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IN CATALOGOAntonio CatalfamoPASOLINI «ERETICO SOLITARIO»E LA LEZIONE INASCOLTATA DI GRAMSCIEdizioni Solfanelli[ISBN-978-...
02/11/2025

IN CATALOGO

Antonio Catalfamo
PASOLINI «ERETICO SOLITARIO»
E LA LEZIONE INASCOLTATA DI GRAMSCI
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-3305-355-4]
Pagg. 232 - € 13,00

Pasolini temeva fortemente in vita di essere strumentalizzato dal potere, di rimanere vittima involontaria della capacità del sistema di metabolizzare anche le posizioni ad esso avverse e di trarne linfa vitale per la propria riforma interna e perpetuazione. Da qui certo suo estremismo polemico e certi atteggiamenti provocatori che potevano sembrare pose letterarie. Ma, dopo la morte, gli è successo di peggio. Assistiamo ad ogni anniversario alla sua «santificazione», quasi ch’egli fosse un fiore all’occhiello di quella società capitalistica matura di cui denunciò, con lungimiranza, tutti gli aspetti antidemocratici e, persino, dittatoriali.
Questo volume si propone di contrastare le tendenze iconografiche, di qualsiasi segno, di studiare Pasolini nella sua umanità, nelle sue contraddizioni, nelle sue “fughe in avanti” rispetto allo stagnante ambiente culturale italiano, ma anche nei suoi legami inevitabili col passato, anche nelle sue forme “retrive” e “conservatrici”. Un Pasolini “a tutto tondo”, dunque, la cui opera va analizzata nella sua complessità ed articolazione, nel rapporto dialettico che esiste tra scritti in versi, romanzi, scritti teorici, scritti «corsari» e «luterani», opere cinematografiche, individuando i vari momenti della sua poetica ed estetica, tra i quali esistono certamente contraddizioni, ma, nel contempo, si può delineare una linea di sviluppo, una diacronia.

01/11/2025

𝗣𝗢𝗟𝗜𝗧𝗜𝗖𝗔 𝗘 𝗣𝗢𝗧𝗘𝗥𝗘. 𝗗𝗢𝗧𝗧𝗥𝗜𝗡𝗘 𝗣𝗢𝗟𝗜𝗧𝗜𝗖𝗛𝗘 𝗠𝗢𝗗𝗘𝗥𝗡𝗘 - 𝗱𝗶 𝗚𝗶𝘂𝗹𝗶𝗼 𝗔𝗹𝗳𝗮𝗻𝗼
𝗠𝗮𝗰𝗿𝗼‑𝗲𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗽𝘂𝗯𝗯𝗹𝗶𝗰𝗮: 𝘀𝗼𝗴𝗴𝗲𝘁𝘁𝗼 𝗱𝗶𝗮𝗹𝗼𝗴𝗶𝗰𝗼 (𝗪𝗶𝘁𝘁𝗴𝗲𝗻𝘀𝘁𝗲𝗶𝗻/𝗡𝗶𝗲𝘁𝘇𝘀𝗰𝗵𝗲); 𝗰𝗼𝗿𝗻𝗶𝗰𝗲 𝗻𝗲𝗼𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝘂𝗮𝗹𝗶𝘀𝘁𝗮 (𝗥𝗮𝘄𝗹𝘀); 𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗶𝗰𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 (𝗔𝗽𝗲𝗹/𝗛𝗮𝗯𝗲𝗿𝗺𝗮𝘀); 𝗿𝗲𝘀𝗽𝗼𝗻𝘀𝗮𝗯𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮̀ 𝗻𝗲𝗹 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼 𝗹𝘂𝗻𝗴𝗼 (𝗝𝗼𝗻𝗮𝘀); 𝗳𝗼𝗻𝗱𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝘁𝗼𝗺𝗶𝘀𝘁𝗮 (𝗧𝗼𝗺𝗺𝗮𝘀𝗼).

Scheda libro
— Titolo: Politica e potere. Dottrine politiche moderne
— Autore: Giulio Alfano
— Editore: Edizioni Solfanelli
— Anno: 2025
— Pagine: 194
— Prezzo: € 15,00 Acquista: https://www.edizionisolfanelli.it/politicaepotere.htm

C’è un libro che tenta un gesto raro: raddrizzare la politica partendo dall’etica senza scadere nel moralismo terapeutico. "Politica e potere" lavora in profondità, là dove, dopo il crollo delle ideologie, è rimasto un vuoto di fondazione. Non cerca un nuovo totem ma un’infrastruttura che renda operativi i principi e ne verifichi gli esiti. La chiama macro‑etica: qualcosa che tenga insieme responsabilità, libertà, uguaglianza, differenza, verità, parola. Non un catechismo di doveri privati, ma una grammatica pubblica.

