Amici della Storia e delle Arti Canavesane

Amici della Storia e delle Arti Canavesane Amici della Storia, dei monumenti e delle tradizioni Canavesane.

𝐂𝐈𝐌𝐈𝐓𝐄𝐑𝐎 𝐝𝐱 𝐈𝐕𝐑𝐄𝐀 – 206 𝐚𝐧𝐧𝐱 𝐝𝐱 đŹđ­đšđ«đąđšIl cimitero d'Ivrea fu costruito nel 1819 successivamente all'editto napoleonico d...
31/10/2025

𝐂𝐈𝐌𝐈𝐓𝐄𝐑𝐎 𝐝𝐱 𝐈𝐕𝐑𝐄𝐀 – 206 𝐚𝐧𝐧𝐱 𝐝𝐱 đŹđ­đšđ«đąđš
Il cimitero d'Ivrea fu costruito nel 1819 successivamente all'editto napoleonico di Saint Cloud (del 1804) che raccolse ed uniformĂČ le diverse norme frammentarie sui cimiteri.
Grazie a queste norme fu possibile la costruzione di veri e propri “monumenti del ricordo”.
𝗣𝗼𝗿đ—č𝗼𝗿 đ—±đ—¶ đ—°đ—¶đ—șđ—¶đ˜đ—Čđ—żđ—¶ di norma si ha un po' di timore, forse per "paura" della morte o per una tipica rimozione propria dei nostri tempi.
Ma noi che đ—»đ—Œđ—» đ—źđ—Żđ—Żđ—¶đ—źđ—șđ—Œ đ˜đ—¶đ—șđ—Œđ—żđ—¶, anzi, vogliamo oggi raccontarvi la sua storia, storia che ha superato i due secoli di vita.

đ——đ—¶đ˜ƒđ—Čđ—żđ˜€đ—¶ đ—œđ—Œđ—œđ—Œđ—čđ—¶ đ—”đ—źđ—»đ—»đ—Œ đ—źđ—Żđ—¶đ˜đ—źđ˜đ—Œ đ—¶đ—č đ—»đ—Œđ˜€đ˜đ—żđ—Œ 𝘁đ—Čđ—żđ—żđ—¶đ˜đ—Œđ—żđ—¶đ—Œ e le loro usanze funebri sono state fra le piĂč disparate.
𝗜 đ—Ÿđ—¶đ—Žđ˜‚đ—żđ—¶ seppellivano le ceneri dei corpi cremati mentre đ—¶ 𝗖đ—Čđ—čđ˜đ—¶ ponevano i corpi nella nuda terra insieme a qualche oggetto.
CosĂŹ, grazie anche all'utilizzo di una scrittura di derivazione etrusca, sappiamo il nome del piĂč antico “Piemontese” conosciuto: Kosios.
𝗗đ—Čđ—¶ 𝗩𝗼đ—čđ—źđ˜€đ˜€đ—¶ non sappiamo molto (figuriamoci che Ăš ancor oggetto di discussione fra gli studiosi se annoverarli fra i Liguri o i Celti).
𝗜 đ—„đ—Œđ—șđ—źđ—»đ—¶ vietavano l'inumazione dei corpi all'interno delle cittĂ  e ad Ivrea sono state scoperte due aree funerarie: una presso l'area Foscale (dove si trova la ditta Mele), l'altra vicino alla fabbrica dei mattoni rossi Olivetti sotto Monte Navale.
I ricchi Romani amavano anche sfoggiare la loro gloria ponendo lungo le strade di collegamento con altre cittĂ  le loro sfarzose tombe.
Ed infatti quella dell'edile Caio Atecio Valerio, oggigiorno nella cripta del Duomo d'Ivrea, Ăš stata ritrovata lungo la strada consolare per Vercelli.
𝗜 đ—Ÿđ—Œđ—»đ—Žđ—Œđ—Żđ—źđ—żđ—±đ—¶ invece erano usi seppellire i propri consimili in grandi necropoli composte da diverse tombe singole al cui interno veniva scavata una fossa piĂč piccola rivestita di legno.
Proprio per questo si puĂČ affermare, nonostante la vulgata affermi il contrario, che l'Avel vicino al “Ciucarun” di Bollengo non Ăš di origine longobarda.

«I primi Cristiani seppellivano i loro cari insieme a quelli pagani poi, un po' per volta, nell'opinione popolare divenne importante sotterrarli vicino ai Santi (credenti) perché essi erano i soli di cui si fosse sicuri che avevano avuto immediatamente un posto in paradiso dopo la morte e quindi avrebbero vegliato sui corpi e respinto i profanatori»
(Philippe AriĂšs).

Da qui l'abitudine a superare l'interdizione romana ed il desiderio di essere inumati dentro o il piĂč vicino possibile alle chiese (“Ad Santos” appunto).

𝗜đ—č đ——đ˜‚đ—Œđ—șđ—Œ đ—±'𝗜𝘃𝗿đ—Č𝗼 era letteralmente circondato da cinque cimiteri:
â–ȘIn Claustro,
â–ȘReziarum,
â–ȘTopione,
â–ȘClarinae,
â–ȘConsolarum.

