30/07/2025
«Il fascismo sta cercando di rialzare la testa. Posso dirlo con cognizione di causa perché io il fascismo l’ho visto in faccia. E lo abbiamo sconfitto. Ci foste stati voi, politici e non, capaci solo di litigare, a quest’ora ci sarebbe ancora la dittatura.»
E vi dirò di più. La Resistenza di noi donne non fu marginale. Eravamo crocerossine certo, staffette, assistenti, ma abbiamo subito arresti, torture, violenze, deportazioni e fucilazioni.
35mila le donne partigiane. 4.653 quelle arrestate e torturate. 2.750 deportate, 2.900 uccise. E poi c’ero io.
Ricordate i vostri diciotto anni? Immagino di sì, e spero siano stati sereni. Un’età importante. L’affetto dei vostri genitori, gli amici, le giornate in biblioteca a studiare, le serate in discoteca. O una passeggiata a cavallo. Un momento della vita particolare, indimenticabile.
I miei diciott’anni? Un ricordo nitido. Un giorno esatto. L’11 agosto 1944. Il luogo? Villa San Prospero. Un salone, la bandiera della Repubblica di Salò e alle pareti i ritratti di Mussolini e Hi**er. Non era una festa, ma un interrogatorio.
Violento, perché io stavo zitta. E lui che mi picchiava.
“Lui” era il camerata Raffaele Raffaeli, un fascista caratterizzato da un estremo fanatismo ideologico, come suo padre.
Mi avevano arrestato alle dieci del mattino.
Ero in bicicletta nei pressi di Marzeno quando i fascisti mi avevano riconosciuto.
«È Annunziata Verità, l’amica dei partigiani, di quel bastardo comunista di Marx Emiliani che abbiamo fucilato alla schiena il 30 dicembre del 1943.»
Già. E in tre mi avevano tirata giù dalla bicicletta e picchiata. E portata con altri contadini a Villa San Prospero.
E poi la scelta. Per la fucilazione. Io, Annunziata Verità, 18 anni; Carlo Casalini, 50 anni, celibe; Emilio Nanni, 35 anni, sposato, con un figlio di 7 anni; Luigi Sangiorgi, 33 anni, celibe; Giuseppe Savini, 36 anni, sposato e padre di due bambini.
«Condannata a morte.»
Quelle parole mi risuonarono nella testa tutta la notte.
Fino alle quattro del mattino, quando ci caricarono su un camion. Con noi una decina di fascisti con mitra e moschetti e alcuni tedeschi. Direzione: cimitero di Rivalta. Ci legarono tutti insieme e ci misero davanti al muro del cimitero. Girati di schiena come si fa con i traditori. Le braccia sollevate in alto contro il muro. Non riuscivo nemmeno a piangere. E poi l’ordine di Raffaeli: «Plotone, attenti. Caricare. Puntare. Fuoco!».
Oggi è il 25 aprile del 2019.
E come ogni anno, io, Annunziata Verità, sono qui davanti alla lapide che ricorda i miei quattro compagni morti fucilati quel giorno. Eppure, dopo i primi colpi, ero stata proprio io, Nunziatina, a cadere.
Non so se fu voluto, ma la scarica mi colpì tutte e due le braccia che tenevo in alto. Sentii un gran bruciore e mi lasciai cadere. Ho ancora le cicatrici dei proiettili che mi trapassarono le braccia. Mi finsi morta.
Raffaeli diede il colpo di grazia in testa a tutti. Ma la mia testa era finita sotto i corpi e il proiettile la prese di striscio.
Non credo ai miracoli. So soltanto che sono sopravvissuta. Mi slegai da sola dalle corde, con i denti. Quando i fascisti scoprirono che non ero tra i cadaveri, ero già in fuga verso i monti.
Ricordate Raffaele Raffaeli che mi aveva picchiata durante l’interrogatorio e che aveva esploso i colpi di grazia sui miei compagni? È morto tranquillamente nel suo letto nel 1981. Mai condannato, come gli altri otto fascisti responsabili.
O meglio: furono condannati a pene pesanti in primo grado, poi arrivò l’amnistia di Togliatti, poi la Cassazione ribaltò le condanne e alla fine degli anni Cinquanta erano tutti liberi.
Raffaelli a Roma aveva agganci in campo ecclesiastico. Non era laureato, ma un prete gli offrì la cattedra di insegnante di italiano al Liceo Classico del Cristo Re. Con una nuova identità: Antonio Petani.
È difficile oggi raccontare l’orrore, il terrore e la paura di quella notte. Condannata a morte, a soli diciotto anni. Sopravvissuta due volte.
Oggi sono tornata al cimitero di Rivalta. A fianco del cancello di ingresso, c’è una lapide con le foto e i nomi dei miei compagni. «Qui caddero fucilati il 12 agosto 1944.
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