Il punto di partenza è il vuoto di fondazione etica lasciato dalle ideologie. Dentro quel vuoto, Alfano ricostruisce le condizioni di validità della parola pubblica: un soggetto dialogico e fallibile, non privato e autoreferenziale. Non l’individuo solitario del liberalismo elementare, non l’atomo sociale ingabbiato in ruoli. Alfano lo fa passare in un doppio crogiolo: Wittgenstein contro il linguaggio privato (la mia regola, se è solo mia, non è regola di nessuno) e Nietzsche contro il moralismo anestetico (la formazione non è addestramento, è rischio, scarto, stile). Il risultato è un soggetto capace di parola condivisa e di responsabilità. È qui che la macro-etica prende corpo: non come precetto dall’alto, ma come spazio di validità fra parlanti che si riconoscono. La comunicazione, se è tale, non persuade: convince. Se non convince, comanda: e allora non è più etica, è amministrazione del consenso.

In questa chiave, Alfano usa Wittgenstein come cerniera metodologica: dal bando del linguaggio privato discende l’idea che le regole del dire pubblico fondino la validità (etica della comunicazione: ragioni che si danno fra parlanti). Nietzsche è la palestra pedagogica: una fenomenologia della formazione — volontà, rischio, stile — contro il risentimento: serve a delineare il tipo di soggetto che può reggere responsabilità senza catechismi. Di qui il raccordo esplicito con Apel/Habermas: consenso non coercitivo e razionalità comunicativa come misura di validità pubblica.

Su questo terreno, il libro compone la sua architettura normativa. Lo scheletro è neocontrattualista (Rawls): giustizia come equità, diritti inviolabili, diseguaglianze ammissibili solo se sollevano gli ultimi. Non un idolo, un telaio: serve a impedire che l’utile diventi ragione ultima. Dentro quel telaio, Alfano dispone alcuni cardini — responsabilità, libertà con uguaglianza, differenza, rispetto della vita, coltivazione di sé, attività comunicativa — e li tratta non come slogan ma come criteri. La virtù non è un elenco ma un orientamento praticabile.

Poi la tecnica, la potenza, il tempo lungo. Qui entra Jonas: l’imperativo di non mettere al mondo conseguenze che non possiamo riparare. È il lato più sobrio del libro: niente millenarismo verde né culto della decrescita. Ma anche niente idolatria della crescita. Solo la constatazione che l’azione pubblica oggi eccede la scala dell’intuizione morale comune: servono freni, non solo motori. La politica come responsabilità verso i non presenti — futuri, lontani, vulnerabili —: considerare gli effetti differiti e non locali delle decisioni, fissare soglie di rischio, prevedere reversibilità e rimedi.

A questo punto, il volume compie una curva che molti lettori sentiranno come una scelta di campo: il rientro nella tradizione tomista. Il bene che fonda il dovere, la verità che precede la volontà, la legge naturale come base minima di razionalità morale. La forma non basta: serve un fondamento che tenga. L’operazione ha nobiltà e un rischio. La nobiltà: togliere al relativismo l'etichetta dell’inoffensività. Il rischio: irrigidire la pedagogia civile in dottrina. Una democrazia che vuole imparare deve poter sbagliare: errori reversibili e misurabili. La macro‑etica, per reggere, ha bisogno di un ciclo completo: ipotesi, prova, errore, correzione. Senza questo respiro operativo, l’etica si paralizza in precetto amministrato.

Resta la questione del potere. Il libro pensa lo Stato come organismo giuridico sociale, capace di distribuire pesi e opportunità, di assicurare i diritti dell'uomo come «assoluto etico», di far parlare la società con regole chiare. È il suo merito maggiore: ricordare che la democrazia non è solo meccanica di voto. Ma qui affiora una torsione che va sorvegliata: quando l’etica entra per via istituzionale, tende a farsi programma. La trasparenza diventa protocollo, il protocollo diventa sorveglianza mite; la tutela diventa standard morale. È un pendio scivoloso: non per malizia, per inerzia. Il potere, come l’acqua, allarga la riva. Per evitare la piena non basta invocare virtù: servono dighe tecniche — minimizzazione dei dati, limiti temporali alle misure eccezionali, controlli civici oltre quelli burocratici. Etica pubblica, sì. Occhi ovunque, no.