Ma anche le altre Chiese non erano da meno:
â–Șïžđ—Šđ—źđ—»đ˜'𝗹đ—čđ—±đ—Čđ—żđ—¶đ—°đ—Œ ne possedeva uno sul fianco occidentale della Chiesa ed uno tra il Convento di San Francesco e la Dora (un'area oggigiorno attraversata dal Lungo Dora),
â–Șïžđ—Šđ—źđ—» 𝗩𝗼đ—čđ˜ƒđ—źđ˜đ—Œđ—żđ—Č era ad ovest della chiesa mentre quello di â–Șïžđ—Šđ—źđ—» đ—šđ—żđ—źđ˜đ—Œ era posizionato a nord est tra il tempio e la Dora.
Inoltre, ancor oggi, all'interno della â–ȘChiesa di đ—Šđ—źđ—» đ—Ąđ—¶đ—°đ—Œđ—č𝗼 đ—±đ—ź đ—§đ—Œđ—čđ—Čđ—»đ˜đ—¶đ—»đ—Œ Ăš possibile vedere dove venivano seppelliti i detenuti condannati a morte per impiccagione o fucilazione.
â–ȘGli Ebrei invece seppellivano i loro morti nella zona a nord di Piazza Fillak.

Anche la cerimonia funebre veniva vissuta diversamente: quello che contava era la Veglia funebre e poichĂ© non tutti erano in grado di andare e tornare dalle proprie abitazioni nel giro di poco tempo le famiglie in lutto sentivano il dovere di ospitarli “pane et potu et tecto” (offrendo da mangiare, bere e dormire).

đ—Šđ—œđ—Čđ˜€đ˜€đ—Œ đ—¶ đ—łđ˜‚đ—»đ—Č𝗿𝗼đ—čđ—¶ đ—Čđ—żđ—źđ—»đ—Œ đ—źđ—°đ—°đ—Œđ—șđ—œđ—źđ—Žđ—»đ—źđ˜đ—¶ dalle “Piurasse” che a pagamento piangevano e si lamentavano.

Tant'Ăš che uno Statuto del 1351 vietava espressamente tale pratica.
I poveri, poi, stavano ben attenti ai rintocchi delle campane da morto perché era costume distribuire loro quanto aveva stabilito il defunto.

Nel XVIII secolo si cominciĂČ a prendere coscienza dei problemi sanitari legati al seppellimento dei corpi nelle cittĂ  e si iniziĂČ a costruire i cimiteri fuori dai centri abitati, a Torino nel 1777, ad Aosta nel 1789.
Questa nuova sensibilitĂ  fu recepita dall'đ—Čđ—±đ—¶đ˜đ˜đ—Œ đ—»đ—źđ—œđ—Œđ—čđ—Čđ—Œđ—»đ—¶đ—°đ—Œ đ—±đ—¶ đ—Šđ—źđ—¶đ—»đ˜ 𝗖đ—čđ—Œđ˜‚đ—± (nel 1804) che raccolse ed uniformĂČ le diverse norme frammentarie sui cimiteri.
Grazie a queste norme fu possibile la costruzione di veri e propri “monumenti del ricordo”.

Uno fra tutti il cimitero napoleonico della collina denominato Fiorentino di đ—™đ—¶đ—Œđ—żđ—źđ—»đ—Œ đ—–đ—źđ—»đ—źđ˜ƒđ—Č𝘀đ—Č, mirabilmente descritto in un libro dalla professoressa Paola Capra.
Il vecchio cimitero del Fiorentino Ăš un luogo di sepoltura di epoca napoleonica (1815).
Questo camposanto ha accolto i defunti fioranesi, compresi i conti di Fiorano, fino agli anni quaranta del secolo scorso quando e stato sostituito dal nuovo cimitero.

🔾Ricerca di D. Zaia.
🔾Trascritto da F. Topatigh.
🔾Fotografie di Effe Ti
🔾

Anteprima | 𝐂𝐈𝐌𝐈𝐓𝐄𝐑𝐎 𝐝𝐱 𝐈𝐕𝐑𝐄𝐀 – 206 𝐚𝐧𝐧𝐱 𝐝𝐱 đŹđ­đšđ«đąđšIl cimitero d'Ivrea fu costruito nel 1819 successivamente all'editto n...
28/10/2025

Anteprima | 𝐂𝐈𝐌𝐈𝐓𝐄𝐑𝐎 𝐝𝐱 𝐈𝐕𝐑𝐄𝐀 – 206 𝐚𝐧𝐧𝐱 𝐝𝐱 đŹđ­đšđ«đąđš
Il cimitero d'Ivrea fu costruito nel 1819 successivamente all'editto napoleonico di Saint Cloud (del 1804) che raccolse ed uniformĂČ le diverse norme frammentarie sui cimiteri.
Grazie a queste norme fu possibile la costruzione di veri e propri “monumenti del ricordo”.
Ed Ăš per questo motivo che siamo andati in anteprima a cercar la tomba della famiglia BOARO - BELLEZZA.

