Il Bestiario degli italiani, rivista

Il Bestiario degli italiani, rivista Rivista trimestrale

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In Estate anche la TV non voleva saperne più niente fino a Settembre. Per fortuna però restava il Gabibbo, insieme a Jul...
18/08/2025

In Estate anche la TV non voleva saperne più niente fino a Settembre. Per fortuna però restava il Gabibbo, insieme a Juliana Moreira a colorare il post TG5: erano gli anni d’oro di Paperissima Sprint. Categoria homemade, i performers di quelle papere potevano essere tutti, anche tu, anzi, “ti mando a Paperissima” era una minaccia. Il riso, infatti, emerge dalla rottura di uno schema predefinito, per questo si dice “scoppiare a ridere”; perché il comico irrompe nella vita come un petardo. È sempre per questo che lo humor diventa facilmente black humor, per il germe di tragico che c’è in ogni tipo di rottura, per la possibilità del male, che si rischia semplicemente essendo esposti alle casualità del mondo. Ma la possibilità di finire a Paperissima Sprint implicava un presupposto logistico ormai scontato: essere ripresi. Fino all’avvento degli smartphones, la gag era un mix di eventi perfettamente allineati dal caso, infatti le tre macrocategorie che fino al 2015 hanno monopolizzato le Papere italiane erano, di fatto, le categorie che più capitava di registrare a prescindere: animali, bambini, acrobazie e matrimoni.
Oggi, avrete notato che la fenomenologia di Paperissima è ormai profondamente diversa, perché è saltato quel guizzo di provvidenziale coincidenza: la sovraesposizione generale di noi stessi davanti alle nostre stesse telecamere ha moltiplicato all’infinito la possibilità statistica di riprendere un momento divertente, un passaggio comico, al punto da rendere sempre più difficile la spontaneità della “rottura” di cui sopra. Insomma, vivere in questo perpetuo stato di reality-show ha sciacquato i miracoli dell’accidente, della congiunzione mistica di decidere di registrare proprio nel momento in cui accadeva la caduta, l’espressione, l’evento. Insomma, la spontaneità dei fatti è nascosta dall’atroce sospetto che dietro ci sia un progetto, un ulteriore schema al posto di ciò che un tempo li sbaragliava, gli schemi, e il tutto contribuisce a un senso del grottesco più che del goffo, dell’inquietante più che del divertente. 
L’estate ha un rito in meno, domani andrai a lavoro come sempre, tua nonna non c’è più, sei cresciuto e lo sai.

Il ferragosto, in una grande città, ma anche in una di medie dimensioni, è un’esperienza che ha più a che fare con la mo...
15/08/2025

Il ferragosto, in una grande città, ma anche in una di medie dimensioni, è un’esperienza che ha più a che fare con la morte che con la vita. Non in un senso, per così dire, biologico ma qualcosa che sa di mito, di funerale, di dopostoria. Il caldo che arriva a folate, come scorrerie di gendarmi, ti stana senza vergogna, ti umilia con la sua assurdità nel tuo pezzo d’ombra dove avevi trovato tregua. La città vista al solleone è un teatro dismesso, lunare, da extraterrestri. Gli unici che puoi scorgere ad attraversare una strada sono i cani, e i vecchi, che in certi momenti paiono invece ectoplasmi, figure uscite dalla fantasia di un medium, evanescenti, simbolici, come se venissero a parlare solo a te in sogno. I turisti anche sembrano partecipare a questa apocalisse agostana, le facce paonazze traliscono ad ogni riflesso nella fontana immobile, e i monumenti, i ruderi, i pezzi di strada si stagliano nel riverbero denso del suolo come fossili preistorici, carcasse di animali antichissimi, e così le macchine ed i motorini scoloriti ed abbandonati. Ma nonostante ciò il ferragosto cittadino in alcuni istanti sembra far parte della vita, con prepotenza, quando la città improvvisamente ti offre uno scorcio inimmaginato, un angolo normalmente coperto dalle cose dei giorni ordinari appare nella sua gratuità, si rivela, e così una dopo l’altra le nascoste meraviglie di una città ritornata al suo anno zero - come creata dalla tua fantasia - si svelano e seguendo questa trama, senza averlo capito, il ferragosto è finito.

