Federazione Montanari

Federazione Montanari La Fiamma dell'Alpinista non si spegne a pochi tiri dalla Cima, anche se il tempo peggiora.

Nel 1961, a diciott'anni, Wanda scopri la passione per l'alpinismo: un giorno d'autunno un compagno di studio la convins...
17/11/2025

Nel 1961, a diciott'anni, Wanda scopri la passione per l'alpinismo: un giorno d'autunno un compagno di studio la convinse a partecipare insieme ad altri colleghi a un'escursione sugli Skalki, una palestra di roccia, con percorsi di ogni grado di difficoltà, a quindici chilometri da jelenia Góra, nella Polonia sud-occidentale.

Dopo essersi alzata alle tre del mattino e aver affrontato tre ore e mezza di treno, alle quali era seguita un'ora di marcia, Wanda sali dapprima in compagnia del gruppo di amici, poi, eterna insoddisfatta, proseguì da sola fino in cima, arrampicandosi su per un camino.

"Mai più, da allora, osai affrontare quella via senza essere assicurata con la corda"

Dopo quel primo tentativo Wanda cominciò a trascorrere ogni fine settimana sugli Skalki subito affascinata dall alpinismo. Vissi quella scoperta come un'esplosione interiore, sapevo che avrebbe influenzato profondamente la mia vita. Furono bei tempi.

"Poiché pochi possedevano un sacco a pelo, trascorrevano la notte in grotte, riscaldandoci al fuoco del campo. C'era un 'atmosfera particolare. Volevo bene a tuti e sentivo che gli altri ne volevano a me. Ciò mi dava senso di appartenenza.
Poi cominciarono le escursioni ai Monti dei Giganti, alle rocce calcaree dello Jura, vicino alla Cecoslovacchia alle rocce di arenaria al confine con la Germania dell'Est e agli Alti Tatra, ambita meta per chi, d'inverno, vuole cimentarsi in ascensioni impegnative.

Le Montagne erano luoghi di pace, in mezzo a loro mi sentivo a casa e pesto significarono tutto per me, perché là ero davvero felice!"
[Wanda Rutkiewicz]

Tratto da "La Signora degli Ottomila"
di Gertrude Reinisch.

In fotografia una giovanissima Wanda Rutkiewicz in esercitazioni sui Tatra.

"Non mollai l’osso finché all’alba di quel 12 novembre, dopo 45 giorni su e giù per la parete, corde fisse, 675 chiodi e...
16/11/2025

"Non mollai l’osso finché all’alba di quel 12 novembre, dopo 45 giorni su e giù per la parete, corde fisse, 675 chiodi e 125 chiodi a pressione, non misi piede sulla sommità. Ero sfinito: avevo perforato la roccia strapiombante per tutta la notte al lume della lampada frontale. Il giorno mi accolse lassù, in cima alla via del Nose; e mentre la prima luce definiva i contorni delle cose, faticavo a capire chi fosse il conquistatore e chi il conquistato. Ma di certo El Cap sembrava essere in condizioni migliori delle mie.»
[Warren Harding]

Nei primi giorni di luglio, accompagnato da Bill Feuerer e Mike Powell, Harding attacca con decisione la parete più impressionante della Valle, quella che nessun altro alpinista ha mai osato tentare. E’ The Nose, “Il Naso”, lo sperone meridionale di El Capitan, che offre una linea evidentissima e impressionante al centro di una parete sconfinata più di mille metri di altezza e particolarmente levigata.
“Salirò quella maledetta via” esclama Warren Harding". La salita viene terminata nel novembre del 1958 (la salita era stata compiuta in vari tentativi, lasciando le corde fisse in parete per le risalite) dopo diciassette giorni di arrampicata effettiva e con ben 125 chiodi a pressione.

La salita al "The Nose" arriva dopo che Robbins riesce a salire la verticale parete nord-ovest dell’Half Dome nel giugno del 1957. Per la prima volta, uno dei veri e propri big walls di Yosemite è stato superato.

