
30/06/2025
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“Ho tredici anni e sono nella classe 2B.
Se mi guardi in faccia potresti non accorgerti di nulla: ho il sorriso facile, la voce gentile, il diario sempre ordinato.
Ma ci sono giorni in cui sembro trasparente.
O peggio: bersaglio.
A scuola hanno imparato a chiamarmi “la perfettina”. La secchiona. La sfigata.
Non so quando è iniziato. Forse quando ho preso dieci in matematica.
O quando ho detto “scusi” a un professore, e qualcuno ha cominciato a ridere.
Da allora, ogni mio gesto è diventato ridicolo. Ogni silenzio, una colpa.
Hanno cominciato a scrivere il mio nome sui banchi con accanto insulti.
A lanciarmi le gomme.
A inventare storie.
A escludermi da tutto.
Il primo giorno in cui ho pianto in bagno, mi sono detta che era solo un caso. Che sarebbe passato.
La seconda settimana ho cominciato a evitare di incrociare gli sguardi.
E quando la professoressa Bertoli, quella di italiano, si è accorta che qualcosa non andava, mi ha fermata all’uscita.
“ Anna, tutto bene?”
“Don’t worry about me”, ho risposto.
L’ho detto in inglese, perché così sembrava meno serio.
Una frase imparata nelle canzoni. Come se la vita fosse una playlist triste da mettere in loop.
Ma dentro avevo un uragano.
Volevo dirle: “No, non va bene. Mi stanno spegnendo a poco a poco, e nessuno se ne accorge.”
Ma ho avuto paura. Paura che mi dicesse di ignorarli. Che minimizzasse.
O peggio: che non potesse fare niente.
A casa mia madre era stanca, il lavoro, la spesa, la sorellina più piccola.
“Com’è andata oggi?”
“Bene.”
E via, in camera. A chiudere la porta e il cuore.
“Don’t worry about me”, anche con lei. Sempre.
Un giorno, però, ho lasciato aperto il quaderno. Quello dove scrivo le cose che non riesco a dire.
Mamma l’ha trovato. Ha letto tutto. Ogni riga, ogni insulto riportato, ogni paura.
Ha pianto. Ma non mi ha sgridata per aver nascosto la verità.
Mi ha abbracciata forte, come non faceva da mesi.
“Anna, adesso preoccupiamoci insieme.”
Da quel giorno non ho più detto “Don’t worry about me”.
Ho imparato che chiedere aiuto non è debolezza. È un atto di coraggio.
E a volte basta una sola persona che ascolta davvero, per cambiare tutto.”