𝘉𝘖𝘈𝘙𝘖 𝘎𝘐𝘜𝘚𝘌𝘗𝘗𝘌
đ˜—đ˜łđ˜Šđ˜±đ˜ąđ˜łđ˜ąđ˜”đ˜°đ˜łđ˜Š đ˜„đ˜Šđ˜­ 𝘹𝘱𝘣đ˜Șđ˜Żđ˜Šđ˜”đ˜”đ˜° đ˜„đ˜Ș 𝘍đ˜Ș𝘮đ˜Șđ˜€đ˜ą 𝘩 đ˜„đ˜Ș đ˜”đ˜Šđ˜€đ˜€đ˜ąđ˜Żđ˜Șđ˜€đ˜ą 𝘋𝘩 𝘙𝘩𝘹đ˜Ș𝘰 𝘓đ˜Șđ˜€đ˜Šđ˜° 𝘊𝘱𝘳𝘭𝘰 đ˜‰đ˜°đ˜”đ˜”đ˜ą đ˜„đ˜Ș đ˜đ˜·đ˜łđ˜Šđ˜ą
𝘗𝘳đ˜Ș𝘼𝘰 đ˜€đ˜©đ˜Š đ˜„đ˜Șđ˜Šđ˜„đ˜Š đ˜Ș𝘯 đ˜đ˜”đ˜ąđ˜­đ˜Ș𝘱 đ˜łđ˜ąđ˜±đ˜±đ˜łđ˜Šđ˜Žđ˜Šđ˜Żđ˜”đ˜ąđ˜»đ˜Ș𝘰𝘯đ˜Ș đ˜„đ˜Ș 𝘊đ˜Șđ˜Żđ˜Šđ˜źđ˜ąđ˜”đ˜°đ˜šđ˜łđ˜ąđ˜§đ˜Ș𝘱 𝘔đ˜Șđ˜€đ˜łđ˜°đ˜Žđ˜€đ˜°đ˜±đ˜Ș𝘱 𝘩 𝘙𝘱𝘹𝘹đ˜Ș 𝘟 𝘯𝘩đ˜Ș đ˜±đ˜łđ˜Șđ˜Żđ˜€đ˜Șđ˜±đ˜ąđ˜­đ˜Ș đ˜”đ˜Šđ˜ąđ˜”đ˜łđ˜Ș 𝘩 𝘯𝘩𝘭 đ˜”đ˜Šđ˜ąđ˜”đ˜łđ˜° 𝘙𝘩𝘱𝘭𝘩 đ˜„đ˜Šđ˜­ 1897 | đ˜•đ˜ąđ˜Žđ˜€đ˜Š 𝘱 đ˜đ˜·đ˜łđ˜Šđ˜ą 𝘯𝘩𝘭 1853 𝘩 đ˜źđ˜¶đ˜°đ˜łđ˜Š 𝘱 đ˜đ˜·đ˜łđ˜Šđ˜ą 𝘯𝘩𝘭 1939.

🔾Il racconto dei 206 anni di storia del cimitero d'Ivrea proseguirà sulla nostra pagina facebook venerdì 31 ottobre dalle ore 7:29 del mattino | e da
| Liceo Carlo Botta |

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25/10/2025

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đšđđđąÌ€ 25 ottobre 1742
Lodare i meritevoli dev’essere uno dei primi nostri doveri.
đ˜ˆđ˜Żđ˜”đ˜°đ˜Żđ˜Ș𝘯𝘰 đ˜‰đ˜Šđ˜łđ˜”đ˜°đ˜­đ˜°đ˜”đ˜”đ˜Ș, đ˜€đ˜­đ˜ąđ˜Žđ˜Žđ˜Š 1834
- Elaborazione contenuti, đ™Žđ™”đ™”đ™Ž 𝚃𝙾 |

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15/10/2025

𝗜đ—čđ—čđ˜‚đ˜€đ˜đ—żđ—¶ đ—Č đ˜€đ—°đ—Œđ—»đ—Œđ˜€đ—°đ—¶đ˜‚đ˜đ—¶ đ—±đ—Čđ—čđ—čđ—Č đ˜ƒđ—¶đ—Č đ—±đ—¶ 𝗜𝘃𝗿đ—Č𝗼 - Piazza Castello
IVREA, piazza sulla quale Ăš prospiciente il castello.