Meglio non generare equivoci: il libro non rientra nello Stato etico hegeliano (la Sittlichkeit che assorbe famiglia e società civile nello Stato). L’architrave reale è un’altra: neocontrattualismo (Rawls: giustizia come equità), etica della comunicazione (Apel/Habermas: consenso non coercitivo), responsabilità nel tempo lungo (Jonas), fondazione tomista a esito personalista (Tommaso/Maritain/Wojtyła). L’eco hegeliana, se c’è, riguarda il lessico della mediazione e dell’integrazione simbolica. Il risultato è uno Stato costituzionale di diritto, sociale e personalista, che garantisce cornici e diritti senza pretendere la totalità etica.

La giustizia, poi. Alfano chiede di coniugare libertà e uguaglianza senza ipocrisie: niente neutralità di facciata (procedure senza etica); niente egualitarismo retorico (livellare senza sollevare); niente libertarismo di comodo (libertà senza condizioni). La sua è una soluzione rawlsiana: un principio di differenza che garantisce soglie minime di dignità e ammette diseguaglianze solo se migliorano la condizione dei più svantaggiati. Trasferimenti mirati, semplicità amministrativa, libertà di scelta reale nei servizi, valutazione ex post dei risultati — redditi, salute, istruzione, libertà effettive — non ex ante delle intenzioni. Meno virtù dichiarate, più evidenza misurata: indicatori, confronti seri, verifica nel tempo. Meno retorica sindacale o filantropica, più «contabilità degli effetti». Il libro offre gli attrezzi concettuali per misurare, non solo per enunciare.

E la forma dello Stato? Il testo suggerisce un braccio pubblico che garantisca e, quando occorre, redistribuisca. Sostenibile se il braccio non pretende anche la regia morale. L’orientamento etico è giusto, la regia morale, no: qui sta il rischio di sconfinamento. La democrazia prospera nel policentrismo: cornice generale minima (pace, standard tecnici, antitrust, ambiente e dati) e, sotto, città, regioni, comunità intenzionali responsabili di scuola, welfare leggero, cultura, innovazione. Diritti portabili, responsabilità localizzate, pluralismo dei beni senza monopolisti (pubblici o privati). Non è deregulation, è sussidiarietà praticata. L’etica cresce in laboratorio: cooperative, mutue, reti civiche, commons digitali. Lo Stato, qui, è arbitro e garante, non giocatore in ogni ruolo. Se la macro-etica vuole essere viva, deve tollerare la sperimentazione, anche quando smentisce i suoi modelli preferiti.

Il tratto migliore del libro non è solo la serietà — qui: onestà intellettuale, ricchezza delle fonti, chiarezza espositiva, struttura ideologica salda e riconoscibile — è anche la capacità di tenere insieme ciò che di solito si separa. Restituisce un lessico civile praticabile, intreccia analisi e norma, incrocia Rawls con Apel/Habermas, allinea Jonas con Tommaso senza confondere i piani, traduce principi in criteri operativi (responsabilità, differenza, dignità, parola) e li rende spendibili nelle decisioni. C’è pazienza analitica, pulizia degli argomenti, senso del limite; c’è un’idea di democrazia che non abdica né al tecnicismo né al moralismo.

Il lato esposto è speculare: quando la “verità” tenta di farsi legge e la “trasparenza” si irrigidisce in protocollo, il margine d’errore si restringe. E senza errore non c’è apprendimento. Senza apprendimento non c’è libertà adulta.

La formula che mi resta in mano è semplice, e non contraddice l’impianto: etica prima della politica, sì ma limite fermo prima di una ricaduta nell’etica di Stato. Pavimenti, non soffitti. Cornici, non scenografie. Parola che convince, non protocollo che costringe. Se "Politica e potere" riapre il cantiere dei fondamenti, la risposta non deve essere un nuovo tempio: dev’essere una città abitabile, con molte piazze e poche preture morali. È lì che la macro‑etica evita la chiusura dottrinaria e si propone come civiltà praticabile.