Royal Robbins, che è considerato uno dei migliori alpinisti del mondo, è sempre stato un difensore del purismo. Harding, personalità vulcanica, anarchico insofferente di ogni limitazione, invece ha fatto ampio uso di mezzi artificiali e di chiodi ad espansione.

Robbins e Harding sempre furono gli opposti di una stessa medaglia che è l’alpinismo californiano: il primo difensore del purismo e il secondo che infischiandone di tutto e tutti fece largo uso di mezzi artificiali. Robbins, dopo la salita di Harding della "Impossible wall of early morning light", si lamentò del fatto che avessero ferito El Cap con un ingente numero di chiodi. Nel 1971, quindi, Robbins e Don Lauria ripeterono e schiodarono la via, staccando le teste dei rivetti con martello e scalpello. Dopo aver eliminato una cinquantina di chiodi, però, si fermarono, perché ritennero che la via di Harding fosse in fondo meritevole, data la difficoltà tecnica. Ma a quel punto il danno era stato fatto. Robbins ammise che Harding era uno scalatore di raro talento.

Harding non scalò mai più El Cap. Quasi mezzo secolo dopo, la storia incombe ancora sulla montagna come una tragedia greca, con una morale oscura sull’eccesso e l’ambizione. Ma Harding potrebbe aver avuto l’ultima parola in merito. Nel suo articolo ‘Reflections of a Broken-Down Climber’, pubblicato su Ascent nel 1971, Harding disse sprezzantemente sull’azione di Robbins:
"Forse sta confondendo l’etica dell’arrampicata con la morale della prostituzione, come se una scalata da 100 bolt (o una squillo da 100 dollari a notte) fosse corretta, ma una scalata da 300 bolt (o una squillo da 300 dollari a notte) fosse immorale.”

In seguito i due grandi protagonisti della Golden Age non scalarono più le grandi pareti a Yosemite.

Tratto un parte da un intervista che lo scalatore Warren Harding rilasciò nel 1999, alla giornalista Jane “Bromet” Courage.

In fotografia Warren Harding "Batso" su "Half Dome"

Il pane dei poveri:È bella la castagna, è liscia è bella vestita; è frutto di montagna,è dolce e saporita.Se vien dalla ...
15/11/2025

Il pane dei poveri:

È bella la castagna,
è liscia è bella vestita;
è frutto di montagna,
è dolce e saporita.

Se vien dalla padella
col nome di bruciata,
la castagnetta bella
è subito sbucciata.

Se vien dalla pignatta
con none di ballotta,
per tutti i denti è fatta,
perche nell'acqua è cotta.

Se viene dal paiolo
col nome di mondina,
va giù come il volo,
chè tutta si sfarina.

Se vien dal seccatoio,
si serba per I'annata:
e con piacer I in**io
che sembra zuccherata.

Insomma in cento modi
si mangia la castagna;
cantiamo pur le lodi
del frutto di MONTAGNA.

Fotografia ©️ Gianfranco Bini

I muli sono la grande forza motrice della guerra nelle ALTITUDINI.Marciano liberi, la mano del conducente non tocca la c...
15/11/2025

I muli sono la grande forza motrice della guerra nelle ALTITUDINI.
Marciano liberi, la mano del conducente non tocca la capezza. Ansimando, sbuffando, sudando il mulo segue il soldato che lo guida, lo segue con minuta fedeltà, fino alla MORTE.

Non è raro che la fatica lo abbatta in cammino, al limite estremo spesso precipita in fondo ai burroni, squilibrato da un urto della soma sulle rocce, qualunque cosa accada il MULATTIERE va avanti col suo passo misurato e tenace.
PARLA più facilmente al suo mulo che al suo compagno. Le cannonate nemiche della stanchezza. non lo scuotono mai.
[*Luigi Barzini].

