Il Bestiario degli italiani, rivista

Il Bestiario degli italiani, rivista Rivista trimestrale

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Mamme! A malincuore, questa volta, il nostro appello è indirizzato a voi. Per la precisione ci rivolgiamo alle mamme che...
31/10/2025

Mamme! A malincuore, questa volta, il nostro appello è indirizzato a voi. Per la precisione ci rivolgiamo alle mamme che risiedono lungo tutta la Pen*sola, famosa per essere il nido caldo e accogliente di maschi che faticano a lasciarlo. Lo sapete che siete tutto per noi! Non vi abbandoneremmo mai! Ma ecco, è proprio di questo di cui vorremmo parlarvi. Ci ritroviamo costretti a dire qualcosa di impensabile, eppure dobbiamo. Vi chiediamo: deludete i vostri figli! Fate dei piccoli torti quotidiani ai vostri maschi! Sabotate con piccoli incidenti la loro permanenza nelle vostre case!  Servitegli, ad esempio, una lasagna sciapa, una parmigiana molle e insapore, delle polpette con del sugo carbonizzato. O astenetevi proprio dal cucinargli! Lasciateli con la bocca asciutta per obbligarli ad armeggiare con i fornelli. Per scoprire il fuoco prima del loro trentesimo compleanno. Ma vi diremo di più: confondeteli, spagliando i loro calzini, lasciate che i loro letti diventino il nuovo mercato di Wuhan, ricettacoli di virus mai scoperti, dimenticatevi il ferro da stiro acceso su di una loro camicia. Rispondete con uno spiazzante “non lo so” alla consueta domanda “Dove sono le mie mutande?” Come faranno altrimenti a preferire la vita da soli in un umido monolocale? Come avranno mai l’istinto di farsi una lavatrice? Come non potranno cercare il vostro sguardo negli occhi della loro futura moglie? Come non pretenderanno lo stesso trattamento nelle nuove case? Niente di più facile, di questi tempi, per arrivare giustamente dritti al divorzio! 
Sappiamo che fargli credere che non esiste posto più bello delle vostre case vi lusinga, e che il vostro sacrificio è ripagato semplicemente da quel bacio epifanico che vi schioccano all’improvviso. Ma signore non lasciatevi ingannare! Partecipate anche voi alla Storia!

Per scrivere l’editoriale in questi mesi le abbiamo provate tutte. Siamo andati al Festival del Maschio di Mica Macho, a...
30/10/2025

Per scrivere l’editoriale in questi mesi le abbiamo provate tutte. Siamo andati al Festival del Maschio di Mica Macho, abbiamo letto Zoja, la femminista Daisy Letourneur, La Cecla, Maschi in crisi? di Stefano Ciccone, visto i video di Galimberti e quelli dei The pills, comprato il numero dell’Integrale di Iperborea sul maschio, parlato con i nostri padri, con giornalisti, antropologi, con gente per la strada. Eppure, sarà che ne siamo immersi fino al collo, ma tutti i discorsi, nessuno escluso, in qualche modo finivano per contraddirsi. Oppure finivano per dire qualcosa che suonava patriarcale, autocensurandosi, il secondo dopo. Noi abbiamo deciso perciò di essere onesti e riportare una nostra conversazione sull’argomento che potesse introdurci in questo viaggio controverso per far emergere le ombre e anche le luci del mondo maschile. La conversazione integrale la trovate sul nostro sito www.ilbestiariorivista.com

Scrivere questo editoriale è stato più complicato del previsto. E infatti non lo abbiamo fatto. Avevamo deciso di dedica...
29/10/2025

Scrivere questo editoriale è stato più complicato del previsto. E infatti non lo abbiamo fatto.

