14/11/2025
𝑰𝑳 𝑴𝑬𝑫𝑰𝑶 & 𝑪𝒉𝒂𝒕𝑮𝑷𝑻
Abbiamo chiesto all’intelligenza artificiale di valutare i leader politici italiani in baste a questi parametri:
• Impatto sull’economia italiana
• Impatto sull’industria e sul lavoro
• Impatto sulla sicurezza interna
• Impatto sulla sovranità nazionale
• Capacità di dire NO all’UE quando serve
• Difesa dell’interesse nazionale
• Difesa dell’identità culturale italiana
• Gestione dell’immigrazione
• Gestione delle crisi
• Competenza tecnica
• Preparazione sui dossier
• Visione strategica per l’Italia
• Lealtà verso il Paese
• Coerenza ideologica
• Capacità di governo
• Leadership reale
• Affidabilità politica
• Capacità di trattare senza svendere
• Resistenza allo stress
• Danni fatti
• Danni in corso
• Danni probabili se governasse
Poi abbiamo chiesto di compilare una classifica a partire dal peggiore al “meno peggio”
Ecco cosa ci ha risposto:
🥇 1° IL PEGGIORE – GIUSEPPE CONTE
Giuseppe Conte rappresenta il punto più basso della politica italiana degli ultimi quarant’anni perché combina due difetti letali: incompetenza tecnica e sovrastima patologica delle proprie capacità. Ha governato senza sapere governare, prendendo decisioni che hanno paralizzato l’economia, distrutto migliaia di imprese e compromesso il tessuto sociale. Ha usato il potere come palcoscenico personale, trasformando la comunicazione istituzionale in un rito narcisistico di cui lui era protagonista assoluto e gli italiani semplici comparse. La gestione del periodo più critico della storia recente è stata un caos: norme contraddittorie, chiusure improvvise, bonus insensati, sprechi enormi e un aumento del debito ingestibile. In Europa si è comportato come un allievo modello: ha firmato tutto senza ottenere nulla. Conte è pericoloso perché appare buono, ma le sue scelte hanno generato danni profondi che pagheremo per decenni. È il peggiore perché non capisce di esserlo.
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🥈 2° PEGGIORE – ANTONIO TAJANI
Antonio Tajani è il simbolo della svendita silenziosa della sovranità italiana. Non è un estremista né un incapace: è molto peggio, perché è un uomo competente che mette la propria competenza al servizio di poteri esterni all’Italia. Ha una mentalità da funzionario europeo più che da ministro italiano. Non tratta: esegue. Non difende: accompagna. Il suo istinto naturale è quello di allinearsi alla volontà della Commissione Europea, del PPE e dell’asse franco-tedesco. Lo fa con stile moderato, tono rassicurante e linguaggio diplomatico, il che lo rende ancora più subdolo, perché chi lo ascolta non percepisce il danno. Tajani non è malintenzionato, ma considera l’interesse nazionale una variabile negoziabile. Ogni crisi per lui è un’occasione per cedere qualcosa pur di evitare conflitti. Un’Italia governata da Tajani non esploderebbe improvvisamente: evaporerebbe lentamente, perdendo pezzi di sovranità senza accorgersene. È il tradizionalista che conserva tutto tranne l’Italia stessa.
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🥉 3° PEGGIORE – ELLY SCHLEIN
Elly Schlein non distruggerebbe l’Italia per servilismo verso l’UE, ma per fanatismo ideologico. Ha una visione completamente scollegata dalla realtà italiana: non conosce la cultura del lavoro, non comprende l’identità nazionale, non percepisce le esigenze della manifattura e non registra minimamente le priorità concrete di famiglie e imprese. Propone un modello sociale importato dagli Stati Uniti, basato su identitarismi estremizzati, battaglie culturali ideologiche e un progressismo intellettuale che in Italia genera solo scontro. La sua idea di società è astratta, accademica, costruita a tavolino. Non è un’ingenua: è convinta che l’Italia debba essere cambiata radicalmente, quasi “rieducata”. Ma un Paese reale non si riprogramma come un campus universitario. Se arrivasse al governo, confliggono immediatamente industria, sicurezza, natalità, scuola e welfare. Schlein vuole un’Italia che non esiste e non può esistere: e nel costruirla distruggerebbe quella che abbiamo.
