
24/07/2025
𝑶𝒗𝒆𝒓𝒕𝒐𝒖𝒓𝒊𝒔𝒎, 𝒒𝒖𝒂𝒏𝒅𝒐 𝒊𝒍 𝒕𝒓𝒐𝒑𝒑𝒐 𝒔𝒕𝒓𝒐𝒑𝒑𝒊𝒂 - 𝒅𝒊 𝑬𝒍𝒔𝒂 𝑴𝒂𝒛𝒛𝒐𝒍𝒊𝒏𝒊
Lo abbiamo invocato, dopo le chiusure pandemiche, come se fosse l’unica salvezza possibile, e adesso che il turismo è tornato con numeri da capogiro, ci chiediamo se sia davvero così salvifico.
L’Italia oggi sta in realtà affogando nel turismo. Lo vediamo soprattutto a Venezia, Firenze, Roma, ma anche a Positano, le Cinque Terre, Capri, Pompei, Siena e addirittura nei borghi più sperduti, magari segnalati dall’influencer del momento.
Così frotte di visitatori, di ogni lingua e provenienza, invadono quotidianamente i nostri centri storici, le calli, le piazze, le strade strette nate un tempo per ospitare carrozze e che oggi si trasformano in imbottigliamenti umani degni della metro di Tokyo. Ma qui non siamo a Tokyo, e neppure in un parco giochi.
Questo è diventato purtroppo il paese reale, ma è il paese che scompare sotto il peso del suo stesso successo. E non è solo colpa di Airbnb, delle crociere o del post poco opportuno. È l’intero sistema che è sbagliato, quando l’unico obiettivo è diventato fare numeri, macinare arrivi, riempire stanze, servire coperti.
Certo, è facile commuoversi con il bollettino degli incassi record: 134 milioni di arrivi, 451 milioni di presenze, 13% del PIL. Applaudono tutti. Ma qualcuno ha il coraggio di domandarsi a quale prezzo? Il prezzo lo pagano prima di tutto le città svuotate di residenti, sature di negozi di chincaglierie cinesi per turisti, snaturate nella loro anima.
Alberghi e ristoranti sono i grandi beneficiari, dicono. Forse, ma per quanto ancora?
Perché se l’unico cliente che entra in una città è quello che ci sta quattro ore, mangia un panino da tredici euro e dorme su un traghetto, come pensiamo di costruire valore? L’overtourism è una forma di consumo: ci consuma il paesaggio, le risorse, perfino l’identità. E intanto si abbassa la qualità: non c’è tempo per nulla, né per curare un servizio, né per fare formazione, né per spiegare al cliente che la pasta alla carbonara non prevede panna. Troppo lavoro, troppo in fretta, troppi turisti: “Bella l’Italia, ma troppo cara, troppo piena, troppo tutto”.
Ecco, il troppo. Il nostro problema è il troppo. Non ci manca la bellezza, non ci mancano le tradizioni, non ci manca il talento. Ci manca la misura, la capacità di dire basta, di dire “non tutto”, “non oggi”, “non qui”.
Ci manca la forza di ammettere che il turismo è una risorsa, ma non è né infinito, né benefico, se vissuto in questo modo.
E soprattutto non è un diritto per chiunque: non si ha diritto a entrare ovunque, a ogni ora, con qualsiasi mezzo; non si ha diritto di trasformare città e territori in distributori automatici di esperienze istantanee per i selfie.
E noi, professionisti dell’accoglienza, dobbiamo smettere di essere complici di questo scempio.
Se i centri storici diventano luoghi dove non si vive più ma si passa, allora stiamo tradendo l’anima dell’Italia.
Quindi ben vengano le misure impopolari: il numero chiuso, la tassa di soggiorno proporzionale, le limitazioni alle nuove licenze, le multe a chi affitta abusivamente, il blocco agli ombrellini delle guide. È ora che chi lavora nel settore prenda posizione, anche a costo di rinunciare a qualcosa.
In definitiva, “meno turismo, meglio turismo” potrebbe sembrare uno slogan controintuitivo, ma è la rotta da seguire per salvaguardare il futuro del settore. D’altronde, come ricorda un vecchio adagio, il troppo stroppia e anche nel turismo, raggiunto un certo limite, la quantità eccessiva finisce per annullare i vantaggi. L’Italia, con la sua lunga tradizione di ospitalità, può essere pioniera di un nuovo modello dove l’ospitalità di qualità vince sulla massa.
La sfida dell’overtourism potrà dirsi vinta se sapremo trasformare ogni visita in un valore aggiunto, e non in un peso insostenibile, per le nostre città e comunità.
È un percorso ambizioso, ma necessario: il solo che garantisca un futuro tanto ai luoghi quanto a chi li visita e a chi ci vive.
Non dobbiamo temere di perdere turisti. Dobbiamo temere di perdere noi stessi.
Editoriale tratto dal n.374 de La Madia Travelfood:
Overtourism, quando il troppo stroppia - L'editoriale del direttore Elsa Mazzolini. Lo abbiamo invocato, dopo le chiusure pandemiche, come...