— 𝗠𝗶𝗿𝗼 𝗥𝗲𝗻𝘇𝗮𝗴𝗹𝗶𝗮

01/11/2025

𝐈𝐋 𝐒é 𝐂𝐎𝐌𝐄 𝐒𝐄 - 𝐝𝐢 𝐆𝐢𝐚𝐧𝐥𝐮𝐜𝐚 𝐂𝐨𝐫𝐫𝐚𝐝𝐨
𝐈𝐧𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨, 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐨, 𝐝𝐞𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐢𝐨

Scheda libro
Titolo: Il sé come se. Incontro, ricordo, desiderio
Autore: Gianluca Corrado
Editore: Solfanelli
Anno: 2011
Pag.: 104
Prezzo: € 9,00
Acquisto: https://www.edizionisolfanelli.it/ilsecomese.htm—

Che cosa intendiamo, in generale, per «incontro»? Se non è il semplice trovarsi nello stesso luogo a scambiarsi due parole, allora è il momento in cui qualcosa o qualcuno entra nel nostro vissuto e lascia una differenza riconoscibile tra il noi di prima e il noi di dopo quell’incontro. Quando ciò avviene, il tempo non si dispone più allo stesso modo (c’è, appunto, un prima e un dopo), l’attenzione si sposta, un tratto del nostro profilo cambia fuoco.

In questo libro Corrado guarda agli incontri con una lente fenomenologica, descrivendo come si danno nell’esperienza senza partire da teorie preventive. La scena è la Lebenswelt, il «mondo‑della‑vita». Il metodo è la sospensione delle tesi metafisiche (epoché) per osservare l’intenzionalità della coscienza, che è sempre coscienza‑di‑qualcosa. Chiamare «esistenziale» questa impostazione significa insistere sulle conseguenze pratiche: legami che nascono o si modificano, decisioni che diventano possibili, desideri che si riorientano.

Per spiegare gli esiti dell’incontro, Corrado richiama l’aporia platonico‑socratica del Menone e del Teeteto: come si riconosce ciò che prima non si sapeva neppure cercare? Ma ogni incontro reca in sé, sin dall’inizio, la possibilità di non avvenire: il non‑incontro non è un incidente esterno, è la forma potenziale dell’evento che resta sulla soglia e tuttavia orienta attenzione, scelta, desiderio. Per leggere questa eventualità e i suoi esiti, l’autore impiega strumenti psicoanalitici: il gioco fort/da di Freud come piccola grammatica di presenza e assenza; la «mancanza‑a‑essere» e la catena dei significanti di Lacan per capire perché il desiderio resti operativo anche senza compimento. Su tutto, una vigilanza wittgensteiniana sul dicibile: parlare del possibile senza accreditarlo come fatto. Ne risulta una teoria pratica dell’identità: l’io si costruisce soprattutto ai bordi dell’esperienza — nella vigilia che precede o nel digiuno che segue — più che nel trionfo del compimento.

Nel libro questa idea — che l’io si costruisce ai margini dell’incontro (vigilia e non-incontro) — è messa alla prova su due bordi. Primo bordo: il pre‑incontro che la memoria riporta alla luce (l’“avvistamento” precedente al vero incontro). Qui l’incontro mostra il suo potere retroattivo: il passato cambia significato alla luce del presente. Secondo bordo: il non‑incontro (la Passante). Qui l’incontro, proprio perché non accade, chiarisce la struttura del desiderio: non coincide con il compimento, ma con la conseguibilità di un movimento orientato. In entrambi i casi il linguaggio del come‑se serve a descrivere presenza e assenza senza confonderle: permette di parlare del possibile senza farlo passare per avvenuto e, insieme, di riconoscere che anche il mancato ha effetti reali sulla nostra forma.

L’incontro, dunque, non è un premio narrativo né un destino. È una procedura di realtà: quando c’è, ridisegna il profilo; quando manca, obbliga a un lavoro di manutenzione (memoria e sublimazione) che evita la mitologia del “tutto o niente”. La formazione del sé è nei margini dell’esperienza: prima che un incontro accada e quando un incontro non accade. Corrado chiama in causa memoria e desiderio, e usa l’espressione fenomenologica «come‑se» per indicare un regime dell’esperienza che permette di parlare dell’assenza senza scambiarla per presenza. Il volume è breve ma denso: una Premessa narrativa‑teorica introduce due casi esemplari e due capitoli sviluppano rispettivamente il ruolo del ricordo e quello del desiderio.

Il punto decisivo è che l’identità personale non si costruisce soltanto “dentro” gli incontri effettivi, ma anche nei bordi che li precedono o li mancano. La memoria rivela retroattivamente ciò che eravamo “prima” di un evento decisivo, mostrando che quel passato non era pieno ma «relativamente nullo» in rapporto a ciò che saremmo diventati. Il desiderio, a sua volta, organizza il presente intorno a possibilità che restano tali: l’incontro mancato non è un difetto da colmare, è un dato che educa lo sguardo e mantiene vivo il movimento. Il «come‑se» è lo strumento linguistico‑concettuale che consente di trattare questi bordi senza trasformarli né in favola né in dogma.

