19/12/2025
Tristano e Isotta. L'amore che non fu una scelta
La leggenda di Tristano e Isotta nasce nel Medioevo e attraversa l’Europa in molte versioni, tra area celtica, francese e germanica. È uno dei racconti fondativi dell’amore “illecito” nella letteratura occidentale. Tristano è un cavaliere fedele al re Marco di Cornovaglia. Isotta è una principessa irlandese promessa in sposa proprio a quel re. Il loro amore non nasce da una decisione, ma da un filtro magico bevuto per errore durante il viaggio che avrebbe dovuto condurre Isotta al matrimonio. Da questo equivoco prende forma una delle storie più tragiche e influenti di sempre, conosciuta anche da Dante e diventata modello per racconti successivi, da Lancillotto fino a Paolo e Francesca. Qui a parlare è Isotta.
Io sono Isotta
Mi chiamano Isotta la Bella, ma la bellezza non ha avuto alcun ruolo in ciò che mi è accaduto. Sono nata per essere promessa, non per scegliere. Prima ancora di conoscere Tristano, la mia vita era già stata decisa. Un matrimonio, un regno, un dovere. Tristano doveva solo accompagnarmi. Era un cavaliere, un uomo fedele, il nipote del re che avrei sposato. Durante il viaggio verso la Cornovaglia portavo con me un filtro d’amore, preparato per il re Marco. Serviva a rendere sopportabile un’unione che non nasceva dal desiderio, quel filtro non era destinato a noi. Lo bevemmo per errore. Non accadde nulla di spettacolare. Nessun fulmine, nessuna rivelazione, solo un cambiamento silenzioso e irreversibile. Da quel momento il mondo non tornò più al suo posto. Non ci innamorammo perché lo volevamo, accadde perché non potevamo evitarlo.
Tristano non mi corteggiò, né io lo cercai. Eppure ogni distanza diventava insopportabile, ogni silenzio era una ferita. Non eravamo liberi e questo era il nostro tormento più grande. Amare senza aver scelto di farlo significa non potersi assolvere. Sposai il re Marco, la legge volle così. Il mondo ritrovò il suo ordine apparente. Ma l’ordine non guarì nulla, Tristano rimase a corte, io rimasi regina e l’amore, invece di spegnersi, imparò a nascondersi. Non c’era felicità, solo tensione e la paura di essere scoperti. Solo la consapevolezza che ogni incontro rubato aggiungeva colpa a qualcosa che non avevamo deciso. Ci giudicarono adulteri. E lo eravamo, secondo la legge degli uomini, ma chi può essere colpevole di ciò che non ha scelto? Questa è la domanda che la nostra storia lascia sospesa. Non per giustificarci, ma per costringere chi ascolta a pensare. Tentammo di fuggire. Tentammo di separarci. Tentammo di obbedire. Ogni volta il destino ci riportava l’uno verso l’altra, come se l’amore fosse una forza che non chiede consenso. Non eravamo eroi. Eravamo prigionieri.
Il re Marco non era un mostro, era un uomo ferito, tradito, sospettoso. Anche lui fu vittima di questa storia. Nessuno vince quando l’amore nasce dove non dovrebbe, la leggenda non distribuisce assoluzioni, racconta solo la frattura. Vivemmo divisi tra ciò che sentivamo e ciò che dovevamo essere. E in quella divisione ci consumammo lentamente. Non c’è gloria nella nostra fine, solo la conferma che l’amore, quando non è scelto, non salva. Travolge.
Ho saputo che un poeta, molti anni dopo di noi, ci ha collocati in un cerchio di vento eterno. Dice che siamo travolti come lo siamo stati in vita, sospinti senza pace, senza riposo. Dice che siamo colpevoli. Lo capisco. Chi guarda da lontano ha bisogno di ordine. Ha bisogno di gironi, di leggi, di pene che diano un senso a ciò che sulla terra è rimasto irrisolto. Dante non ci ha conosciuti, ma conosceva bene la nostra storia. Sapeva che eravamo diventati un esempio. Mi chiedo, però, se abbia mai pensato a questo: noi non scegliemmo di amarci. Non aprimmo un libro, non seguimmo un desiderio cercato. Fummo presi, come si viene presi da una febbre o da una sorte avversa. Eppure, nel suo Inferno, l’amore che non abbiamo voluto diventa la nostra colpa eterna. Forse è così che funziona il giudizio degli uomini. Trasforma ciò che accade in ciò che si deve pagare. Trasforma una storia in un monito. Tristano morì lontano da me, credendo di essere stato abbandonato. Io arrivai quando era troppo tardi. La nostra unione, negata in vita, fu possibile solo nella morte.
Ciò che resta
So che molti ci hanno raccontato come amanti romantici. Non è così che mi sento. Non ho mai pensato che l’amore bastasse. Ho imparato che può essere anche una condanna. Se mi chiedessero se tornerei indietro, non saprei rispondere. Perché ciò che non ho scelto è anche ciò che mi ha resa viva. Forse è per questo che la nostra storia continua a essere raccontata. Non perché consoli o prometta felicità, ma perché mette a disagio e perché chiede una risposta: quanto di ciò che chiamiamo scelta è davvero nelle nostre mani? E quanto, invece, ci accade?