'intrattenimento. Un caso esemplare è capitato di recente in una azienda nella quale un rappresentante sindacale ha denunciato come “inaccettabile” il ricorso alla cassa integrazione mentre il lavoro viene dato all'esterno e mentre si continua a fare straordinario. Beh, direte voi, questo è un esempio di onestà sindacale, di correttezza, dov'è il problema? Lo sa chi vive e lavora in quell'azienda: il rappresentante sindacale (che non è della Cisl, ma cambia poco) che oggi denuncia il ricorso anomalo alla cassa integrazione è lo stesso che fino all'altro ieri faceva in prima persona – o avvallava - le cose che oggi denuncia. Sapete cosa è cambiato da ieri a oggi? E' cambiato il direttore, è cambiato qualche altro dirigente aziendale, ed è cambiato il referente sindacale, il “preferito” dall'azienda. Fino a ieri era lui, oggi è un altro. Chi fino a ieri avvallava e oggi denuncia, in altre parole, ha dei motivi di risentimento nei confronti dell'azienda. Ecco il motivo di questa teatrale opposizione che fa il solletico all'azienda. Puro intrattenimento, a parte il privato tentativo di un “sindacalista” decaduto di ritornare in auge. Nel frattempo tra i lavoratori non si parla né delle guerre né dei loro salari che continuano a diminuire; o, per essere precisi, a salire meno dei prezzi, che è la stessa cosa.
Capacità recitative a parte, non siamo così categorici da escludere che un rappresentante sindacale fino a ieri corrotto si possa redimere. Potrebbe essere accaduto a lui come a san Paolo sulla via di Damasco, talmente folgorato e pentito dei suoi precedenti peccati da cadere da cavallo. Solo col tempo sapremo se è vera, sincera conversione. Per il momento potremmo solo rallegrarci idealmente col cavallo, l'unico ad essersi certamente liberato dal peso di un grande bugiardo. Scusate, un grande intrattenitore.

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12/03/2025

SE CERTE AZIENDE DANNO DEI SOLDI (APPARENTEMENTE NON DOVUTI) AI PROPRI DIPENDENTI PIU' ANZIANI PER ANDAR VIA, E' PERCHE' SANNO ESSERE GENEROSE?
NO, IN REALTA' STANNO SOLO RESTITUENDO UNA PARTE DI QUANTO HANNO TOLTO LORO NEGLI ANNI.


L'argomento del giorno, in certe aziende, è il prepensionamento. Se si farà l'”isopensione”, se non si farà, per quanti anni, se conviene oppure no, quanto si perde, e soprattutto i lavoratori interessati si chiedono quanto contrattare con l'azienda (accettando di andare via) per integrare la modesta isopensione e non rimetterci troppo.
Vista da fuori, e forse anche da dentro, la questione è curiosa. Funziona più o meno così: ai lavoratori a cui mancano pochi anni per la pensione si offrono sia la “isopensione” che un incentivo monetario che la integri, in un'unica soluzione. Perchè – è la domanda – un'azienda si accolla non solo il costo dell'isopensione (che è sostanzialmente a carico dei datori di lavoro) ma pure quello di una “integrazione” per spingere i suoi dipendenti più anziani ad accettare di andar via? Se li deve pagare, insomma, non se li può tenere a lavorare invece che sborsare soldi per farli stare a casa? Apparentemente, in questi casi, le aziende sembrerebbero avere dei soldi da regalare. Ma non è così.
Se infatti si parte dalla considerazione realistica che i padroni (adesso si chiamano azionisti) non partecipano al processo produttivo, è facile concludere chiedendosi a che titolo si appropriano di una parte dei proventi della produzione. Hanno anticipato il capitale? Ammettiamo il diritto alla sua restituzione (con gli interessi): a un certo punto sarebbero risarciti. Invece gli azionisti esercitano un eterno diritto ad appropriarsi del frutto del lavoro degli altri. Ogni mese, in altre parole, gli azionisti sembrano pagare i dipendenti mentre in realtà stanno sottraendo loro qualcosa. Sono loro a vendere il prodotto, sono loro a dividere la torta dei ricavi di quella vendita in porzioni diverse: quella necessaria a pagare le spese, quella per loro e quella per i lavoratori. E se anche si volesse immaginare un loro diritto ad essere padroni derivante dalla proprietà intellettuale dell'idea imprenditoriale, può questo diritto essere ereditario, eterno, feudale? In realtà il fondatore della Fiat, uno che si chiamava Giovanni Agnelli ed era il nonno dell'”avvocato” e il bisnonno degli Elkann, di automobili non ne sapeva nulla. Si prese l'idea e l'impresa di un altro, e da allora lui e i suoi discendenti “creano occupazione”. Tecnicamente, insomma, questi padroni sarebbero dei ladri. In conclusione - tornando ai cosiddetti “esodi incentivati” - quando le aziende sembrano fare dei regali ai propri dipendenti anziani per spingerli ad andare via in realtà stanno solo restituendo loro una piccola parte di quel “plusvalore” che per decenni hanno loro sottratto. Questa è la realtà.
Ma c'è un altro motivo, che rende questa operazione apparentemente insensata conveniente per le aziende. Nella maggior parte dei casi non si tratta di riduzione del personale, ma di sostituzione. Vogliono carne fresca, i padroni. E con lo “staff leasing”, con le “cooperative”, con le imprese appaltatrici entrano ogni giorno nel mondo del lavoro nuovi schiavi, moderni. La galera si chiama così perchè sulla galea, una nave medievale, a remare erano gli schiavi, i galeotti. A quello siamo tornati, con la differenza che la nostra società non è più una nave a remi, ma una nave da crociera. Ciò che non cambia è che chi sta in basso lavora e chi sta in alto se la gode, come un ladro impunito.