Piazza CASTELLO - Deve il suo nome all'imponente edificio in mattoni che si erge sul rilievo dioritico dominante a Nord la cittĂ , al castello detto delle Quattro Torri.
Sono torri angolari cilindriche, ardite e svettanti: caratteristica e simbolo di Ivrea.
Ne restano perĂČ soltanto tre perchĂ© una, la maggiore, la mastia, saltĂČ in aria nel 1676 a causa di un fulmine che incendiĂł le polveri contenute.
Il castello sorse nel 1358 per volontĂ  del Conte Verde, Amedeo VI di Savoia, dopo la dedizione spontanea della cittĂ  (nel 1313).
I lavori di costruzione durarono una quarantina d'anni: fu una delle piĂč importanti fortificazioni del Piemonte, in posizione di guardia all'imbocco della Valle d'Aosta.
AlternĂČ periodi di solitudine ad altri di vita intensa con l'arrivo dei principi che in tali occasioni organizzavano feste e ricevimenti a beneficio della nobiltĂ  canavesana e valdostana.
Si ricordano ad esempio, nel 1474, grandi festeggiamenti per il fidanzamento di Filiberto (di anni 9) figlio di Amedeo IX e di Jolanda di Francia, con Bianca Maria Sforza.
Nel 1522 le rosse torri furono testimoni di giorni di gioia, di feste, di tornei, con trattenimenti coinvolgenti tutto il popolo: in castello era nato il Principe di Piemonte, figlio del Duca Carlo III e di Beatrice di Portogallo.
Fu chiamato Adriano dal nome del Padrino Papa Adriano VI.
Grazie ad un testimone oculare degli avvenimenti, Ăš giunta a noi l'unica descrizione del castello in ogni sua parte.
Oggi lo spazioso cortile non conserva traccia dell'abitazione signorile.
Con il secolo XVII comincia la parabola discendente della maestosa costruzione.
Vi venne instaurato un carcere di Stato che ebbe vittima illustre, nel 1608, il segretario di Stato Pietro Leonardo Roncas, ingiustamente accusato di tradimento, e nel 1690 il conte di Rabenac, ambasciatore di Luigi XIV di Francia fautore di torbidi nel Piemonte.
In seguito il castello, avvilito sempre piĂč nella sua triste funzione, ci racconta solo storie di dolori aventi per protagonisti talvolta uomini innocenti o colpevoli di amor patrio e sentimenti libertari.
I numerosi eventi bellici susseguitisi nel corso dei secoli, come gli assedi subiti da Ivrea nel 1536, 1554, 1641 e 1704, impegnarono solo marginalmente il pur forte castello, senza arrecargli gravi danni.
Oggi sulla facciata che guarda la piazza, in una finzione di integritĂ  solo apparente, le belle bifore trilobate in pietra, testimonianza di grazia e di signorilitĂ , paiono voler mitigare il severo aspetto della fortezza.
â–ȘScritto da: u.t. [Ugo Torra]
â–ȘFonte: Illustri e sconosciuti delle vie di Ivrea e del Canavese.
â–ȘAnno: 1985
â–ȘIdea e realizzazione grafica di: Effe Ti

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05/10/2025

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đšđđđąÌ€ 5 ottobre 1224
La ripetizione giova, dice un proverbio, ma nei giuramenti guasta, poichĂ© li rende non altro che un’usanza.
đ˜ˆđ˜Żđ˜”đ˜°đ˜Żđ˜Ș𝘯𝘰 đ˜‰đ˜Šđ˜łđ˜”đ˜°đ˜­đ˜°đ˜”đ˜”đ˜Ș, đ˜€đ˜­đ˜ąđ˜Žđ˜Žđ˜Š 1834
- Elaborazione contenuti, đ™Žđ™”đ™”đ™Ž 𝚃𝙾 | |

“𝗔𝘀𝘀đ—Čđ—±đ—¶đ—Œ đ—Č đ—–đ—źđ—±đ˜‚đ˜đ—ź  𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑖𝑡𝑡𝑎’ 𝑑𝑖 đŒđ‘‰đ‘…đžđŽ, 28 𝑎𝑔𝑜𝑠𝑡𝑜 – 30 𝑠𝑒𝑡𝑡𝑒𝑚𝑏𝑟𝑒 1704â€đŒ 𝑏𝑜𝑚𝑏𝑎𝑟𝑑𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑒 𝑙’𝑜𝑐𝑐𝑱𝑝𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑀𝑜𝑛𝑡𝑎𝑙𝑡𝑜 đ·đ‘œđ‘Ÿđ‘Ž...
30/09/2025

“𝗔𝘀𝘀đ—Čđ—±đ—¶đ—Œ đ—Č đ—–đ—źđ—±đ˜‚đ˜đ—ź 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑖𝑡𝑡𝑎’ 𝑑𝑖 đŒđ‘‰đ‘…đžđŽ, 28 𝑎𝑔𝑜𝑠𝑡𝑜 – 30 𝑠𝑒𝑡𝑡𝑒𝑚𝑏𝑟𝑒 1704”
đŒ 𝑏𝑜𝑚𝑏𝑎𝑟𝑑𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑒 𝑙’𝑜𝑐𝑐𝑱𝑝𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑀𝑜𝑛𝑡𝑎𝑙𝑡𝑜 đ·đ‘œđ‘Ÿđ‘Ž.
𝗔 𝗜𝘃𝗿đ—Č𝗼 đ˜€đ—Œđ˜đ˜đ—Œ đ—čâ€™đ—¶đ—»đ—°đ—Čđ˜€đ˜€đ—źđ—»đ˜đ—Č bombardamento i Francesi riuscirono a penetrare nel camminamento coperto l’8 settembre e contemporaneamente VendĂŽme mandĂČ 3.000 Spagnoli ad occupare Montalto Dora a nord della cittĂ , bloccando ogni accesso dalla Valle d’Aosta.

𝗡đ—Čđ—čđ—č𝗼 𝘀𝘁đ—Č𝘀𝘀𝗼 đ—čđ˜‚đ—»đ—Žđ—ź đ—Žđ—¶đ—Œđ—żđ—»đ—źđ˜đ—ź lanciĂČ 4.000 cavalieri per guadare la Dora Baltea, ma venne contrattaccato con successo dalla cavalleria piemontese che li fece ritirare impedendone il guado.

𝗡đ—Čđ—čđ—č𝗼 đ—»đ—Œđ˜đ˜đ—Č đ—œđ—Œđ—¶ đ—¶ đ—™đ—żđ—źđ—»đ—°đ—Čđ˜€đ—¶ per due volte riuscirono a prendere e a perdere la ridotta di San Nazario, per i furiosi contrattacchi condotti dal San Martino e dal Kriechbaum accorsi con l’intero presidio.