Avevamo deciso di dedicare questo numero al Maschio, sicuri di poterci addentrare facilmente in un argomento, oggi, sulla bocca di tutti. E come sempre siamo partiti da una nostra esigenza. Più precisamente dalla domanda che uno di noi si è posto alla notizia di diventare padre di un bambino, di un maschio per l’appunto. “Che giocattoli comprerò a mio figlio? Le macchinine, certo. L’allegro chirurgo, anche. E una Barbie?”. Come si può immaginare, dare una risposta sicura di questi tempi di decostruzioni culturali non è facile. La domanda infatti è rimasta senza risposta.
Ma è stata proprio questa complessità che ci ha spinti ad indagare: cosa significa essere maschi oggi? È vero che il maschio è in crisi? Anche qui risposte non certe, tentativi di trovare soluzioni in mondi primordiali, ricerca di analisi scientifiche ma mai esaustive. Ed è per questo motivo che abbiamo scelto di scrivere un editoriale onesto in forma di conversazione, organizzando il materiale che è uscito fuori dalle nostre conversazioni, dalle nostre letture, dai confronti, dalle contraddizioni e riflessioni in questi due mesi spesi a capirci qualcosa in più.

Se volete leggere il numero più complicato da partorire, acquistatelo subito in prevendita! Vi arriverà freschissimo di stampa.

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Ultimamente stiamo raccogliendo testimonianze di quanto il telefono sia un ospite ingombrante nelle nostre vite. In effe...
08/10/2025

Ultimamente stiamo raccogliendo testimonianze di quanto il telefono sia un ospite ingombrante nelle nostre vite. In effetti quando si è presentato la prima volta, lo abbiamo accolto come se nulla fosse. Come un nuovo coinquilino simpatico, utile, intrattenente. Ma innocuo, anzi gradito. Alcuni, più diffidenti, hanno titubato quel poco da sembrare che potessero farne a meno, ma poi lo hanno fatto accomodare. E ora, dopo qualche anno di convivenza sempre più stretta, si è piazzato nella stanze, anche quelle più intime del quotidiano. Dorme accanto ai nostri letti, ci segue in bagno, ci intrattiene a cena, ci accompagna a lavoro. Una presenza costante. E imprescindibile. Perché se accoglierlo ci è sembrata una nostra scelta, cacciarlo è impensabile! E ora ci viene il sospetto: non è che gli ospiti siamo noi? In effetti ci sentiamo inopportuni a interrompere una sessione di scrolling altrui. O quando vediamo qualcuno parlare al telefono ci scusiamo per l’invadenza.
Siamo noi l’interruzione? il disturbo? L’intralcio ad una relazione ben più costante e solida, quella tra una persona e il suo telefono?
Ma come in tutte le relazioni che si rispettino- ahimè- anche questa non è perfetta. E i più sensibili cominciano a soffrirne. Criticità, problemi, tradimenti, distacchi, tossicità, dipendenze. Abbiamo così provato a definire dei profili di amanti telefonici. E voi, in chi vi riconoscete?

Accade così. In principio sento un prurito, una f***a, un colpo di tosse. O mi accorgo di un neo nuovo, di un gonfiore. ...
30/09/2025

Accade così. In principio sento un prurito, una f***a, un colpo di tosse. O mi accorgo di un neo nuovo, di un gonfiore. Una microscopica stranezza che sembra insinuarsi nei meccanismi del normale funzionamento del mio corpo. E che ignoro. O almeno ci provo. Perché, intanto, ho già preso a domandarmi da quanto avverto quel dolore, a toccarmi ripetutamente in quel punto, a guardarmi sospetta allo specchio in cerca di qualche indizio. E nel dedalo di interrogativi che orbitano intorno alla mia testa, mi ritrovo a tamburellare sulla tastiera per dedicarmi ad un’attività fallimentare già dal principio: l’autodiagnosi.
Eppure la mia intenzione è ingenuamente nobile: cercare una risposta che possa aiutarmi a scongiurare il peggio per le prossime ore. Ma lo so già. Quello che si dipana davanti agli occhi è un ventaglio di patologie esotiche, rare, o già debellate da secoli che, dopo un tempo minimo di ricerca, sento di avere tutte. Perché l’autodiagnosi conduce ad una cosa sola: la peggiore. Sul sito Medici senza laurea il primo elemento a incanalarmi in un tunnel di sospetti sulla gravità dei miei sintomi è la foto che campeggia al centro della schermata. Un’immagine enigmatica di una persona, la cui espressione da Gioconda, muta in base all’angolazione in cui la guardo. Un sorriso di benessere, quando inclino la testa a sinistra, oppure una smorfia ineludibile di dolore, quando mi sporgo sulla destra? E mentre sono intenta ad andare avanti con il mouse per capire cosa voglia dire quel benedetto prurito - che a pensar bene non so nemmeno più se lo senta per davvero - la diagnosi è sullo schermo. Ma non è mai univoca, è una serie di “potrebbe essere” in ordine crescente di gravità che tiro ad indovinare quale possa avvicinarsi al mio malessere.