Doveroso ricordare *Luigi Barzini che è il testimone privilegiato degli eventi cruciali che segnano la prima metà del XX secolo; oltre a essere uno dei più grandi giornalisti di inizio secolo . Nei primi anni del '900 s'impone come star del giornalismo internazionale con i suoi avventurosi reportage dall'estremo oriente, dalla guerra di Libia e dalla Francia del primo conflitto mondiale. Con il suo stile asciutto e essenziale, lancia un nuovo tipo di giornalismo, che diventa di moda.

Quando morì nell'agosto dei 1994, a 91 anni, un giornale intitolava: E morto Demetz mitica guida alpina. Effettivamente,...
13/11/2025

Quando morì nell'agosto dei 1994, a 91 anni, un giornale intitolava: E morto Demetz mitica guida alpina.

Effettivamente, Giovanni Demetz era conosciuto ben aldilà della sua Val Gardena, per i suoi talenti di scalatore, per la sua umanità e i rapporti cordiali che intratteneva con i clienti, ed infine per il suo straordinario coraggio in salvataggi al limite dell'impossibile.

Giovanni Demetz da Iman nacque il 14 febbraio 1903 a Santa Cristina in Val Gardena ed è là che trascorse tutta la sua vita. Demetz fu nominato portatore nel 1925 e guida alpina nel 1928. Occasionalmente si poteva far ricorso a delle guide per delle richieste di portatore.
Sembra che in occasione di una tale missione G. Demetz abbia fatto nel 1932 la conoscenza di Re Alberto I del Belgio durante una ascensione della parete nord-est del Sassolungo, ascensione ritardata dalla pioggia e che terminò nell'oscurità più completa.

Demetz era uno scalatore nato che eccelleva nella scalata libera. Tra gli alpinisti famosi che egli ebbe come compagni di cordata possiamo citare Demuth, Detassis, Gliick e così pure Luis Trenker un po' più vecchio di lui.
Giovanni Demetz ha aperto numerose
vie nuove anche con i suoi clienti soprattutto nella Val Gardena, ma poiché egli non ha mai tenuto un diario, è estremamente difficile stabilire un quadro completo. Qualche indicazione a questo proposito è stata raccolta in allegato. Il più famoso dei suoi primati fu senza dubbio la scalata della parete nord-ovest del Piz Gralba, alta 800 metri e raggiunta in
dieci ore il 29 dicembre 1933, insieme a Ferdinand Gliick e Toni Schranzhofer.
La via Demetz invece sullo spigolo sud-est del Grande Cir viene ripetuta ed è
diventata una classica.

Come rocciatore, Demetznon fu forse l'uguale di un Steger, di un Gliick, di un
Vinatzer, e tanto meno di un Comici, tuttavia grazie alla sua umanità, egli ha esercitato un fascino incomparabile sui suoi numerosi clienti. Era un eccezionale narratore di
storie di montagna ed aveva una dote speciale per renderle interessanti e per
attirare l'attenzione degli ascoltatori.
Giovanni non era soltanto il professionista che incanta per la sua arte di scalatore, ma si sforzava di essere il montanaro che fa
condividere il suo amore per la montagna, l'amico che rassicura e aiuta a superare
la paura. Sulla cima teneva in riserva una sorpresa, soprattutto quando il cliente era impressionato dal vuoto. Sul bordo del precipizio la guida si posizionava a testa
in giù e gambe in su.
Nell'ambiente delle guide alpine della Val Gardena si racconta di una grande capacità di condurre in montagna clienti non sempre all'altezza del percorso o addirittura con
handicap. Con arte ed esperienza faceva superare loro le difficoltà e realizzava i loro sogni con delle indimenticabili ascensioni.