15/02/2025

IL CANE DEL PADRONE CHE CREDE DI ESSERE IL PADRONE

Quasi due anni di produzione industriale in Italia in calo, eppure si sentono (con toni quasi trionfali) esponenti politici addestrati e giornalisti allineati parlare di aumento dell'occupazione. Come può essere? I nuovi occupati sono tutti camerieri, tutti nel turismo, anche d'inverno? O sono assunti per non fare nulla? La risposta è un'altra, più semplice: molti, troppi dei nuovi posti di lavoro sono a tempo parziale, interinali, precari, “a chiamata”. Abbiamo meno disoccupati, è vero, ma ognuno di questi ex disoccupati è anche meno occupato. Tutto a vantaggio del profitto immediato dei padroni, perchè un lavoratore “instabile” è più ricattabile e costa meno di un lavoratore con contratto a tempo indeterminato. Ma è anche tutto a svantaggio della collettività, perchè i salari più bassi riducono i consumi e non favoriscono né crescita, né sviluppo e neanche il fare figli.
Insomma, il poco edificante quadro dell'economia italiana ci mostra come ancora una volta la classe degli imprenditori ha scelto non di investire e innovare ma di restare a produrre le stesse cose, pagando di meno chi lavora. Ma come può essere che siamo arrivati a questo punto in un paese, come l'Italia, in cui esistono sindacati tra i più consistenti del mondo?
Dispiace dirlo, anzi ripeterlo, ma i grandi sindacati italiani (e forse anche quelli meno grandi) non rappresentano più da tempo in maniera concreta gli interessi dei lavoratori. Certo non bisogna fare di tutta l'erba un fascio, ci sono ancora tra loro persone che ci provano a stare dalla parte dei lavoratori. Ma la stessa vicenda, ultima, del contratto dei metalmeccanici (il più importante dei contratti, scaduto da tempo) rende l'idea: Confindustria sta trattando le delegazioni sindacali come fece la contessa Matilde a Canossa con l'imperatore Enrico quarto: li fa aspettare e li umilia, sapendo bene che le loro minacce di scioperi e proteste sono armi spuntate. Confindustria, in altre parole, sa benissimo che i sindacati non riescono più a farsi ascoltare dai lavoratori. E lo sanno pure loro, visto che hanno smesso di fare le assemblee nei luoghi di lavoro.
Eppure ce ne sono, di sindacalisti, nelle aziende. Fanno altro, ma ci sono. Sono diventati poco alla volta veri e propri collaboratori dei padroni, come una seconda gerarchia, parallela a quella dei capi e degli ingegneri. La “cogestione” che vorrebbe la Cisl è già superata dai fatti, dalla “collaborazione” di molti rappresentanti sindacali con l'azienda. Una collaborazione così stretta che sembrano al guinzaglio; e da qualche parte è capitato persino che qualcuno di questi “rappresentanti” si sia sentito talmente investito del potere padronale da mettersi a dare ordini e a controllare i suoi colleghi. Dimenticando che, almeno sulla carta, lui non è nessuno più degli altri. Qualcuno che finora, come un cane, “riportava” al padrone, a un certo punto si è immedesimato e si è messo ad abbaiare come se fosse lui il padrone. Quel cane del padrone si è creduto il padrone; non lo sa che dal guinzaglio alla catena il passo è breve.

