
06/08/2025
La vicenda Almasri si colloca all’interno di una narrazione progressivamente denigratoria nei confronti della Corte penale internazionale anche – ma non solo – in Italia.
È inutile girarci intorno: la “pietra dello scandalo” è il mandato di cattura emesso il 21 novembre 2024, riguardo alla situazione in Palestina, nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, oltre che nei confronti del ministro della Difesa Yoav Gallant. Entrambi sono ricercati per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi tra l’8 ottobre 2023 e il 20 maggio 2024, il giorno in cui sono state formulate le accuse nei loro confronti.
La Corte aveva emesso mandati di cattura anche per tre dirigenti politici e militari di Hamas – l’autorità de facto della Striscia di Gaza – quali responsabili diretti dei crimini del 7 ottobre 2023 in territorio israeliano, costati oltre 1.200 vittime, e della presa in ostaggio di almeno 245 persone: Ismail Haniyeh, Yahya Sinwar e Ibrahim al-Masri, meglio conosciuto come Mohammad Deif.
Di queste tre richieste, quelle per Haniyeh e Sinwar sono venute meno perché i due uomini sono stati uccisi in operazioni militari israeliane (la prima in Iran, la seconda nella Striscia di Gaza). La terza è stata accolta e il mandato di cattura è stato emesso in assenza di notizie certe sulla morte del ricercato, che è stata tuttavia confermata da Hamas il 30 gennaio 2025.
In Italia, nelle settimane che precedono la vicenda Almasri, entrambi i vicepresidenti del Consiglio prendono posizione sull’ipotesi che il primo ministro israeliano faccia visita nel nostro Paese. Matteo Salvini ricalca le parole del primo ministro ungherese Victor Orbán: Netanyahu sarebbe il benvenuto. Antonio Tajani ventila uno scenario cinematografico («Non possiamo mica fare una sparatoria a Fiumicino!») per dire, in buona sostanza, che l’arresto non sarebbe in programma.
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