
23/09/2025
A Pechino ho assistito a uno spettacolo teatrale di danza acrobatica. Una proposta dell’albergo, accolta con piacere. Ma con una sensazione di déjà-vu: diversi artisti erano gli stessi che avevo visto a gennaio a Dubai.
E non è un caso isolato. Qualche mese fa a Las Vegas, avevo assistito a uno spettacolo del Cirque du Soleil che – per estetica, ritmo e costruzione scenica – richiamava proprio quelli visti a Dubai e a Pechino.
Pochi giorni dopo, ho visitato il TeamLab Planets di Tokyo, museo interattivo che ha riscosso un enorme successo sui social. Suggestivo, coinvolgente, certamente interessante. Ma anche in questo caso, la sensazione era quella della ripetizione: a Dubai avevo visto un museo molto simile e mia figlia mi ha raccontato di aver visto un’installazione identica a Palazzo Reale di Milano. Questi episodi, messi in fila, mi hanno spinta a riflettere. È vero: anche nel mondo della moda ci siamo abituati a trovare le stesse boutique in tutte le grandi città.
Ma quando ho iniziato a viaggiare, parte della meraviglia era proprio scoprire ciò che era diverso, autentico, locale. Ricordo quando si andava a Londra per scoprire i negozi locali, e non quelli che già conosciamo da casa. Oggi, in molte città, il centro è diventato uno spazio uniforme, dove cambia la lingua sui cartelli, ma non l’offerta. Si è omologato lo shopping. Si sta omologando anche l’intrattenimento. E in parallelo, è iniziata la globalizzazione del cibo, con format e piatti replicati ovunque.
Eppure, lo sappiamo: ciò che i turisti cercano davvero è l’autenticità, la possibilità di entrare in contatto con un territorio, con i suoi sapori, i suoi racconti, le sue forme espressive più genuine.
Per questo sono convinta che il compito di chi lavora nel turismo oggi sia quello di resistere all’omologazione, o meglio: di saper innovare valorizzando il locale, non imitandolo. Perché se alberghi, negozi, musei e cibo diventano uguali ovunque, che senso ha continuare a viaggiare? Personalmente non ho una risposta definitiva, ma una certezza sì: la diversità è il vero motore del turismo.
E proteggerla è una responsabilità collettiva.