25/07/2025
È online la call for papers dedicata al tema "Natura e tecnica":
https://www.mimesisjournals.com/ojs/index.php/mechane/call-for-papers
Esiste oggi una natura, quando non vi è dimensione non segnata dall’artificio umano, né all'“esterno”, nello spazio circostante, né all’“interno” dell’uomo stesso? Quando l’umanità è da tempo “capace di governare la propria evoluzione”, quando persino pianeti un tempo remoti e intangibili non si sottraggono all’opera umana, sono oggetto di colonizzazione e sfruttamento, risorse al pari degli ultimi elementi della materia? Con il lancio dello Sputnik – salutato con “sollievo” come “il primo passo verso la liberazione degli uomini dalla prigione terrestre”, come si legge in Vita Activa (una liberazione anche per Levinas e Blanchot) – la trasformazione del mondo in immagine non è più solo un’interpretazione filosofica ma un fatto reale, provato dalla “Earthrise” dinanzi agli occhi dell’umanità intera, guardata invece con spavento da Heidegger, come dichiarato nell’intervista a “Der Spiegel”. Un evento epocale – uno dei rarissimi casi in cui quest’espressione è appropriata – che rappresenta un congedo definitivo dalla natura: “il 4 ottobre 1957 (…) lo Sputnik creò un nuovo ambiente per il pianeta. Per la prima volta il mondo naturale è stato completamente racchiuso in un contenitore artificiale. Quando la Terra è entrata in questo nuovo artefatto, è finita la natura ed è nata l’ecologia. La coscienza ecologica è diventata inevitabile non appena il pianeta acquisiva lo stato di opera d’arte” (Marshall McLuhan).
Ma prima invece? È prima mai esistita “per noi” una natura che non fosse già fin dall’inizio segnata dalla mano umana e come tale già sempre perduta, oggetto di nostalgia e mito, una natura al di là dell’umana volontà di ritorno ad essa come a uno stato di immediatezza e innocenza? Non è forse sempre stata la natura, per l’uomo occidentale, solo lo sfondo da cui allontanarsi o a cui tornare, così almeno da quando ha assaporato il frutto della conoscenza del bene e del male?
Per l’umanità occidentale-cristiana la natura come creazione irredenta rappresenta un ostacolo alla vicinanza a Dio: la philia tou kosmou è echthra tou theou; e il superamento del mondo, vuoi come attiva negazione della natura nell’ascesi vuoi come orientamento oltremondano in senso escatologico, è il contrassegno dell’antropoteologia cristiana, nonché, secondo la nota tesi di Karl Loewith, il presupposto per il futuro dominio tecnico della terra. Con l’eccezione di Spinoza - masso erratico della tradizione metafisica - la moderna metafisica è di fatto e in senso ampio antropologia dualistica cristiana, sottomissione della natura all’intelligenza che pensa e vuole, allo spirito che non conosce né kosmos né physis, ma solo il concetto astratto, matematico-sperimentale, di natura e di ordine.
Non più visibile attraverso la visione naturale con “gli occhi del corpo”, ma solo con gli “occhi dello spirito” che calcola e mediante strumenti tecnici, prima ancora della rivoluzione copernicana kantiana la rivoluzione astronomica rompe l'antica corrispondenza fra il visibile e il reale, fra occhio e cosmo. È così che per l’illuminismo il cosmo non è più ciò che appare da sé, ma l’universo infinito presente attraverso sofisticate manovre di calcolo sorrette da apparati tecnologici. La rivoluzione kantiana, l’idea di una natura anticipata matematicamente, persiste, se non addirittura si rafforza, persino quando a guidare è l’idea regolativa di fine, nella formula carica di ambiguità di “tecnica della natura” della Prima introduzione: l’idea di una natura come se fosse progettata in vista della sua conoscibilità da parte del Giudizio (e proprio questa idea di natura come organizzazione e sistema sarà assunta e reinterpretata in chiave in cibernetica).