Categoria umana oltre il bello e il brutto, il pelato rappresenta una terza via estetica: il pelato è pelato, e basta. C...
25/09/2025

Categoria umana oltre il bello e il brutto, il pelato rappresenta una terza via estetica: il pelato è pelato, e basta. C’è a chi piace, a chi “non disturba”, chi lo detesta, chi lo trova bizzarro. Un uomo pelato è sempre menzionato in un discorso, almeno all’inizio, per ciò che non ha, i capelli: la sua presenza è manifestata da un’assenza. Facendo un passo indietro, si scopre che dietro ogni pelato c’è un percorso umano completamente diverso da quello dei normali capellitenenti. Infatti già nella tarda adolescenza, la macchia pallida della tempia dischiude al ragazzo uno spiraglio del segreto nero della vita: le cose un giorno finiranno. Ma tutto questo fa onore a voi, amici calvi.Ogni pensiero triste è un invito alla battaglia quotidiana, quella più intima e faticosa: quella contro se stessi. Chi porta in testa il segno dello scorrere inesorabile del tempo si trasforma così in un filosofo. Alla malinconia oppone l’ironia, alla calvizie l’intelligenza e il savoir-faire, finché giunge al gesto estremo, l’atto di libertà di chi ha scelto la propria legge: radersi a zero. Quello che prima si pensava fosse un difetto, ora viene manifestato con spavalderia. Si è resistiti alle sfilati dei capelloni, dalla vita facile, leggeri nel rimorchio, depositari di fiducia sociale. Si è resistiti all’invito esotico della Turchia. Cedervi sarebbe stato bello e più facile, ma a quale prezzo? Il tradimento della propria natura e la condanna ad una vita sempre in fuga. Pensando ora ai benefici di una rasatura completa, si valutino - in ordine crescente di benessere - i risparmi: il denaro - niente parrucchiere,o prodotti costosissimo a lenta e opinabile effetto quali Minoxidil, Carexidil, Propecia; il tempo - basta con docce dai risciacqui prolungati, phon e pettinatura.E i ricavi: sicurezza - di chi è passato per il lato oscuro dell’esistenza e ne è uscito vivo e vero; le percezioni - la testa ora, come un’antenna, è un termometro attraverso cui percepire meglio il mondo; le sensazioni - avete mai provato il massaggio alla testa?

Eccoci con un altro indizio per scoprire il tema del nuovo numero. Il primo ad indovinare, commentando qui sotto, vince un abbonamento gratuito ‼️

Siamo spariti di nuovo. Potremmo dirti che la nostra assenza è dovuta al fatto che siamo sull’orlo del fallimento, o che...
23/09/2025

Siamo spariti di nuovo. Potremmo dirti che la nostra assenza è dovuta al fatto che siamo sull’orlo del fallimento, o che siamo stati rapiti dagli alieni (o da Lanthimos), o che abbiamo deciso di lanciare una linea di moda rivoluzionaria che rende romantica la disillusione producendo felpe in cui ci definiamo orgogliosamente dei sottoni.
Ma la realtà è sempre la stessa. Ci risiamo: stiamo creando un nuovo numero. E per farlo abbiamo capito che l’isolamento è l’unico strumento che ci permette di focalizzarci sull’argomento.
Eppure se scegli di sottrarti dal mondo digitale per un istante, quello dopo potresti non esserci già più. E quindi per convalidare la nostra esistenza su questo pianeta e per timore che tu ti sia dimenticato di noi ti condividiamo una breve riflessione estemporanea.
C’entrerà qualcosa sul nuovo tema? Boh, chi lo sà.