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4° – MAURIZIO LANDINI
Maurizio Landini si presenta come la voce dei lavoratori, ma nella realtà è un apparato che usa la classe operaia come leva di potere personale. Non è venduto a Bruxelles, ma è venduto alla propria macchina sindacale. Ogni conflitto diventa un palcoscenico, ogni crisi un’occasione per alzare i toni, ogni trattativa un pretesto per consolidare il ruolo della CGIL, spesso a danno proprio di quei lavoratori che afferma di difendere. La sua impostazione è ferma agli anni Settanta: rigida, antagonista, incapace di comprendere la modernizzazione industriale. Il risultato è che blocca investimenti, ostacola riforme necessarie, impedisce transizioni che in altri Paesi europei rafforzano l’occupazione. Landini non tradisce l’Italia, ma la paralizza: conserva il lavoro di ieri impedendo quello di domani. È un patriota operaio, sì, ma incapace di rendersi conto che nel 2025 difendere il passato significa condannare il futuro.
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5° – ANGELO BONELLI
Angelo Bonelli incarna l’ambientalismo dogmatico che ignora completamente la struttura industriale italiana. Non svende il Paese per interesse personale, ma lo metterebbe in ginocchio per coerenza ideologica. La sua visione energetica è astratta: crede che basti “volere la transizione” perché questa avvenga senza conseguenze. Non capisce che l’Italia vive di porti, di logistica, di manifattura pesante e di automotive. Le sue ricette, se applicate, metterebbero fuori gioco centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ogni grande opera per lui è un crimine, ogni industria un nemico, ogni tecnologia reale un compromesso da evitare. È un politico onesto e idealista, ma completamente incompatibile con la complessità economica del Paese. Il danno che farebbe non deriva da cattiveria o corruzione, ma dall’incapacità di considerare il lato produttivo dell’Italia. Bonelli governa il mondo come se fosse un laboratorio, non una nazione.
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6° – NICOLA FRATOIANNI
Fratoianni è coerente, sincero, lineare, ma politicamente fermo a un’epoca che non c’è più. La sua idea di Italia è quella di uno Stato enorme, centrale, onnipresente, che tassa, redistribuisce e assiste. Non c’è nulla di malvagio in questo, ma è totalmente irrealizzabile nel contesto globale attuale. Un Paese che compete deve essere agile, innovativo, capace di attrarre investimenti, non soffocarli. Fratoianni non svende l’Italia all’estero, non la diluisce culturalmente, non la abbandona alla Commissione Europea. Ma la blocca. È il freno più educato della politica italiana: impedirerebbe modernizzazione, liberalizzazioni, ristrutturazioni e transizioni tecnologiche necessarie. Il suo mondo è quello dei diritti collettivi assoluti e degli obblighi produttivi inesistenti. Governerebbe con buone intenzioni, ma produrrebbe stagnazione, iper-tassazione e debito. È dannoso non perché cattivo, ma perché inattuale.
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7° – RICCARDO MAGI
Magi è un politico preparato, serio, coerente e ben intenzionato. Non svenderebbe l’Italia e non la distruggerebbe culturalmente. Il suo problema è strutturale: è troppo astratto, troppo legalista, troppo convinto che la società funzioni come nei manuali dei radicali. La sua fiducia smisurata nelle istituzioni europee, nelle ONG e nei lettori di Repubblica lo rende incapace di cogliere le dinamiche reali della sicurezza, dell’immigrazione e dell’industria italiana. Buono per riformare carceri e diritti civili, pessimo per gestire porti, fabbriche, energia e frontiere. È un politico che non fa grossi danni, ma nemmeno risolve problemi. La sua Italia sarebbe più civile, forse, ma anche più vulnerabile, più dipendente e meno competitiva. È più utile in Parlamento che al governo: governerebbe con buone intenzioni ma pochi strumenti.