I Francesi đ—œđ—Č𝗿𝘀đ—Čđ—żđ—Œ 150 uomini e i difensori ebbero 10 morti e 150 feriti fuori combattimento, In questa azione venne scoperta e sparata per la prima volta la batteria di San Michele che fece un gran macello di Francesi trovatisi completamente allo scoperto.

Il 12, il 13 e đ—œđ—Œđ—°đ—”đ—Č đ—Œđ—żđ—Č đ—œđ—żđ—¶đ—ș𝗼 đ—±đ—Čđ—č đ—Žđ—¶đ—Œđ—żđ—»đ—Œ 15 i difensori compirono tre audaci quanto feroci sortite: Kriechbaum aveva fatto preparare travi impegolate per gettarle ardenti sopra i nemici e grandi quantitĂ  di falci con lunghi manici e ancora tavole di legno con lunghi chiodi sporgenti piĂč di mezzo piede.

𝗜 đ—°đ—Œđ—șđ—Żđ—źđ˜đ˜đ—¶đ—șđ—Čđ—»đ˜đ—¶ đ—°đ—Œđ—żđ—œđ—Œ 𝗼 đ—°đ—Œđ—żđ—œđ—Œ si fecero sempre piĂč feroci, disperati.

Il 15 settembre la ridotta di San Nazario, strenuamente difesa per 15 giorni, cadde nelle mani francesi.

Ma ci fu tutto il tempo per minarla, cosicchĂ© quando si precipitarono in massa all’interno, I Piemontesi la fecero saltare: đ˜‚đ—»đ—ź đ—œđ—¶đ—Œđ—Žđ—Žđ—¶đ—ź đ—±đ—¶ đ—Żđ—żđ—źđ—»đ—±đ—Čđ—čđ—čđ—¶ 𝘂đ—șđ—źđ—»đ—¶, armi, pietre e polvere ricadde a terra subito dopo la deflagrazione: rimasero uccisi sul colpo 160 Francesi e 140 rimasero a terra feriti.

Ma ormai il sistema difensivo della cittĂ  di 𝗜𝘃𝗿đ—Č𝗼 𝘀𝘁𝗼𝘃𝗼 đ—°đ—Œđ—čđ—čđ—źđ˜€đ˜€đ—źđ—»đ—±đ—Œ: il 16 gli assedianti erano ormai padroni, dopo feroci combattimenti senza quartiere, di tutte le opere esteriori e di quasi tutti i bastioni.

𝗟đ—Č đ—ș𝘂𝗿𝗼 đ—±đ—Čđ—čđ—č𝗼 đ—°đ—¶đ˜đ˜đ—ź' đ—Čđ—żđ—źđ—»đ—Œ 𝘁𝗼đ—čđ—șđ—Čđ—»đ˜đ—Č rovinate dai bombardamenti che non potevano piĂč essere difese.

Il 18 il barone Perone di San Martino fece innalzare la bandiera bianca, dopo aver fatto sgomberare tutte le truppe e le artiglierie ancora utilizzabili nei forti della Castiglia e della Cittadella per l’ultima difesa.

30 settembre, appena transitĂČ l’ultimo soldato sul Ponte Canavese (oggi đ—Łđ—Œđ—»đ˜đ—Č đ—©đ—Čđ—°đ—°đ—”đ—¶đ—Œ) il barone diede l’ordine – per evitare l’assalto ai forti dal medesimo – di innescare i fornelli di mina scavati nell’antico ponte romano risalente al 100 a. C. đ—¶đ—č đ—Ÿđ˜‚đ—źđ—čđ—Č, đ˜€đ—°đ—Œđ—»đ—Ÿđ˜‚đ—źđ˜€đ˜€đ—źđ˜đ—Œ đ—±đ—źđ—čđ—čđ—Č đ—Čđ˜€đ—œđ—čđ—Œđ˜€đ—¶đ—Œđ—»đ—¶, crollo nella forra sottostante tra una nuvola di polveri e fumi.

Poco dopo i Francesi erano padroni della cittĂ , ma la battaglia continuava per prendere đ—¶đ—č đ—•đ—Œđ—żđ—Žđ—”đ—Čđ˜đ˜đ—Œ, đ—Œđ—żđ—șđ—źđ—¶ đ—¶đ˜€đ—Œđ—čđ—źđ˜đ—Œ, la Cittadella e la Castiglia.

â–ȘScritto da, Fabrizio Dassano
â–ȘHa collaborato, Effe Ti.
â–ȘFotocomposizione, Esse Emme.

Fonti:
‱ Archivio di stato di Torino, Materie Militari.
‱ Francesco Carandini, Vecchia Ivrea, Ivrea, Enrico Editore, 1963.
‱ Fabrizio Dassano, L’Assedio di Verrua del 1704 - 1705, in: Rivista Italiana Difesa, Anno 2002, N. 6, Genova.
‱ Wolfgang Oppenheimer, Eugenio di Savoia, Editoriale Nuova Italia, Milano, 1981.
‱ Carlo Trabucco, La volpe savoiarda e l’assedio di Torino, Torino Fogola, 1978.