Il primo che commenta qui sotto indovinando l’argomento del prossimo numero vincerà un abbonamento gratis! 👇👇

In Estate anche la TV non voleva saperne più niente fino a Settembre. Per fortuna però restava il Gabibbo, insieme a Jul...
18/08/2025

In Estate anche la TV non voleva saperne più niente fino a Settembre. Per fortuna però restava il Gabibbo, insieme a Juliana Moreira a colorare il post TG5: erano gli anni d’oro di Paperissima Sprint. Categoria homemade, i performers di quelle papere potevano essere tutti, anche tu, anzi, “ti mando a Paperissima” era una minaccia. Il riso, infatti, emerge dalla rottura di uno schema predefinito, per questo si dice “scoppiare a ridere”; perché il comico irrompe nella vita come un petardo. È sempre per questo che lo humor diventa facilmente black humor, per il germe di tragico che c’è in ogni tipo di rottura, per la possibilità del male, che si rischia semplicemente essendo esposti alle casualità del mondo. Ma la possibilità di finire a Paperissima Sprint implicava un presupposto logistico ormai scontato: essere ripresi. Fino all’avvento degli smartphones, la gag era un mix di eventi perfettamente allineati dal caso, infatti le tre macrocategorie che fino al 2015 hanno monopolizzato le Papere italiane erano, di fatto, le categorie che più capitava di registrare a prescindere: animali, bambini, acrobazie e matrimoni.
Oggi, avrete notato che la fenomenologia di Paperissima è ormai profondamente diversa, perché è saltato quel guizzo di provvidenziale coincidenza: la sovraesposizione generale di noi stessi davanti alle nostre stesse telecamere ha moltiplicato all’infinito la possibilità statistica di riprendere un momento divertente, un passaggio comico, al punto da rendere sempre più difficile la spontaneità della “rottura” di cui sopra. Insomma, vivere in questo perpetuo stato di reality-show ha sciacquato i miracoli dell’accidente, della congiunzione mistica di decidere di registrare proprio nel momento in cui accadeva la caduta, l’espressione, l’evento. Insomma, la spontaneità dei fatti è nascosta dall’atroce sospetto che dietro ci sia un progetto, un ulteriore schema al posto di ciò che un tempo li sbaragliava, gli schemi, e il tutto contribuisce a un senso del grottesco più che del goffo, dell’inquietante più che del divertente. 
L’estate ha un rito in meno, domani andrai a lavoro come sempre, tua nonna non c’è più, sei cresciuto e lo sai.

Il ferragosto, in una grande città, ma anche in una di medie dimensioni, è un’esperienza che ha più a che fare con la mo...
15/08/2025

Il ferragosto, in una grande città, ma anche in una di medie dimensioni, è un’esperienza che ha più a che fare con la morte che con la vita. Non in un senso, per così dire, biologico ma qualcosa che sa di mito, di funerale, di dopostoria. Il caldo che arriva a folate, come scorrerie di gendarmi, ti stana senza vergogna, ti umilia con la sua assurdità nel tuo pezzo d’ombra dove avevi trovato tregua. La città vista al solleone è un teatro dismesso, lunare, da extraterrestri. Gli unici che puoi scorgere ad attraversare una strada sono i cani, e i vecchi, che in certi momenti paiono invece ectoplasmi, figure uscite dalla fantasia di un medium, evanescenti, simbolici, come se venissero a parlare solo a te in sogno. I turisti anche sembrano partecipare a questa apocalisse agostana, le facce paonazze traliscono ad ogni riflesso nella fontana immobile, e i monumenti, i ruderi, i pezzi di strada si stagliano nel riverbero denso del suolo come fossili preistorici, carcasse di animali antichissimi, e così le macchine ed i motorini scoloriti ed abbandonati. Ma nonostante ciò il ferragosto cittadino in alcuni istanti sembra far parte della vita, con prepotenza, quando la città improvvisamente ti offre uno scorcio inimmaginato, un angolo normalmente coperto dalle cose dei giorni ordinari appare nella sua gratuità, si rivela, e così una dopo l’altra le nascoste meraviglie di una città ritornata al suo anno zero - come creata dalla tua fantasia - si svelano e seguendo questa trama, senza averlo capito, il ferragosto è finito.