26/01/2025

NON ABBIAMO BISOGNO DEI CINESI.
CI FACCIAMO LA CONCORRENZA DA SOLI

Il resto del mondo è in guerra, questo lo sappiamo. Quello che non sappiamo è che, in una forma embrionale che si potrebbe definire “concorrenza”, anche noi siamo in guerra. Senza rendercene conto e subendola. Per dimostrarlo, raccontiamo cose vissute in una delle aziende della zona industriale di Bari, la Skf, ma che sono esemplificative di ciò che sta accadendo tutto intorno a noi.
Partiamo da concorrenze che si potrebbero definire “economiche” e “interne”. Qualche anno fa nella Skf i sindacati firmarono un accordo aziendale in base al quale una parte della retribuzione dei dipendenti era parametrata alle spese di magazzino. In apparenza era un modo per responsabilizzare tutti, per evitare gli sprechi, ma era di certo un altro passo verso la subordinazione delle retribuzioni lavorative a parametri aziendali che spesso sono “influenzati”. E infatti non era impossibile prevedere certe perverse conseguenze di quell'accordo: in questi giorni ai lavoratori della Skf è stato detto che avranno meno soldi in busta paga perchè hanno fatto troppi prelievi dal magazzino. Ma, a meno che non si pensi che qualcuno si porti a casa i bulloni, i pezzi di ricambio servono a far andare le macchine (che, va detto, hanno un'età media sui trenta o quarant'anni). Come si fa a risparmiarli? E' come dire a dei soldati in guerra che devono risparmiare le pallottole; che più spareranno e meno mangeranno. Assurdo, il modo migliore per perdere la guerra. Roba da preoccuparsi seriamente. Invece i “vertici” aziendali si sono concentrati ognuno su come non rischiare la propria poltrona: il ragioniere ha dato la colpa al magazziniere e gli ha imposto un tetto di spesa; il magazziniere ha dato la colpa all'ingegnere, non ha fermato le spese ma le ha “spostate” al mese dopo; l'ingegnere ha dato la colpa agli operai; gli operai, che non partecipano alle riunioni, non hanno dato la colpa a nessuno. E hanno pagato.
Poi c'è una concorrenza, o una rivalità, che è sindacale ma che ha anche risvolti “sentimentali”. Il rappresentante di un sindacato era il “preferito” dal vecchio direttore, ma la dirigenza è cambiata e il nuovo capo del personale preferisce un altro esponente, di un altro sindacato, a lui. La gelosia ha le sue dinamiche, in amore come in politica. E quindi, come se fosse stato sedotto e abbandonato, ora l'amante tradito vuole farlo sapere a tutti che lui è stato messo da parte, povera vittima; a lavorare non è stato ancora costretto, però non è stato invitato in pizzeria insieme a quell'altro. Non ha tutti i torti: dopo vent'anni di “servizio segreto” per l'azienda uno non può essere messo da parte così. E poi, se vogliamo dire, il suo concorrente si vende a un prezzo minore e fa quindi concorrenza sleale. Quando era lui ad essere invitato si andava al ristorante, non in pizzeria.
Andiamo avanti, e passiamo a una concorrenza che potremmo definire “generazionale”. La Skf è piena di lavoratori di “serie B”, giovani non più tanto giovani, con contratti interinali e alle dipendenze di “agenzie” costretti a condizioni di lavoro peggiori e peggio pagati dei dipendenti “normali”, normalmente più anziani. Stavolta la concorrenza è involontaria: se i “giovani” fanno concorrenza agli “anziani” lavorando di più ed essendo pagati di meno non è per scelta ma per costrizione, come se non riuscissero a uscire da una trappola “generazionale”. Come reagiranno? Per ora non reagiscono, o lo fanno individualmente senza lasciare segno. Riusciranno, riusciremo a superare le inutili reazioni istinitive, individuali?
Ci vorrebbe un'organizzazione. E qui il problema non è la mancanza, ma l'abbondanza. Di organizzazioni politiche e sindacali che si ripropongono (a parole) come guida del malessere economico e sociale ce n'è troppe. Anche qui c'è una specie di concorrenza interna. Ai bassi salari e alla recessione economica si dovrebbe contrapporre una credibile alternativa, un diverso e possibile modello economico. Il socialismo, che ancora per molti (ignoranti) è una parolaccia, significa la subordinazione delle produzioni non ai guadagni dei capitalisti ma alle esigenze della collettività. Sarebbe quindi un progresso, non un arretramento, un sistema sociale nel quale il lavoro fosse distribuito tra tutti, abolendo davvero la disoccupazione (che è voluta, oggi, perchè fa comodo ai padroni avere meno gente che lavora di più). Ma se a proporsi come guida, come partito, come “dirigenti socialisti” sono in troppi, allora anche lì si fanno concorrenza. E non sembrano – agli occhi dei lavoratori - diversi dagli altri.