Era raro fino agli anni cinquanta, che una guida possedesse un'auto. Disponeva tutt'al più di una motocicletta sulla quale il cliente occupava il posto dietro e portava lo zaino
contenente corda, moschettoni, martello e
chiodi. Se si faceva un'escursione alle Torri del Vajolet, non ci si spostava così facilmente come al giorno d'oggi. Il suo terreno privilegiato delle scalate era costituito dalle torri del Sella, il Cir, il trinità
Sassolungo, le Cinque Dita, la Punta Grohmann ed il Sciliar. Quale primocontatto con le Dolomiti, Demetz mi condusse al
camino Adang, vicino al Passo Gardena. Era un'attrazione famosa, ahimè scomparsa nel frattempo a causa di una gigantesca
frana rocciosa.
Situato all'angolo est del grande Piz da Cir, non lontano dalla via Cameron, la via iniziava con un camino molto largo con alla base uno strapiombo. Era consuetudine mo***re sulle spalle del compagno per
raggiungere una fessura, strettoia del camino da cui sicontinuava in spaccata.
Questo passaggio è rimasto una curiosità da cartolina postale, così come la
traversata aerea della Guglia de Amicis. Demetz amava anche condurre il suo cliente nella fessura Kene alla Punta delle cinque Dita. Questo camino obliquo ed
esposto lo si vede anche da lontano dal Passo Sella.
Ma il regno di G. Demetz era il Sassolungo, dove passava le notti nella minuscola capanna che aveva costruito con le sue mani nella stretta forcella tra il Sassolungo e le Cinque Dita. Conosceva tutti i meandri ed i segreti di quel labirinto per averlo percorso in tutti i sensi.
La Guida alpina gardenese Mario Senoner ricorda, che alle sue prime puntate sul Sassolungo era solito incontrare la "volpe Juani".
Nell'occasione cercava di stargli dietro per
conoscere meglio la strada, ma era sufficiente perdere di poco terreno, che svaniva nel nulla, per incontrarlo poi più tardi ormai già intento nella discesa. Quante volte in cinquant'anni di guida alpina, Demetz si è eretto sulla punta di questa cattedrale? Giovanni non teneva alcuno conto, ma prendendo come media
annuale una dozzina divolte, ciò farebbe in totale 600 ascensioni. Ma probabilmente non basta.
Un suo carissimo amico Lino Pellegrini ha affermato che dovevano essere almeno 750. Un record, che senza alcun dubbio, non era che suo! Amava particolarmente la parete nord-est (via Pichi), con i suoi mille metri di dislivello. Si partiva alle sei di mattino per poter attaccare la via alle sette e raggiungere la vetta alle dodici, con pic-nic e riposo.

Durante la traversata della vetta gigantesca ci si inginocchiava dinnanzi alla croce di suo figlio Toni, ucciso da un fulmine
qualche anno prima. Ci si fermava un istante al bivacco e poi cominciava la funambolesca discesa fino al Passo Sella (non esisteva ancora la cabinovia), dove si
giungeva dodici ore dopo averlo lasciato.

Giovanni Demetz fu anche famoso per i suoi salvataggi quando il Soccorso Alpino
organizzato ancora non esisteva. Più volte decorato per il suo coraggio segnaliamo la consegna della medaglia d'argento al
valore civile e della Stella del Cardo per i grandi meriti alpini acquisiti.

Nell' agosto 1952, il maggiore dei suoi figli, il portatore Toni, condusse una cordata
composta da due italiani sulla parete nord del Sassolungo, un ascensione molto lunga soggetta ai cambiamenti del tempo. In vetta la cordata fu sorpresa dal temporale, un fulmine investì Toni e uno dei due compagni e li uccise mentre l'altro rimase presso i due. Il padre Demetz rientrato da una uscita alla Punta Grohmann e inquieto per non aver visto rientrare il figlio, partì alla sua ricerca malgrado la neve che nel frattempo era caduta.
Raggiunto il luogo dell'accaduto, prima
condusse il sopravvissuto in valle, quindi salì più volte in vetta per portare sulle sue
spalle i corpi di suo figlio e del'altro compagno. Un anno dopo una messa fu
celebrata a 3150 metri, nel
posto stesso della catastrofe.