Poiché a vent’anni bramavo tutto, ebbi troppo. Troppe multe, prese con la leggerezza dei gesti irripetibili. Troppe si**...
11/08/2025

Poiché a vent’anni bramavo tutto, ebbi troppo. Troppe multe, prese con la leggerezza dei gesti irripetibili. Troppe si*****te, fumate più per posa che per vizio. Troppi tatuaggi, incisi con la presunzione di avere qualcosa da dire. Recitavo l’adulto. Collezionavo simboli di maturità: orologi, citazioni, abiti stropicciati ad arte. Convinto che bastasse imitare per diventare. Ho finto di sapere, di potere, di essere. E, nell’attesa di diventare autentico, ho scelto il superfluo. La semplicità mi metteva a disagio. La consideravo l’ultima spiaggia di chi aveva rinunciato al resto. Mi sbagliavo. Eppure il superfluo è stato il mio apprendistato sentimentale. Un’educazione all’errore, ma anche una difesa: più cose metti tra te e il mondo, meno rischi di sentirlo. Ma poi arriva l’imbuto. E stringe. All’inizio l’imbuto non si fa notare. Sembra solo stanchezza. Fastidio per le conversazioni inutili, insofferenza verso certi luoghi, certe persone. Poi ti accorgi che non è stanchezza: è un rifiuto. Un bisogno nuovo di vuoto, di margini. Non puoi più permetterti tutto. Inizi a distinguere e a sottrarre, a scegliere. Capisci che l’essenziale non è poco. È esatto. È l’unico lusso che non puoi comprare. Ma attenzione: arriva come una sottrazione forzata. Come quando svuoti una stanza per traslocare, e capisci solo dopo cosa davvero avevi. Ho capito che crescere non è un accumulo, ma una liberazione. Una rivolta silenziosa contro tutto ciò che era rumore mascherato da vita. E che l’essenziale non è solo ciò che resta: è ciò che ti resta accanto. Le poche cose che non ti chiedono di essere altro da te. Oggi mi bastano tre camicie buone. Due amici che sappiano quando tacere. Un gesto quotidiano che sappia durare. Non voglio più tutto. Ho imparato la grammatica della mancanza. Ho imparato che l’abbondanza non educa, ma disorienta. Che il troppo è uno spazio dove puoi stare solo per un po’. Il superfluo non lo rimpiango ma lo ringrazio. Mi ha insegnato cosa vale e cosa non. Il superfluo della giovinezza non si può delegare, né comprimere. Va vissuto, tutto, con leggerezza, con errore e con vanità.

In una pasticceria - in attesa di concederci la nostra pastarella quotidiana - abbiamo assistito ad una conversazione. D...
31/07/2025