đ™»'đ™·đ™Ÿ đ™»đ™Žđšƒđšƒđ™Ÿ đš‚đš„đ™» đ”œđ”žđ•Šđ•‹đ•† â„‚đ”žâ„•đ”žđ•đ”Œđ•Šđ”žâ„•đ•† đšđđđąÌ€ 25 settembre 1852Le virtĂč pubbliche sono madri delle virtĂč private.  đ˜ˆđ˜Żđ˜”đ˜°đ˜Żđ˜Ș𝘯𝘰 đ˜‰đ˜Šđ˜łđ˜”...
25/09/2025

đ™»'đ™·đ™Ÿ đ™»đ™Žđšƒđšƒđ™Ÿ đš‚đš„đ™» đ”œđ”žđ•Šđ•‹đ•† â„‚đ”žâ„•đ”žđ•đ”Œđ•Šđ”žâ„•đ•†
đšđđđąÌ€ 25 settembre 1852
Le virtĂč pubbliche sono madri delle virtĂč private.
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- Elaborazione contenuti, đ™Žđ™”đ™”đ™Ž 𝚃𝙾 |

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19/09/2025

đ—œđ—©đ—„đ—˜đ—”-đ—€đ—šđ—œđ—Ąđ—–đ—œđ—Ąđ—˜đ—§đ—§đ—ą | era un sabato mattina quando il 19 settembre 1885 fu aperto il tratto ferroviario da Ivrea a Quincinetto, di fatto "l'apertura" della galleria che permise ai treni di allora di passare "sotto" la cittĂ  attraverso la sua roccia metamorfica.
La storia della nostra ferrovia inizia il 22 maggio 1858 con l'apertura del tratto đ—–đ—”đ—¶đ˜ƒđ—źđ˜€đ˜€đ—Œ-𝗖𝗼đ—čđ˜‚đ˜€đ—Œ , seguito a poca distanza del tratto 𝗖𝗼đ—čđ˜‚đ˜€đ—Œ-𝗜𝘃𝗿đ—Č𝗼 precisamente il 5 novembre 1858.
A questo punto i lavori subirono un interruzione in quanto il tratto verso Aosta, essendo tipicamente alpino, richiese piĂč tempo per la sua realizzazione.
BisognerĂ  attendere appunto quel fatidico sabato di 140 anni fa quando fu transitabile il tratto đ—œđ—©đ—„đ—˜đ—”-đ—€đ—šđ—œđ—Ąđ—–đ—œđ—Ąđ—˜đ—§đ—§đ—ą che di fatto aprĂŹ la galleria al traffico ferroviario.
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â–ȘFonte: IVREA in ARMI di Roberto D'Angelo | racconto in 500 immagini di quando un abitante su tre era un militare.
▫Testo liberamente scritto da: Effe Ti.
â–ȘFoto galleria: Gi Gi.
▫Foto della stazione: Ivrea in Armi.

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15/09/2025

𝗜đ—čđ—čđ˜‚đ˜€đ˜đ—żđ—¶ đ—Č đ˜€đ—°đ—Œđ—»đ—Œđ˜€đ—°đ—¶đ˜‚đ˜đ—¶ đ—±đ—Čđ—čđ—čđ—Č đ˜ƒđ—¶đ—Č đ—±đ—¶ 𝗜𝘃𝗿đ—Č𝗼 - Amedeo di Castellamonte
IVREA, via dalla piazza Pistoni alla via Circonvallazione.

AMEDEO di CASTELLAMONTE - e suo padre Carlo, entrambi architetti ducali per quasi tre quarti di secolo, diedero il primo volto barocco al borgo torinese che, dal punto di vista urbanistico e architettonico, non aveva conosciuto né miserie medievali, né splendori rinascimentali, essendo rimasto pressoché fermo nel chiuso del reticolo d'epoca romana.
I primi ampliamenti pianificati della cittĂ  coincidono, con la sovranitĂ  di Carlo Emanuele 1, che nel 1584 ordinĂČ all'orvietano Ascanio Vittozzi il progetto per i portici di piazza Castello.
Fu alla scuola del Vittozzi che crebbe il Castellamonte padre, cioĂš il conte Carlo Cognenco, canavesano di probabile discendenza arduinica. divenuto in seguito molto magnifico Consigliere di Stato, Sovrintendente delle Fortezze e generale di artiglieria, primo ingegnere del Ducato, e come tale, autore del primo ampliamento di Torino e della piazza Reale, ora piazza San Carlo.
Da tanto padre nacque a Torino nel 1610 Amedeo Cognenco di Castellamonte, che si addottorĂČ primariamente in legge.
Ma piĂč che la toga, era l'architrave ad attrarlo, per cui ben presto apprese l'arte del costruire nello studio del padre, dietro la cui supplica, con patenti del 4 dicembre 1637, la Reggente Maria Cristina di Francia Concesse al «...Conte figliuolo d'applicarsi al servizio del A.S.R. e nostro».
Nel 1646, con la costruzione della chiesa di San Salvario, nell'attuale via Nizza, Amedeo di Castellamonte entra decisamente nella vita professionale e artistica e prima dello scadere dell'anno, firma il progetto del Palazzo Reale, di cui dirigerĂ  anche i lavori di costruzione dell'ala piĂč rappresentativa verso piazza Castello.
Da questo momento, quasi tutte le opere di una certa importanza che sorgono a Torino, passano per la matita del conte Amedeo, che viene nominato sovrintendente generale alle Fabbriche ed alle Fortificazioni, luogotenente di artiglieria e consigliere di Stato.
Nominato responsabile di ogni provvedimento di tipo edilizio in tutto il Piemonte, interviene anche per lavori di idraulica sulla Dora Baltea, a Borgofranco, e di sistemazione del castello di Ivrea.
Quale primo ingegnere di Stato, viene incaricato del secondo ampliamento di Torino, voluto da Carlo Emanuele II e della costruzione della «contrada di Po», iniziata da piazza Castello nel 1673.
Naturalmente venne proseguito il reticolo del primo ampliamento, ad eccezione della via in questione che doveva essere centrata su Palazzo Madama e sull'esistente ponte sul Po.
L'altezza delle costruzioni venne mantenuta pari a quella del primo ampliamento, cosi l'architettura di via Po, come quella della Via Nova del Vittozzi, avrĂ  un modulo estetico uniforme.
SarĂ  ancora Amedeo di Castellamonte a occuparsi dei progetti del castello del Valentino, della Villa della Regina e della Reggia di Diana in Venaria Reale.
Su questo «Real Palazzo di Piacere e di Caccia», ideato nel 1672, egli darà alle stampe un volume nel quale immagina d'illustrarne l'insieme ed i particolari al Bernini.
Rimasto vedovo della prima moglie Ippolita Dentis, nel 1667 sposa in seconde nozze Lodovica Duchi, mentre si moltiplicano i progetti di ogni entitĂ : dall'Accademia Reale e antistante Zecca, nel 1669, all'ospedale San Giovanni nel 1680, oltre agli innumerevoli palazzi costruiti per la nobiltĂ  piemontese in quegli anni, e altari di cappelle, apparati decorativi per le piĂč importanti ricorrenze.
Mori, per apoplessia, il 17 settembre 1683.
â–Ș Scritto da: a.e.t. [Aventino Emilio Tarpino]
â–ȘFonte: Illustri e sconosciuti delle vie di Ivrea e del Canavese.
â–ȘAnno: 1985
â–ȘIdea e realizzazione grafica di: Effe Ti

