27/07/2025
( ) Un brano in chiaroscuro che ha acceso una nuova stagione nella carriera di Irene Grandi. La reazione fu immediata: non era la Irene solare e ribelle dei successi anni ’90, ma una voce più introspettiva e intensa, capace di dare corpo a una canzone cupa e affascinante. Un fuoco che divampa tra desiderio e distruzione.
Pochi brani del pop italiano recente hanno saputo incarnare così bene un desiderio ossessivo. Irene Grandi si affida alla penna ispirata di Francesco Bianconi, che cuce per lei un testo tagliente, quasi minaccioso, fatto di passione che arde e diventa gesto radicale, quasi apocalittico.
Il pezzo si distingue per l'arrangiamento cinematografico, con fiati incalzanti e un beat quasi militare che sorregge una voce contenuta, quasi fredda, ma proprio per questo più potente. Irene non urla: lascia che le parole brucino da sole.
È uno di quei pezzi che non si dimenticano. Appena parte, ti aggancia con quella batteria marziale, con i fiati che spingono come una big band in un film apocalittico, e poi arriva lei, Irene, con la voce trattenuta eppure ferma, quasi minacciosa. Nessun orpello, nessuna concessione alla dolcezza: tutto ruota intorno a un amore totale, e a un’ossessione che si fa gesto estremo.
Il brano, scritto da Francesco Bianconi dei Baustelle, ha una costruzione atipica per il pop estivo di quegli anni: niente riff solari, niente leggerezza, un ritmo martellante, arrangiamenti orchestrali massicci, e un testo che lascia il segno. e che Irene canta con spietata lucidità, senza mai strafare. Ogni parola pesa, ogni suono è al posto giusto.
Rifiutata inspiegabilmente da Sanremo 2007, “Bruci la città” si è presa la sua rivincita da sola, diventando uno dei brani simbolo di quell’estate e riposizionando l'artista fiorentina come interprete matura, potente, capace di reinventarsi senza perdere la sua anima rock.
È il classico brano che non fa prigionieri: o lo ami, o ti sfugge. Ma se ti entra dentro, non se ne va più.
#2007