Altro memorabile soccorso; accadde quando un giovane tedesco, rocciatore solitario, scomparve su questa immensa montagna e fu inutilmente cercato per giorni. Perfetto conoscitore di tali dedali, Demetz fece il
seguente ragionamento: deve essere caduto in uno stretto corridoio che dalla
vetta finisce diritto sulla forcella e sulla capanna. Ciò che si rivelò esatto. Ancora
una volta trasportò il corpo a valle sulle sue spalle. A Titolo di gratitudine la
madre del giovane regalò a Demetz la sua Volkwagen. Giovanni fu così una delle
prime guide alpine della Val Gardena a possedere una macchina, ciò che gli permise di allargare il suo raggio d'azione. Egli fece parte anche della ricerca e del recupero delle salme della cordata Esposito, Ceschina, Valsecchi, i quali erano intenti nella prima ripetizione della via Comici al Salame del Sassolungo il 24 settembre 1945. La biografia di Ercole Esposito, detto Ruchin, parla di una difficile ricerca di individuazione in condizioni di brutto tempo e con la montagna completamente ricoperta di neve.

Giovanni Demetz esercitò senza interruzioni il mestiere di guida alpina per ben 50 anni esplicando l'attività fino all'etàavanzata di 76 anni. Il figlio Heini rammenta che suo
padre fece per l'ultima volta la Nord del Sassolungo a 72 anni, la fessura Keine alle
Cinque Dita all'età di 75 anni e l'ultima salita lungo la normale del Sassolungo l'anno dopo.

Giovanni sosteneva che si può scalare
fino a 85 anni, ma che bisogna sapersi fermare un giorno. Trascorse la vecchiaia alla Forcella del Sassolungo, nel suo rifugio, circondato dalle sue amate montagne.

ANEDDOTI DI UN IMPRESA. "Dal canto mio la parentesi del K2 fu soprattutto una ridda incalzante di forti SENSAZIONI che i...
12/11/2025

ANEDDOTI DI UN IMPRESA.
"Dal canto mio la parentesi del K2 fu soprattutto una ridda incalzante di forti SENSAZIONI che incominciarono dal FANTASTICO viaggio d'avvicinamento tra mille ESOTICHE visioni, sino all'INCIDENTE accadutomi a Urdukas durante il breve soggiorno di ACCLIMATAZIONE, che per poco non mi fu FATALE.

ACCADDE cosi: Lino Lacedelli, che quel mattino era entrato nella mia tenda per svegliarmi, SCHERZANDO mi prese fra le braccia insieme al sacco-piumino nel quale ero avvolto e incominciò a dondolarmi finché di colpo gli SGUSCIAI di mano rotolando giù per la sottostante china GHIACCIATA, n**o come natura m'aveva fatto.

Fu quello che si suol dire uno « scherzo pesante », dal quale riportai tali ammaccature ed escoriazioni che mi costrinsero all'INATTIVITÀ per una decina di giorni.

Quando RINVENNI disteso su un tavolo, Lacedelli mi apparve COMMOSSO sino alle lacrime tant'era DISPIACIUTO.
Per evitargli una probabile punizione dal severissimo prof. Desio fummo tutti CONCORDI nel dichiarare « mal di ventre » la mia lunga CONVALESCENZA".
[WALTER BONATTI]

Tratto da " *Le Mie Montagne"
di Walter Bonatti.

* Raccolta di episodi di montagna tra il 1949 e 1959.

In foto: Walter Bonatti e Lino Lacedelli in tenda al campo base dopo la conquista del K2.

Erano i TEMPI che una MOTO  rappresentava già una conquista, in quanto riusciva ad abbreviare i tempi di avvicinamento e...
11/11/2025

Erano i TEMPI che una MOTO rappresentava già una conquista, in quanto
riusciva ad abbreviare i tempi di avvicinamento ed allargare il raggio di azione.
E allora VIA!
Il motore CANTA giocondo come il cuore, che già pregusta la prossima gioia;
unico compagno lo ZAINO.

