31/10/2025
C’è una verità semplice e dura da digerire quando si parla di “Infinite“, il nono e — molto probabilmente — ultimo album dei Mobb Deep uscito il 10 ottobre 2025: è un disco costruito per onorare una leggenda senza trasformarla in reliquia.
Havoc, rimasto l’unico membro vivente del duo, ha preso sulle sue spalle il compito di cucire insieme vent’anni di materiale vocale inedito di Prodigy e di produrre (con il contributo sostanziale e riconoscibile di The Alchemist) un lavoro che suona deliberatamente familiare, ma non scolpito nel marmo del passato.
L’elemento più impressionante di Infinite è la coerenza produttiva. Havoc riafferma il marchio sonoro che ha reso i Mobb Deep iconici: bassi cupi, loop spogli ma ossessivi, percussioni essenziali che lasciano spazio alle voci. Quello che cambia è la cura della stratificazione — campionamenti meno grezzi in certi passaggi, qualche arrangiamento orchestrale sottile e micro-elementi moderni che non sviliscono la durezza originaria ma la rendono più “ascoltabile” al pubblico di oggi.
Il lavoro di The Alchemist, presente come co-produttore ed elegante contrappunto alle tessiture di Havoc, aggiunge un tocco di polaroid nostalgica che bilancia il suono: meno revival stucchevole, più continuità autoriale.
Questo non vuole dire che il disco sia perfetto sul piano sonoro. In alcuni momenti emergono scelte che puntano a un appeal più ampio — ritornelli costruiti per la radio, inserimenti di tastiere e ambientazioni che illuminano l’ombra — e questo può scontentare i puristi che chiedono un remake di un monolite come “The Infamous“.
Tuttavia, il progetto dimostra una nettissima attenzione al dettaglio: Havoc ha ripensato arrangiamenti, timbri e dinamiche delle tracce per consegnare un quadro compiuto.
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A cura di Daniele Paduano✍️padu
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