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05/09/2025

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đšđđđąÌ€ 5 settembre 1390
Il Conte Rosso di Savoia convita a cena le signore d’Ivrea
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- Elaborazione contenuti, đ™Žđ™”đ™”đ™Ž 𝚃𝙾 | |

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25/08/2025

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đšđđđąÌ€ 25 agosto 1385
“𝘚𝘩 đ˜Čđ˜¶đ˜Šđ˜Žđ˜”đ˜° đ—™đ—źđ˜€đ˜đ—Œ đ—–đ—źđ—»đ—źđ˜ƒđ—Čđ˜€đ—źđ—»đ—Œ 𝘹đ˜Șđ˜°đ˜·đ˜Šđ˜łđ˜ą' 𝘱 đ˜łđ˜Šđ˜Żđ˜„đ˜Šđ˜łđ˜Š đ˜±đ˜°đ˜±đ˜°đ˜­đ˜ąđ˜łđ˜Š 𝘭𝘱 đ˜Žđ˜”đ˜°đ˜łđ˜Ș𝘱 đ˜„đ˜Šđ˜­ 𝘼đ˜Ș𝘰 đ˜±đ˜ąđ˜Šđ˜Žđ˜Š 𝘧𝘳𝘱 đ˜Ș đ˜Šđ˜°đ˜źđ˜±đ˜ąđ˜”đ˜łđ˜Șđ˜°đ˜”đ˜Ș đ˜Šđ˜„ 𝘱 𝘧𝘱𝘳𝘭𝘱 đ˜€đ˜°đ˜Żđ˜°đ˜Žđ˜€đ˜Šđ˜łđ˜Š đ˜¶đ˜Ż đ˜±đ˜°đ˜€đ˜° 𝘱 đ˜”đ˜¶đ˜”đ˜”đ˜Ș 𝘹𝘭đ˜Ș đ˜ąđ˜­đ˜”đ˜łđ˜Ș đ˜đ˜”đ˜ąđ˜­đ˜Ș𝘱𝘯đ˜Ș, đ˜Ș𝘰 𝘼đ˜Ș đ˜łđ˜Šđ˜±đ˜¶đ˜”đ˜Šđ˜łđ˜°' 𝘳đ˜Ș𝘼𝘩𝘳đ˜Șđ˜”đ˜ąđ˜”đ˜° đ˜ąđ˜„ đ˜¶đ˜Žđ˜¶đ˜łđ˜ą đ˜„đ˜Šđ˜­đ˜­đ˜Š 𝘼đ˜Ș𝘩 đ˜§đ˜ąđ˜”đ˜Șđ˜€đ˜©đ˜Š 𝘩 𝘮𝘱𝘳ĂČ đ˜šđ˜łđ˜ąđ˜Żđ˜„đ˜Šđ˜źđ˜Šđ˜Żđ˜”đ˜Š 𝘰𝘣𝘣𝘭đ˜Șđ˜šđ˜ąđ˜”đ˜° 𝘱 đ˜Čđ˜¶đ˜Šđ˜Ș đ˜‹đ˜°đ˜€đ˜Šđ˜Żđ˜”đ˜Ș, đ˜€đ˜©đ˜Š đ˜·đ˜Ș đ˜ąđ˜·đ˜łđ˜ąđ˜Żđ˜Żđ˜° đ˜€đ˜°đ˜Żđ˜€đ˜°đ˜łđ˜Žđ˜°â€. đ˜ˆđ˜Żđ˜”đ˜°đ˜Żđ˜Ș𝘯𝘰 đ˜‰đ˜Šđ˜łđ˜”đ˜°đ˜­đ˜°đ˜”đ˜”đ˜Ș, đ˜€đ˜­đ˜ąđ˜Žđ˜Žđ˜Š 1834
- Elaborazione contenuti, đ™Žđ™”đ™”đ™Ž 𝚃𝙾 |

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15/08/2025

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IVREA, via dalla via Jervis alla via Pinchia.