Lo zaino grava sulle spalle, grosse gocce di SUDORE irrorano la fronte e ruscellano
dal naso mentre gli erti SENTIERI sì srotolano lentamente sotto i suoi PASSI. Ma se lo
zaino è pesante, lo SPIRITO diventa sempre più LEGGERO col progredire dell'ascesa.

Nessuno è nelle vicinanze, il rumore più forte che ode è quello del rapido pulsare
del CUORE che ha accelerato il suo ritmo per la fatica e per l'EMOZIONE.

In fotografia Iosve Aiazzi (a sinistra) e Andrea Oggioni a Pian dei Resinelli nel 1955, rispettivamente su DKW 350 cc due tempi e Sertum 259 cc quattro tempi.

La foto fa parte del libro:
"Andrea Oggioni: diario olografo".

Foto storica datata 4 agosto 1892 a Courmayeur.....Ritrae Edward Whymper con le guide e portatori di Courmayeur in parte...
11/11/2025

Foto storica datata 4 agosto 1892 a Courmayeur.....
Ritrae Edward Whymper con le guide e portatori di Courmayeur in partenza per l'ascensione del Monte Bianco.

La fotografia è stata scattata da Giovanni Varale alpinista appassionato e fotografo biellese. Le sue immagini sono state pubblicate in diversi libri e riviste, molte sono state utilizzate anche come cartoline.

Da notare la differenza di colorito tra le facce delle Guide Alpine, arse da sole in quota e sferzate dal vento, e la faccia candida di Edward Whymper.

L' Estate di San Martino Ecco i tanto favoleggiati ozi del pastore. A pochi metri corre la Provinciale, tormentata dalle...
11/11/2025

L' Estate di San Martino
Ecco i tanto favoleggiati ozi del pastore. A pochi metri corre la Provinciale, tormentata dalle formiche sempre indaffarate, negli scafandri di lamiera.
Un'occhiata all'uomo che giace ostentando il dolce far niente con plateale soddisfazione: è un'immagine provocatoria nella sua ingenuità o forse malizia sottile, per la posa, per la stagione e soprattutto per il mestiere che le pecore si affrettano a sottolineare "Beato lui!"
E via, incontro alla banalità consueta dell'ufficio o della fabbrica che essi hanno scelto o che li ha scelti. « Beato lui! » E lui lo lascia credere, non fa niente per contraddirli...

Ancora pochi giorni fa, in montagna, sgambava come un matto tra la nebbia di sempre e la prima neve che si erano alleate ner trafugargli gruppetti di pecore. Su e giù per cenge e dirupi; ogni tanto il suono di una campanella pareva condurlo sulla giusta traccia ma la nebbia gioca tanti scherzi... Non era che un'eco, o davvero il suono veniva di là ma quelle bestiacce avevano scavallato altrove, c'era solo la nebbia, le chiazze di neve, il tonfare del suo cuore dentro la macchina d'ossa e di muscoli ancora così salda ma stanca, questo si.

Poi il vento aveva detto: « Ancora neve! » e l'erba oltre il colle era vetro. Era tempo di scendere. Hanno diviso il gregge: con lui ora resteranno i maschi e le sterpe mentre le fattrici,l, si aggireranno non lontane da casa, a racimolare ghiande nei boschi già percorsi dal vento alto dell'autunno che respira sui culmini delle piante con voce profonda, e mulina foglie all'impazzata. Là, dentro al vento, sta ora Celso con il cappello rabbiosamente calcato sulla fronte, davanti a quelle femmine smarrite che devono mangiare per due. II bosco è tutto un frusciare di zampe e un crepitare di denti, tra dondolio lontano di rami lucidi di sole e trascorrere alto di nuvole bianche e veloci, a precipizio verso il tramonto rosso.

