08/08/2025
8 agosto 1956, ore 8:15 Marcinelle, Belgio🇧🇪.
La storia non è un lontano angolo polveroso, ma è anche quelo che è accaduto solo ieri, nel passato più recente, e che rischia di essere dimenticato o distorto più facilmente, e non deve esserlo.
Sono le 8.15. Un incendio scoppia a 975 metri di profondità nella miniera di carbone del Bois du Cazier, nel bacino carbonifero di Charleroi, nei pressi della cittadina belga di Marcinelle.
In quel momento nelle viscere della terra lavorano 275 uomini. Un addetto ai carrelli fa risalire nel momento sbagliato un montacarichi, che sbatte contro una trave metallica che va a squarciare un cavo elettrico, una conduttura dell’olio e un tubo dell’aria compressa. Poco dopo si scatena l’inferno. L’incendio è immediato e micidiale, non lascia scampo.
Le fiamme si sviluppano rapidamente, favorite da vecchie strutture in legno, da centinaia di litri di olio e dalle ventole di areazione. Non ci sono vie di fuga, le sicurezze obsolete. Manca la dotazione delle maschere con l’ossigeno.
Il 22 agosto, dopo giorni di ricerche, mentre una fumata nera e acre continua a uscire dalla miniera, uno dei soccorritori che torna in superficie lancia un grido di orrore: “Tutti cadaveri”. Morirono 262 persone, quasi tutti soffocati dall’ossido di carbonio, avvolti dalle fiamme.
Persero la vita 136 italiani, 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 3 algerini, 2 francesi, 3 ungheresi, un inglese, un olandese, un russo e un ucraino. Dodici i sopravvissuti.
Trattati come cani, o quasi (agli italiani erano vietato entrare nei bar), usati come merce di scambio, ai minatori italiani non restava che il riscatto della fatica e della morte. Le operazioni di salvataggio si protrassero fino al 23 agosto, quando uno dei soccorritori diede l’annuncio, in italiano: «Tutti cadaveri».
In Italia, in quegli anni, le risorse di carbone erano agli sgoccioli, le potenze vincitrici le lesinavano agli sconfitti e la nostra produzione era pressoché nulla. Nel ‘46 i belgi, ricchi di carbone, non volevano fare il lavoro del minatore, coscienti dei pericoli delle miniere. Il governo belga decise quindi di importare manodopera dall’estero, e molti furono gli italiani a partire in cerca di fortuna: «Imparate le lingue e andate all’estero», diceva De Gasperi quando gli veniva prospettato il problema della disoccupazione. L’emigrazione era anche un modo per «esportare» i poveri. Il 23 giugno del 1946 viene siglato un protocollo d’intesa tra il governo italiano e quello belga che prevede il trasferimento di cinquantamila minatori italiani in Belgio, in cambio di duemilacinquecento tonnellate di carbone ogni mille minatori. Non era facile la vita lassù, anche perché i problemi continuavano anche dopo il lavoro. Gli operai italiani, infatti, non venivano visti bene dalla popolazione belga e venivano chiamati «fascisti», «sporchi maccaroni».
Vale la pena ricordare queste amarezze!!!