In una pasticceria - in attesa di concederci la nostra pastarella quotidiana - abbiamo assistito ad una conversazione. Due ragazze e la proprietaria si accordavano sulla la torta di compleanno da ordinare. E quando la donna aveva chiesto il nome della festeggiata da riportare sullo strato di panna, le due ragazze avevano preso a rimpallarsi frasi sconclusionate del tipo «antipatica ascendente permalosa”, «30 anni di amarezze e psicoanalisi». Per poi scegliere: «Born to fare schifo». La donna, senza molte cerimonie, aveva replicato che la sua pasticceria non faceva torte di quel tipo e aveva chiuso lì il discorso. Una volta soddisfatto il nostro capriccio ad alto tasso glicemico, ci siamo fatti un po’ di domande. Da quanto tempo c’era questa esigenza di doverci descrivere in una frase con una narrazione così negativa e superficiale? A ben pensarci, oggi ci viene costantemente richiesto di descriverci nel mondo del web. Proprio perché l’incontro avviene attraverso uno schermo, ci affidiamo alla parola scritta per dire chi siamo. Ma che fatica! Un’autonarrazione originale che deve distinguerci su Tinder, colpire su LinkedIn, incuriosire su Instagram. Così ci siamo accorti di una tendenza molto funzionale: scegliere frasi già impacchettate, come sticker da appiccicarsi per costruire un brand personale. “Sti cazzi” è stampato sulla borsa di tela; “Lo sai chi ti saluta? “Sto cazzo”” è scritto sullo zerbino. La lingua grezza e volgare è lo status symbol di chi fa finta di non prendersi troppo sul serio. Un modo di comunicare, senza sforzo e contenuto, per sembrare spontanei. Quando possedere questo merch è una posa. Perché un’altra moda è quella di raccontarsi con autoironia, elemento oramai essenziale in qualsiasi speech pubblico. Esporre i propri difetti con umorismo, è la chiave per generare empatia. E ora che le differenze identitarie — politiche, culturali, ideologiche — si sono svuotate di significato, non resta che costruire la personalità attorno al consumo di gadget parlanti. Perché, in quest’immaginario collettivo, dichiarare ”Piscio in mare” su un asciugamano ha il valore di una conquista che merita di essere sventolata, come una bandiera in cielo.

Durante la Belle Époque venne presentata la prima insegna commerciale a tubo luminoso al Grand Palais di Parigi, invenzi...
28/07/2025

Durante la Belle Époque venne presentata la prima insegna commerciale a tubo luminoso al Grand Palais di Parigi, invenzione del chimico George Claude; mentre il suo collaboratore Jacques Fonseque ne intuì il potenziale commerciale e ne vendette la prima della storia a un barber shop. In tempi più recenti, il neon è così apprezzato da essere riprodotto come arredamento estetico. Tra i neon più fotografati, colpisce che vi siano le frasi. La parola isolata, la frase decontestualizzata, è sufficiente per appagare l’estetica. L’idea che la lingua materna plasmi le strutture cognitive dell’individuo da ritenere che si pensa in un determinato modo perché si parla una certa lingua è alla base della teoria del relativismo linguistico centenaria dei linguisti Saphir-Whorf. E l’impoverimento del linguaggio non è mai innocente; ma a dispetto della dittatura distopica di Orwell per additare gli onomaturgi della neolingua dobbiamo guardarci allo specchio. Chi perde tempo con le sottigliezze linguistiche, i sinonimi ad esempio, coltiva un vezzo demodé. Il tempo è prezioso, la scrittura oziosa. I figli del secolo inviano le note vocali e ricorrono alle emoji. A tempi frenetici corrispondono messaggi altrettanto rapidi: l’urgenza della risposta è più importante della risposta stessa. Tutto ciò, a scapito della qualità. Trent’anni fa, usciva Chavalier de Pas un brano di Vecchioni dedicato a Pessoa. La traccia racconta i tormenti del poeta, con la pioggia obliqua di Lisbona sullo sfondo, che abbandona Ofelia per assecondare il bisogno di scrivere; scrivere per cercare un senso che non c’è. La scrittura era un’urgenza esistenziale, riempiva le notti, di tormenti o di eccessi. Oggi, chi scrive è fuori moda, a meno che non sia per fini commerciali, editoriali, scientifici, dunque la scrittura a scopo di lucro. Abbandonarsi al gesto gratuito della carta-e-penna è fuori tempo massimo e chi perde tempo con le sottigliezze linguistiche è stigmatizzato come illuso o nullafacente. Perché il tempo è prezioso, la scrittura oziosa. Ed è vero che le lettere fanno ridere. Ma è vero anche che solo chi non ha scritto mai lettere d’amore fa veramente ridere.
Estratto dal n.24

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