Dietro Ottavio stanno i campi di stoppie brulli e lingue di prato già passate al setaccio dalle mucche. E il pallido colchico, nel suo fragile lilla, sottolinea che anche qui l'autunno si accinge a lasciare all'inverno la nudità desolata della terra.. E via per baragge, allora, nella speranza che l'autunno abbia custodito qualcosa, che l'inverno sia pietoso: ma quelle nuvole dicono neve.

L'uomo sdraiato lo sa, anche per questo prolunga il riposo sull'inconsueto divano di foglie asciutte. Guarda le auto che continuano la loro spola frenetica sulla strada e sorride senza scucire parole. Sente odor di terra e di sole e vuole credere che questa estate di San Martino sia un regalo duraturo: alla neve penserà domani, quando s'incamminerà per un tratto sull'asfalto, con il suo esercito dimezzato: e le bestie trotteranno a testa bassa ignorando il rumore e l'odore di quei compagni di viaggio impazziti... Fino alla prima baraggia o al primo dei sentieri d'ocra della Bessa.

Le nuvole si sono fermate contro la montagna, ombre di alberi e di cespugli s'allungano, un volo di corvi passa gracchiando, e sembra uno sciame di foglie nere, di chissà quale albero e bosco della terra.

Tratto da " Fame d'Erba"
di Giorgina Vicquéry e Gianfranco Bini.
Fotografia ©️ Gianfranco Bini.

"Gli arrampicatori californiani si sono creati una regola molto severa: la scalata libera è tirata al limite di caduta p...
10/11/2025

"Gli arrampicatori californiani si sono creati una regola molto severa: la scalata libera è tirata al limite di caduta prima di ricorrere all’uso dei chiodi (protection piton) e, prima di forare la roccia per introdurvi un chiodo a espansione in scalata artificiale, si deve ricorrere a tutti quegli artifici tecnici che permettono di salire senza bucare la roccia. Le vie devono essere lasciate interamente schiodate (salvo i chiodi a espansione, ma non sempre) in modo che i ripetitori incontrino le medesime difficoltà dei primi salitori e possano comportarsi davanti a esse a seconda della loro bravura”.
[Gian Piero Motti]

da Nuovo Mattino pubblicato nella Rivista della Montagna nell’aprile del 1974.

In fotografia Chuck Pratt (davanti) e Royal Robbins in cima a El Cap, la Salathé Wall, El Capitan, Yosemite Valley, California.
Prima salita di Robbins, Pratt, e Frost, 9 giorni, settembre 1961, senza l’aiuto di corde fisse e con il minimo utilizzo di chiodi (13 bolt) la seconda via sul monolite di roccia.

📅Novembre 1966....Questa fotografia di Bepi Zanfron premiata dall' "Associated Press" ritrae la consegna della posta in ...
10/11/2025

📅Novembre 1966....
Questa fotografia di Bepi Zanfron premiata dall' "Associated Press" ritrae la consegna della posta in zona Miniere, in un Agordo martoriata dall'alluvione del novembre 1966.

Questo quello che riportavano i giornali dell' epoca.

Nel Bellunese fame e paura per 70.000:
"Circa settantamila sono gli abitanti delle tre vallate del bellunese maggiormente colpite dall’alluvione: quarantacinquemila nell'Agordino, settemila nella valle Zoldana e quindicimila nel Comelico. Tutti devono essere riforniti di viveri, medicine ed altri generi di prima necessità. Al rifornimento provvedono circa mille e cinquecento uomini della brigata alpina «Cadore», di stanza a Belluno, e comandata dal gen. Caruso, vigili del fuoco e squadre del soccorso alpino del CAI oltre ad un buon numero di volontari. Alcuni aerei della stessa brigata sorvolano continuamente la zona per avvistare segnali con richieste di soccorso, mentre gli elicotteri provvedono a rifornire le basi dalle quali partono le squadre a piedi.