FRANCESCO CARANDINI - Raro privilegio per Ivrea e per il Canavese poter vantare uno storico che Ăš stato il cantore della sua terra di origine.
Autore del libro Vecchia Ivrea, egli ha lasciato ai posteri un documentario prezioso, un'opera che se ogni regione avesse la fortuna di possedere, non vi sarebbe un solo angolo d'Italia ignorato o misconosciuto.
Francesco Carandini, marchese di Sarzano, discendente da famiglia modenese, nasceva nel 1858 a Colleretto nella casa dei cugini Giacosa.
Sua madre era canavesana ed egli fu uno dei piĂč illustri figli di questa terra per la quale dimostrĂČ sempre uno straordinario attaccamento.
Si laureo in legge all'UniversitĂ  di Torino.
Fin da giovane fu studioso di storia e di arte piemontese e canavesana.
Aveva appena 26 anni quanto fu nominato membro della Sezione di Storia dell'arte per l'Esposizione Generale Italiana del 1884, nella quale furono raccolti esempi dell'arte medioevale in Piemonte.
Era stata creata infatti una commissione artistica per il Borgo Medioevale ed egli ne segui la costruzione collaborando con D'Andrade, Avondo, Pastoris e Calandra.
Nel 1880 entrava nella carriera amministrativa.
Fu sottoprefetto a Biella dal 1904 al 1914; viceprefetto a Roma durante la prima guerra mondiale; in seguito prefetto a Forli, a Verona ed in Friuli.
Con l'avvento del fascismo, non condividendo il nuovo indirizzo politico, preferi ritirarsi nella sua Parella.
Qui era sempre ritornato in ogni momento libero, nella casa che si era fatto costruire su suo disegno sopra un poggio a vigna.
Amava la natura con un trasporto quasi francescano; era pittore e scrittore sensibilissimo.
Qui si dedicĂČ completamente ai suoi prediletti studi storici.
Membro della Società Piemontese di Storia Patria, scrisse diverse pubblicazioni tra cui «La Rocca e il Borgo Medioevale eretti in Torino dalla Sezione di Storia dell'arte e La figura di Alfredo D'Andrade».
Ma l'opera maggiore per cui viene ricordato Ú «Vecchia Ivrea».
Questo splendido volume, che l'autore definisce un assieme di notizie, di raffronti, di impressioni», Ú il frutto di anni di ricerche appassionate e minuziose.
Non Ú un trattato, né tantomeno un arido sfoggio di erudizione: Ú un libro scritto con la mente e col cuore, arricchito di preziose stampe antiche e di delicati disegni dello stesso autore.
Chi legge sente la sua presenza viva ed attenta ed Ăš condotto, quasi per mano, alla riscoperta di questa terra non solo nei suoi aspetti storici, culturali ed artistici, ma anche nelle sue bellezze naturali, nelle figure dei suoi cittadini piĂč rappresentativi, nelle sue tradizioni e nel suo folclore.
Nelle pagine scritte sulla storia del nostro Carnevale si intuisce la sua partecipazione entusiasta ed il suo sorriso affettuoso. .... che qualcuno si attenti a mancar di rispetto alla Mugnaia, a quel simbolo forte e gentile e tutta Ivrea sorgerà furibonda a difenderlo».
Sono qui riportati sia il testo della canzone del Carnevale, sia i brani musicali delle pifferate dei vari quartieri.
Diceva: Il Carnevale Ăš la cosa che gli Eporediesi fanno piĂč seriamente.
Nel dir ciĂČ non era ironico, ma compiaciuto.
Credeva nell'attaccamento della gente alla propria cultura e alle proprie tradizioni.
Aveva una personalitĂ  vibrante ed entusiasta.
Era un bell'uomo, affascinante: la figura eretta, il viso dai tratti aristocratici, folta barba e baffi imponenti, gli occhi vivacissimi.
Era un artista ed un esteta, era un gentiluomo nell'anima e nei modi: affabile, espansivo, arguto e modesto.
Aveva lo charme della semplicitĂ  e della naturalezza.
Visse a lungo e fu uno splendido vecchio che aveva conservato intatto l'ardore dell'anima, la luciditĂ  intellettuale, la fierezza e la dignitĂ  di tutta la sua vita profondamente buona ed onesta.
La sua figura caratteristica, che molti ancora ricordano, ispirava fiducia, rispetto ed ammirazione.
Gli eporediesi lo amarono molto e qualche anno prima della sua morte, che avvenne nel 1946, gli conferirono la cittadinanza onoraria di Ivrea.
â–ȘScritto da: a.t.r. [Anna Tos Ricci]
â–ȘFonte: Illustri e sconosciuti delle vie di Ivrea e del Canavese.
â–ȘAnno: 1985
â–ȘIdea e realizzazione grafica di: Effe Ti
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