
27/07/2025
L’Italia non è un paese per padri ?
Il nuovo Rapporto SOSEF evidenzia la lentezza dell’Italia nel sostenere una paternità coinvolta e corresponsabile. Mentre Spagna e Portogallo avanzano con congedi più lunghi e paritari, nel nostro Paese persistono barriere culturali, sociali e normative che frenano questa svolta. Le attuali politiche sociali oggi aiutano concretamente questo cambiamento?
Padri presenti, attivi, coinvolti. È questa la fotografia che emerge dal Rapporto SOSEF – State of Southern European Fathers, presentato il 18 giugno nella sede nazionale dell’Ordine dei Giornalisti a Roma. Un’indagine condotta da Equimundo in Italia, Spagna e Portogallo, nell’ambito del progetto europeo EMiNC – Engaging Men in Nurturing Care, con il coordinamento internazionale di ISSA e la promozione italiana del Centro per la Salute delle Bambine e dei Bambini (CSB Onlus).
L’indagine ha coinvolto oltre 1500 genitori, metà uomini e metà donne, con figli conviventi e in larga parte under 40. In Italia hanno partecipato 509 persone da tutte le regioni, offrendo uno spaccato realistico e insieme problematico della paternità nel nostro Paese. La spinta al cambiamento esiste, ma procede a rilento in Italia. Se in Spagna e Portogallo si registrano politiche di sostegno familiari più avanzate, l’Italia continua a trascinarsi tra occupazione femminile al 53%, congedi di paternità tra i più brevi d’Europa (2 settimane contro le 16 spagnole) e una cultura della cura dei figli quasi esclusivamente affidata alle madri.
Eppure, i padri ci sono. Desiderano esserci. La ricerca mostra una necessità di una maggiore corresponsabilità maschile nella gestione domestica e nella cura dei figli, ma evidenzia anche barriere culturali, strutturali e normative che ostacolano questa evoluzione. Non sorprende che un genitore su quattro dichiari di vivere una condizione di disagio. Il problema di genitori anziani malati e soli è significativo nella nostra società, quindi, è necessaria un’assistenza simultanea a figli e familiari anziani.
In Italia la percentuale sale: 31% tra gli uomini, 37,5% tra le donne. Non è solo questione di volontà o di scarso affetto familiare, I dati lo dicono chiaramente: il tempo è il primo grande ostacolo. Lavori rigidi, orari infiniti, precarietà diffusa rendono difficile anche solo immaginare una genitorialità condivisa. È per questo che serve una svolta politica: congedi obbligatori, più lunghi e retribuiti, flessibilità lavorativa, smart working ma soprattutto cambiamenti culturali dando il giusto riconoscimento all’uomo sul piano normativo. La consapevolezza però cresce. Il 66% delle madri italiane voterebbe un partito che sostenesse un congedo genitoriale equo e retribuito. E la stragrande maggioranza dei padri riconosce i benefici di una presenza accudente fin dai primi mille giorni: per sé, per i figli, per le partner.
La presenza paterna è fondamentale per l’equilibrio familiare, ne giova la salute sociale di tutto il Paese. La presenza di padri coinvolti riduce comportamenti violenti negli adolescenti, favorisce la prevenzione della violenza domestica, promuove una cultura della cura condivisa. Ma senza politiche attive familiari adeguate, senza un sostegno concreto da parte dei servizi educativi e sanitari, questo cambiamento culturale nei fatti resta incompiuto. Serve una seria riforma del lavoro comprendente norme sulla genitorialità, con la creazione di reti di padri, di gruppi di pari, in grado di sostenere questo cambiamento culturale in una nuova attuale paternità. Perché, come ci ricordano i dati della ricerca la politica e la cultura contano. E oggi più che mai, sono chiamate a fare la loro parte.
Orazio D'Antoni