Il latte è l’alimento la cui mancanza si fa maggiormente sentire, specie per i bambini e i vecchi: il bestiame infatti, è andato quasi tutto perduto nell'alluvione.

Fiorenzo Bortoli, un uomo che lavora in una fabbrica di mobili, ha fatto parte di una squadra di soccorso nell’Agordino. «Agordo — ha detto — è devastata. L’acqua ha invaso la strada trasformandola in un torrente. Cencenighe, che abbiamo raggiunto a fatica, ha molte case distrutte. L'acqua del Biois, infatti, invece di immettersi nel bacino dell'ENEL, ha sfondato gli argini e si è riversata sul paese devastando anche il cimitero».

Nessuna delle zone colpite è raggiungibile con automezzi, mancando dappertutto l'acqua potabile, la luce elettrica, i viveri e i medicinali. I morti finora accertati sono 41, ma si teme, che ve ne siano molti di più: le persone disperse, infatti, sembra siano oltre 40. Gli abitanti di molti paesi hanno abbandonalo le loro case per sfuggire alle frane ed alle alluvioni, rifugiandosi sui monti. Molti si sono sistemati nelle malghe, ma altri si presume che vivano ancora all'addiaccio e non abbiano potuto raggiungere altri centri, disorientati dallo «choc» e privi di cibo e di abiti pesanti. La situazione per quanto riguarda le persone malate, i vecchi ed i bambini sta diventando, in alcuni casi tragica. Il centro maggiormente devastato è Cencenighe, nell’Agordino. Chi è riuscito ad allontanarsene per raggiungere Belluno, ha riferito che il paese è scomparso sotto una marea di fango e di ghiaia. Ma altri paesi sono stati praticamente distrutti: Taibon, Rivamonte, Falcade, Vallada, San Tommaso, Alleghe".

Fotografia ©️Bepi Zanfron

I carbonai in bergamasca sono quasi scomparsi, come nel resto d'Italia. Un tempo invece erano tantissime le persone che ...
09/11/2025

I carbonai in bergamasca sono quasi scomparsi, come nel resto d'Italia. Un tempo invece erano tantissime le persone che trasformavano la legna in carbone, utilizzato poi per il riscaldamento delle case e anche per la prima cottura dei minerali che si estraevano dalle viscere della montagna. Essi lavoravano di pari passo con i boscaioli. In mezzo al bosco preparavano uno spiazzo pianeggiante, " l'ARAL", al centro del quale si piantava un palo, "ol "MEDIL", alto circa due metri e mezzo. Intorno ad esso, per circa un metro d’altezza, si predisponeva la "CASELA", incrociando dei legni corti. Quindi, tagliata la legna nelle giuste misure, si appoggiava intorno ad essa fino a formare un cono, il "POIÀT". Lo si ricopriva di rami verdi di abete e poi di terra. Tolto il "medil" lo si imboccava con della brace e pezzetti di legna dall’alto, con particolare cura. E così in sei-sette giorni di lavoro assiduo, la legna si trasformava in carbone.

Il carbone prodotto veniva posto nel carbonil ed affidato ai portatori: uomini, donne e ragazzi che lo trasportavano a valle. Il trasporto avveniva per mezzo di grossi sacchi, chiusi in modo particolare, perché il carbone non si spezzasse. I portatori si aiutavano con un grosso bastone e si fermavano ogni tanto a riposare in posti fissi chiamati "metide".

I carbonai in bergamasca sono scomparsi, i boscaioli sono rimasti in pochi: il lavoro, nonostante i mezzi moderni dei quali si servono per compierlo, è pur sempre molto duro e pericoloso. Oggi sono rimasti in pochi, ma una volta contrade intere vivevano nel bosco e per il bosco. Allora, con loro, c’erano anche i carbonai, che ogni anno ripetevano l’antico e sempre misterioso rito del "POIÀT".

Fotografia ©️ Luciano D'Angelo.

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