27/12/2024

Riceviamo e pubblichiamo:

“Secondo me non basta porre la questione. La questione esiste e si sa.
Aggiungerei la proposta di un modello che rompa la spinta individualista e dell'indifferenza.
Ad esempio il modello GKN che attraverso il modello del mutualismo conflittuale costringe le istituzioni a promulgare leggi che dessero un valore legale ai lavoratori che si consorziano per recuperare le fabbriche dopo il licenziamento così come avvenuto in toscana pochi giorni fa.
Bosch e tutte le fabbriche italiane hanno fatto finta di adottare il modello tedesco e han proposto una cogestione sindacale non ufficiale che ha prodotto un modello di produttività basato sull'arretramento di diritti e dei salari.
Sulla precarietà del lavoro, sul working poor.
Quello che voglio dire è che la questione è molto più complessa e che non ci si può limitare a descriverla. Bisogna rilanciare un modello differente.”

27/12/2024

MISTERO GLORIOSO, MISTERO DOLOROSO. DOVE SONO I LAVORATORI?

Ci perdoneranno i buoni cristiani se citiamo categorie e cose loro, ma ciò è dovuto al semplice fatto che le questioni umane, da che mondo è mondo, sono in fin dei conti sempre le stesse. E sono sempre gli stessi, o simili, i modi per affrontarle da parte delle persone di cosiddetta buna volontà. In ogni caso - sia chiaro - noi non aspiriamo ad essere buoni cristiani; al massimo vorremmo essere considerati “cristiani aggarbati”, come si diceva una volta. E quindi siamo convinti, per questo non ci stanchiamo di parlare, che l'unico modo per vivere civilmente sia non rinchiudersi nell'individualismo.
Parliamo di guerre. Quelle di oggi, a parte la tecnologia impiegata, non differiscono nelle motivazioni da quelle degli antichi: come allora i potenti del mondo cercano di allargare il loro potere estendendo i domini territoriali. Gli stati moderni retti da capi ambiziosi si comportano esattamente come gli antichi romani o come i feudatari medioevali: Putin vuole un pezzo di Ucraina, la Turchia e Israele si stanno prendendo pezzi di Siria, Trump ha annunciato che vuole prendersi il canale di Panama. E via discorrendo, anzi bombardando.
Ma se i potenti hanno il loro tornaconto, chi appartiene alla categoria dei lavoratori (alla classe dei lavoratori, si diceva una volta) non ci guadagna nulla dalle guerre, anzi. Nel peggiore dei casi i lavoratori sono coinvolti direttamente, nel migliore devono subire decisioni economiche per le quali si spendono in armi soldi che invece potrebbero servire a migliorare sanità e pensioni. Succede anche in Italia oggi.
Ma i lavoratori tacciono. A dire il vero tacciono già da tempo e anche su questioni a loro più immediatamente vicine delle guerre, come le chiusure e la perdita di posti di lavoro in Italia, per esempio. Anche in questi casi come nel medio evo, le aziende e i lavoratori passano da un padrone all'altro senza che i “sudditi” abbiano voce in capitolo. La Magneti Marelli qualche anno fa fu venduta dalla Fiat ai giapponesi per quasi sei miliardi di euro, di cui due finirono in tasca agli azionisti. E adesso? Con una parte di quei soldi, adesso, si potrebbe riconvertire la produzione e salvare tanti posti di lavoro. Ma ormai...
