
06/06/2025
Di memoria, storia e parole.
Il 4 e il 5 giugno ho seguito due incontri per la formazione obbligatoria dell'Ordine dei Giornalisti. Di solito, lo faccio con un orecchio solo mentre mi dedico a qualcosa che richieda il minimo impegno mentale possibile.
Ma questa volta dovevo ascoltare.
Il 4 giugno durante l'incontro "LIBERTÀ DI INFORMAZIONE: UN DIRITTO DEI CITTADINI. Dalla Costituzione all’European Freedom Media Act", Cinzia Venturoli, Storica dell'Università di Bologna, ha parlato della Resistenza e di come veniva raccontata. Lo ha fatto in un modo nuovo e mi ha fatto ve**re voglia di ristudiare questo periodo, anche per la sua riflessione finale:
"Non viene riconosciuta la scientificità della storia, tutto è opinabile. Si dice 'di questo meglio non parlare per non fare politica'. Ma anche Giulio Cesare è politica", ma quello a scuola lo studiamo tranquillamente.
Un'analisi che fa da ponte all'incontro del 5 giugno: "Gaza, informazione nel mirino: le testimonianze dei giornalisti sotto le bombe".
Tra i vari interventi e contributi video, mi ha colpita la forza di Faten Elwan e Shuruq As'ad, due giornaliste che hanno raccontato come i giornalisti e le giornaliste a Gaza siano vittime ordinarie di questo conflitto che che - aggiungo io - è frutto di un'occupazione e che ha porta al genocidio in corso.
Uso queste due parole rivolgendo a tutti la domanda fatta da Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International - Italia al termine dell'incontro:
"Le parole condizionano la Storia o è la Storia che condiziona le parole che usiamo?"
Ne parlo anche da comunicatrice perché credo che, in ogni campo, i vocaboli che scegliamo per esprimere i concetti siano politici, sempre.