17/07/2025
Felini, l’ultimo singolo di Marco Castello e Venerus, è una ballata minimale e poetica che dà voce a un gatto randagio e, attraverso di lui, a una generazione fragile ma sognatrice. Tra odori di città e malinconie d’altrove, la canzone accarezza la realtà con ironia e dolcezza, senza effetti né orpelli.
Felini, è esattamente questo: un piccolo miracolo acustico che vibra tra la tenerezza domestica e l’estasi cosmica. Il testo oscilla con leggerezza tra un point of view realistico, quello di un gatto, e un tono sognante, a tratti romantico, che sembra guardare il mondo dal davanzale di una finestra aperta sul tramonto.
La prima volta che ha visto il mare era in una foto. A grandezza naturale, sopra a un grattacielo. È da questa immagine surreale ma vivida che prende forma Felini, un racconto urbano e commovente costruito su dettagli piccoli ma pieni di vita: “schivavo le macchine per non morire”, “mi nascondevo tra i motori caldi per passare l’inverno”.
Il punto di vista del brano è quello di un gatto randagio, ma dietro quei versi c’è l’eco di un’umanità sghemba, che ha imparato a sopravvivere con poco e a sognare moltissimo. Il gatto diventa così il simbolo di una generazione precaria, poetica, resiliente. Una generazione che “ha avuto poco”, ma che, come si canta nel finale, “ha sognato tanto”.
In questa narrazione minimalista e struggente, non c’è niente di costruito. Nessuna impalcatura pop, nessun coro posticcio, nessun effetto a coprire il silenzio. Solo una chitarra, un flauto, e due voci che si alternano con delicatezza, trovandosi e sfuggendosi come fanno i pensieri nelle sere d’estate.
Castello e Venerus non cantano semplicemente: osservano, accarezzano, respirano. La loro musica è fatta d’aria e di angoli, di odori di città e malinconie da pianerottolo. È una canzone che ti viene a cercare piano, come fa un gatto curioso, e si accuccia accanto senza far rumore.
Registrato a Ortigia, in una dimensione che sembra quasi fuori dal tempo, Felini è un esperimento di semplicità radicale.
La produzione è scarna, asciutta, ma è proprio questo il suo punto di forza: ogni suono ha lo spazio per esistere, ogni parola ha il tempo di sedimentare. E anche quando la voce scompare e rimane solo il ritornello strampalato, quel “ta-ra-ra-ri-ra-ra-ra” infantile e liberatorio, il brano continua a raccontare qualcosa.
Forse proprio il desiderio di lasciarsi andare, di vivere il presente come un gioco o un sogno ad occhi aperti.
(Fonte: MOW - di Alessio Simone Iannello)
Director: Andrea CleopatriaCamera Operator, Editor, Colorist: Davide RuggeriProject Manager: Giulio CiaffonciniCast: Raffaele Bianca, Pietro Lupo Selvini Spe...