Nella premessa si fanno le due ipotesi. Nella prima scena, un soggetto ricorda, dopo molto tempo, di avere già incrociato l’altro prima del loro vero incontro. Quella memoria non aggiunge un dettaglio ornamentale: mette a fuoco che l’io “di allora” era privo di qualcosa che oggi riteniamo essenziale, perché solo l’evento successivo lo ha reso tale. Corrado definisce questo scarto «nullità relativa»: non un nulla assoluto, ma la misura di quanto un’identità dipenda da incontri futuri che la riprofilano. Nella seconda scena, la “Passante” non sarà mai incontrata. Non si tratta di idealizzarla: si tratta di prendere sul serio ciò che accade quando una possibilità si chiude. L’oggetto del desiderio non si fa presente, ma il modo in cui lo guardiamo trasforma comunque il nostro profilo. Queste due scene costruiscono l’asse del libro: retro‑illuminazione della memoria e presentificazione del mancato. Su questo bordo la memoria funziona da laboratorio: il «ricordo da nulla» mostra, con il piccolo modello del rocchetto fort/da, come l’io riorganizzi presenza e assenza senza romanzare il passato.

Sul lato del desiderio, Corrado oppone alla cultura del compimento la «conseguibilità»: con Leopardi come banco di prova, conta la direzione praticabile più dell’arrivo. A questo livello diventa utile anche il riferimento a Lacan. La «mancanza‑a‑essere» non è un vuoto sterile, è la condizione che tiene in moto il desiderio. Il linguaggio non consegna l’oggetto; lo rilancia. Quando l’incontro non accade, il desiderio può prendere due vie legittime. La prima è il ricordo, che raffredda l’emozione e conserva l’oggetto come punto di riferimento senza trasformarlo in idolo. La seconda è la sublimazione, che non è un trucco consolatorio ma una forma di trasfigurazione: sposta l’energia desiderante in un’opera, in un gesto, in un compito. In entrambe le vie, il mancato non è uno scarto da cancellare; è materiale di lavoro.

I riferimenti filosofici e letterari del libro non sono citazioni di prestigio. Servono a distinguere piani. Wittgenstein delimita il confine del dicibile: il libro si muove su quel bordo, evitando sia il silenzio devoto sia l’assertività eccessiva. Il «come‑se» è usato in senso operativo (in linea con Vaihinger). Husserl fornisce il telaio dell’epoché e dell’intenzionalità con cui trattare il possibile. Beckett — con L’ultimo nastro di Krapp — illustra con una scena semplice l’effetto di riascoltarsi: si capisce quanto l’io precedente non fosse ancora quello di oggi, senza per questo negarne la continuità. Freud e la nozione di fort/da danno una piccola meccanica della presenza e dell’assenza che torna utile per spiegare perché certi ricordi “tirano” e altri no. Lacan aiuta a non confondere desiderio con bisogno: il primo non si esaurisce nell’oggetto, il secondo sì.

Il libro evita psicologismo e metafisica del «come‑se» e offre un metodo per leggere la propria storia senza trasformarla in romanzo di formazione o in diario di frustrazioni. Insegna a guardare le due soglie che più facilmente trascuriamo: la vigilia (quando ancora non sappiamo che un incontro ci sta cambiando) e il digiuno (quando una possibilità non diventa evento). In entrambe le soglie si gioca una parte sostanziale del profilo personale. Non ci sono ricette, c’è un modo di tenere gli strumenti: chiamare le cose col loro nome, costruire il «come‑se» quando serve, rinunciare all’iconografia del compimento come unico criterio di valore.

Il sé come se mostra che l’identità non coincide solo con il “pieno” degli eventi, ma anche, a volte soprattutto, con la capacità di lavorare i vuoti che li rendono possibili. O che ne restano. Potrebbe interessare chiunque voglia capire come si diventa ciò che si è.

— 𝗠𝗶𝗿𝗼 𝗥𝗲𝗻𝘇𝗮𝗴𝗹𝗶𝗮

01/11/2025
"Leggere:tutti" n. 190 (Ottobre 2025).
29/10/2025

"Leggere:tutti" n. 190 (Ottobre 2025).

24/10/2025

Presentazione del libro di Diego De Carolis, "Flaiano e la pubblica amministrazione" (Edizioni Solfanelli), a cura di Licio Di Biase, Paolo Mastri e Davide Cavuti. Pescara, Fornace Caravaggio, 24/10/2025.

Indirizzo

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