27/07/2025
È il tempo delle scelte. Non dell’inerzia e non del cinismo, che le nostre coscienze - e quelle che lasceremo in eredità ai nostri figli - pagheranno a caro prezzo. Mentre la Storia ci scivola tra le mani, verso direzioni che ci riempiono di incertezza e di paura, non possiamo continuare a guardare con prudente attendismo: il nostro sdegno, quello dell’Italia e dell’Europa, non è più un metro di misura sufficiente per rispondere alla strage che si consuma a Gaza. Quando il dolore di un popolo diventa così acuto da trasformarsi in vergogna universale, scade il tempo delle formule evasive. E per questo riconoscere lo Stato di Palestina, oggi, diventa una di quelle scelte che segnano una linea di demarcazione tra il coraggio e l’immobilismo che finisce per farsi tacitamente complice.
L'annuncio di Emmanuel Macron, che ha scelto settembre – in occasione dell’Assemblea Generale dell’Onu – per il riconoscimento ufficiale da parte della Francia, ha “rotto un soffitto di cristallo in Occidente”, come ha sottolineato ieri anche la Cnn. Si può discutere dei tempi, della tattica geopolitica, dei rapporti con Israele e con gli Stati Uniti. Ma il senso di quell’annuncio è chiaro: senza la dignità di un riconoscimento politico, non esisterà mai la pace.
Gaza oggi è un abisso. “Qui l’umanità muore con i bambini. La fame ha la faccia dell’infanzia rubata”, scriveva Filippo Boni, tre giorni fa, su questo giornale. Gli ospedali operano senza anestesia, i neonati pesano come gattini, i genitori frugano tra le macerie per cercare il cibo che non c’è. Davanti a questo abisso, l’Occidente appare paralizzato, intrappolato tra calcoli economici, equilibrismi finora ben poco producenti rispetto alla minaccia dei dazi commerciali, paura di scontentare alleati ingombranti. Ma cosa vale una diplomazia che teme di pronunciare la parola “giustizia”, quando la fame diventa arma di sterminio collettivo?
L'editoriale di Agnese Pini continua su quotidiano.net