A differenza della Marelli alla Bosch i padroni non sono cambiati e si farebbe ancora in tempo a interpellarli, in Italia, dove il pezzo più grosso dell'azienda (nonostante il ridimensionamento) rimane lo stabilimento di Bari. Lì da anni si fanno orari ridotti, si incentivano gli esodi, si annunciano tempi peggiori, perchè l'automotive è destinato a cambiare; lì erano più di duemila e ora sono milleseicento, con paghe da miseria; di lì due o tre volte all'anno qualche esponente sindacale chiama i giornalisti locali e si fa intervistare non dicendo mai nulla di nuovo.
Ma andiamo a vedere perchè si è arrivati a questa situazione. Era veramente inevitabile? In realtà tutto cambia, prima o poi, e la differenza tra declino economico e sviluppo sta nell'investimento in produzioni nuove e al passo coi tempi. Ecco quale è stato il problema alla Bosch: gli investimenti. Chi avrebbe dovuto farli? Non certo i lavoratori, che non hanno né mezzi né voce in capitolo. Li dovrebbero fare i padroni, a tempo debito, se resistono alla tentazione di mettersi tutti i guadagni in tasca. E i padroni della Bosch li potevano o potrebbero ancora fare, degli investimenti? Si, se volessero: facendo i conti in maniera grossolana (ma non lontana dalla realtà) vediamo che nel 2014, un anno a caso, il fatturato dello stabilimento Bosch di Bari era di quasi due miliardi; il margine di profitto del gruppo (e quindi, più o meno, anche della parte italiana) era del 6%; quindi in un anno i padroni della Bosch, dall'Italia, dichiararono di aver intascato 120 milioni di euro. Considerando una certa diffusa tendenza da parte degli imprenditori a non disdegnare l'aggiustamento dei bilanci in nome dell'umiltà fiscale, diciamo che quei soldi potevano essere di più, non di meno. Per quanti anni è stato produttivo lo stabilimento Bosch di Bari? Circa trent’anni. In trent'anni, a più di cento milioni di euro all'anno, quanti miliardi hanno guadagnato i padroni azionisti? E adesso, perchè nessuno chiede loro di mettere mano al portafogli per riconvertire seriamente?
Ecco il punto: nessuno glielo chiede. I sindacati sono distratti? O la loro tattica di chiedere solo “tavoli” e incontri con le istituzioni serve proprio a distrarre le attenzioni dai padroni? E' un peccato, pensarlo? No. Ma se i sindacati, almeno, un qualche loro interesse ce l'hanno a non disturbare i manovratori, i lavoratori perchè tacciono? Tutti ignoranti? Tutti paurosi di esporsi? Mistero. Anzi, misteri: portano la loro croce in silenzio come Gesù (mistero doloroso), oppure come lui sono stati assunti in cielo (mistero glorioso)? Alla fine, se i lavoratori non chiedono neanche ai loro padroni di salvare il posto di lavoro, come possono chiedere a chi sta più in alto di fermare la guerra?
A non alzare mai la testa si finisce per essere come bestie, non persone. Bisogna romperlo, questo silenzio.

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