In questo quadro, nel quadro cioè di una filosofia dominata dall’idea trascendentale di soggetto (cui neppure la filosofia romantica della natura e persino Schelling si sottrarrebbero), unicamente Goethe, il grande pagano, da un lato, e Nietzsche, il grande ateo dall’altro - non senza un debito esplicito del secondo verso il primo - sarebbero all’altezza dell’abbraccio spinoziano della natura: un abbraccio dionisiaco per Nietzsche, che non esita a riconoscere in Goethe la fede nel medesimo dio (Crepuscolo degli idoli). Si tratta di una “ritraduzione dell’uomo nella natura” tutt’altro che pacifica, un ritorno esplosivo all’“innocenza del dive**re” affatto opposto all’antecedente rousseauiano: l’invocazione del “Newton del mondo morale” che pure “voleva il ritorno alla natura”, ma appunto di tutt’altra direzione e segno.
L’idea rousseauiana di una “natura normativa” rimanda all’amplissimo versante di riflessioni riguardanti la relazione tra physis e nomos nella moderna civiltà tecnico-industriale, tra difesa di diritti umani universali – ancorati al riconoscimento di un diritto naturale continuamente richiamato rinnovato e ampliato (fino al liminare “diritto naturale digitale” di Stiegler) –, critica materialista dell’economia politica in tutte le sue declinazioni, a partire da Marx ma oltre Marx, e ancora critica genealogica e considerazione biopolitica della natura come “vita normata” e “animalità governabile” attraverso vecchie e nuove tecnologie.
Con la “recente invenzione” del concetto “vita” che si sottrae a ogni visibilità immediata siamo nel pieno della moderna considerazione della natura, impensabile prima dell’astrazione scientifica della natura, e però anche nella direzione del compimento di un concetto naturale e/o naturalistico di natura. La dissoluzione integrale del fenomeno “natura” nella sua rilevazione strumentale e misurazione sperimentale, la sua traduzione in “pittura verbale” o “informazione”, apre infatti, una volta scomparsa anche l’idea stessa di soggetto e soggettività, lo spazio per considerazioni non antropocentriche – o nella maggioranza dei casi presuntamente non antropocentriche – della natura. Senz’altro, come rilevava McLuhan, la natura, morta come tale, vive o meglio sopravvive come ambiente, indifferentemente risorsa da proteggere o da sfruttare, o anche entrambe le cose insieme, com’è ben visibile in tutta la legislazione corrente tesa a preservarne il “valore” (estetico, economico, etico, e anche politico).
Altri tentativi in direzione di un’idea non antropocentrica di natura, come pure distanti da un’idea naturalistica di natura, sono quelli proposti da autori come Descola, Donna Haraway, Bruno Latour, Viveiros de Castro, ecc.
Dinanzi a una questione filosofica così ampia e di così ampia portata come quella al centro di questo numero di Mechane, il quadro tracciato non può ovviamente pretendersi come qualcosa di più e di diverso da una traiettoria indicativa, la quale lascia naturalmente fuori direzioni e prospettive diverse.
Il numero è aperto a contributi che si riconoscono e si muovono entro queste coordinate, ma anche a contributi orientati secondo altre prospettive che affrontino criticamente il concetto di “natura” e si misurino con alcune delle seguenti linee di riflessione:
- Genealogie e crisi del concetto di natura: dalla tradizione filosofica classica e moderna fino alle trasformazioni del paradigma scientifico e tecnico contemporaneo
- Il carattere tecnico della natura umana: il processo di costruzione tecnica dell’ambiente “interno” ed “esterno” dell’essere umano dalle prime fasi dell’ominazione ai nostri giorni
- Tecniche di controllo della natura: indagini sulle forme storiche e contemporanee di governo della vita biologica e politica, in cui le pratiche operative e le definizioni di “natura” si configurano come strumenti di potere, programmazione e normazione.
Sono accolti contributi in italiano, inglese, francese, tedesco e spagnolo. Gli autori interessati sono invitati a inviare un breve abstract (max 500 parole) a [email protected] entro il 15 settembre 2025. Gli autori delle proposte accettate dovranno inviare il testo completo (max 40000 caratteri) entro il 15 dicembre 2025. I contributi saranno sottoposti a un processo di peer-review.