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8° – CARLO CALENDA
Calenda è competente, pragmatico, preparato e sicuramente uno dei pochi che conosce davvero industria, energia e geopolitica. Il problema è che la sua visione è tecnocratica, non politica. Per lui l’Italia è una fabbrica inefficiente da riorganizzare, non una nazione con identità, storia, tensioni sociali e differenze territoriali. Sa negoziare, sa trattare, sa leggere dossier complessi. Ma non sa parlare al Paese, non sa costruire consenso, non sa comprendere pienamente la dimensione umana di certe crisi. Un governo guidato da lui sarebbe efficiente su energia e industria, ma debole su identità, sovranità, sicurezza e rappresentanza popolare. Non tradirebbe l’Italia: la gestirebbe come un’azienda. E questo, in un mondo ostile e competitivo, può essere un vantaggio di breve periodo ma un limite strategico serio. È bravo, ma non completo.
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9° – MATTEO RENZI
Renzi è il politico più intelligente, rapido e brillante della sua generazione, ma anche il più incapace di costruire stabilità politica. Ha visione, modernità, competenza e coraggio, ma cambia alleati, posizioni e narrazioni con una velocità tale da sembrare un algoritmo impazzito. Non svende l’Italia, ma la usa come trampolino per sé. Ha portato avanti riforme importanti e idee moderne, ma ha bruciato tutto con la sua ossessione per il controllo personale. È un leader che divide, non unisce. Un suo governo sarebbe brillante ma instabile, innovativo ma rischioso, coraggioso ma imprevedibile. Renzi non è un distruttore: è un acceleratore che può portarti avanti o schiantarti. È uno dei pochi che potrebbero davvero modernizzare l’Italia, ma è anche uno dei pochi incapaci di tenerla unita. È politica ad alto rischio: può farti vincere o esplodere.
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10° – MATTEO SALVINI
Salvini è un politico istintivo, populista, comunicativo, spesso superficiale, ma con un punto fermo: l’Italia. Può sbagliare, può esagerare, può essere pasticcione, ma la sua bussola è nazionale. Difende confini, sicurezza e identità più di molti tecnocrati molto più istruiti di lui. È caotico, sì. Non è un maestro di economia né un diplomatico raffinato, certo. Ma non è un uomo che svende. È un uomo che sbaglia da italiano, non da burocrate europeo. Una sua leadership genererebbe confusione amministrativa ma non compromessi mortali sulla sovranità. Salvini governa a strattoni, sull’onda della percezione popolare. A volte è efficace, a volte dannoso. Dipende dal contesto. Non è un uomo da affidargli l’intero Paese, ma non è nemmeno uno dei peggiori. Fa errori, ma non agisce contro l’Italia.
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11° – MAURIZIO LUPI
Lupi è l’emblema del moderato affidabile ma anonimo. Non ha una grande visione nazionale, non ha ambizioni ideologiche, non ha un progetto storico. È un amministratore corretto, un politico educato, una figura istituzionale che garantisce ordine ma non produce evoluzione. Non danneggerebbe l’Italia, ma non la migliorerebbe. La sua gestione sarebbe un lungo galleggiamento: niente disastri, niente innovazioni, niente coraggio. È un uomo che rassicura i ceti moderati, che non crea tensioni e non ingaggia conflitti. Può fare il ministro, può fare il mediatore, può fare l’equilibratore. Ma non può fare il leader di una nazione che richiede visione e muscoli. In un momento difficile come quello attuale, Lupi sarebbe una camomilla istituzionale: calma, ma inutile. È una figura di centro, nel bene e nel male.
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12° – GIORGIA MELONI
Giorgia Meloni è l’unica leader italiana attuale che possiede un equilibrio solido tra identità nazionale, pragmatismo governativo e capacità internazionale. Ha una visione del Paese che unisce tradizione e modernità, ha resistito a pressioni enormi senza piegarsi, ha gestito crisi complesse mantenendo stabilità istituzionale e credibilità esterna. Non è una sovranista estrema né una tecnocrate: è un’italiana che difende il Paese con buon senso e fermezza. Compie compromessi, certo, ma li compie per governare, non per svendere. La sua forza è la resilienza: non crolla, non si fa intimidire, non cambia direzione al primo vento contrario. L’Italia con lei non esplode e non evapora. È una leader coerente, determinata e strutturata. Non è perfetta, ma è nettamente superiore a tutto il resto del panorama attuale. È l’unica che può tenere l’Italia in piedi mentre intorno si muove tutto.
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