Poiché a vent’anni bramavo tutto, ebbi troppo. Troppe multe, prese con la leggerezza dei gesti irripetibili. Troppe si**...
11/08/2025

Poiché a vent’anni bramavo tutto, ebbi troppo. Troppe multe, prese con la leggerezza dei gesti irripetibili. Troppe si*****te, fumate più per posa che per vizio. Troppi tatuaggi, incisi con la presunzione di avere qualcosa da dire. Recitavo l’adulto. Collezionavo simboli di maturità: orologi, citazioni, abiti stropicciati ad arte. Convinto che bastasse imitare per diventare. Ho finto di sapere, di potere, di essere. E, nell’attesa di diventare autentico, ho scelto il superfluo. La semplicità mi metteva a disagio. La consideravo l’ultima spiaggia di chi aveva rinunciato al resto. Mi sbagliavo. Eppure il superfluo è stato il mio apprendistato sentimentale. Un’educazione all’errore, ma anche una difesa: più cose metti tra te e il mondo, meno rischi di sentirlo. Ma poi arriva l’imbuto. E stringe. All’inizio l’imbuto non si fa notare. Sembra solo stanchezza. Fastidio per le conversazioni inutili, insofferenza verso certi luoghi, certe persone. Poi ti accorgi che non è stanchezza: è un rifiuto. Un bisogno nuovo di vuoto, di margini. Non puoi più permetterti tutto. Inizi a distinguere e a sottrarre, a scegliere. Capisci che l’essenziale non è poco. È esatto. È l’unico lusso che non puoi comprare. Ma attenzione: arriva come una sottrazione forzata. Come quando svuoti una stanza per traslocare, e capisci solo dopo cosa davvero avevi. Ho capito che crescere non è un accumulo, ma una liberazione. Una rivolta silenziosa contro tutto ciò che era rumore mascherato da vita. E che l’essenziale non è solo ciò che resta: è ciò che ti resta accanto. Le poche cose che non ti chiedono di essere altro da te. Oggi mi bastano tre camicie buone. Due amici che sappiano quando tacere. Un gesto quotidiano che sappia durare. Non voglio più tutto. Ho imparato la grammatica della mancanza. Ho imparato che l’abbondanza non educa, ma disorienta. Che il troppo è uno spazio dove puoi stare solo per un po’. Il superfluo non lo rimpiango ma lo ringrazio. Mi ha insegnato cosa vale e cosa non. Il superfluo della giovinezza non si può delegare, né comprimere. Va vissuto, tutto, con leggerezza, con errore e con vanità.

Faremo delle riflessioni saltuarie, nel senso di saltellanti (e questo già dà una certa idea della precisione con cui si...
07/08/2025

Faremo delle riflessioni saltuarie, nel senso di saltellanti (e questo già dà una certa idea della precisione con cui si procederà). Innanzitutto non è chiaro se ad agosto la vita sia più intensa o meno intensa. Voglio dire, la vita è più presente in una camera afosa con dei goccioloni lucidi di sudore che grondano lentissimamente, oppure nei ritmi frenetici di un mercoledì di novembre? Vive di più Proust o Moccia? Io una risposta ce l’avrei, ma è più un modo (tra l’altro banale) di sottrarsi alla domanda: l’intensità della vita è sempre equamente distribuita, è una strana funzione, estremamente variabile, ma che integrata in qualsiasi intervallo di tempo ha sempre somma costante. Dico una ca***ta: la ricorsività è insopportabile. A proposito di ricorsività, agosto potrebbe benissimo essere consacrato al ricordo di alcune divinità o idoli. Supponiamo che non sia corretto spendere un’intera vita nella ripetizione volontaria, nella rilettura asfissiante di cose e vite precedenti. Ovviamente appare bellissimo, come tutte le cose estreme, ma supponiamo che non sia corretto. Ebbene, potremmo arrivare al compromesso di un solo mese su dodici. Se avessi il potere di legiferare in tal senso, probabilmente chiederei di cominciare da Massimo Troisi. Non tutti, ovviamente: solo chi se la sente. Chi ha voglia va a farsi i bagni a mare; chi non ha voglia si incolla ai video di Troisi che stanno su YouTube e studia dettagliatamente i gesti, la bocca, le smorfie, la bocca, i gesti. Le parole meno, essendo meno importanti, in questo e in altri casi. Alla fine del mese, ove il candidato si sentisse pronto, allestisce in cameretta delle brevi rappresentazioni da inscenare davanti ai nonni e i fratelli minori, per ricordare e tramandare. Dico una ca***ta: agosto è trādere. A proposito di tradimenti, è paradossale che il campionato di calcio cominci ad agosto. Nulla dovrebbe cominciare ad agosto, per i pochi motivi sopra elencati e per tutti quelli taciuti. Aggiungo solo che in agosto non bisognerebbe mai parlare di soldi, e che a tavola non bisognerebbe mai parlare di cibo.

Passeggiando per Roma abbiamo avuto l’illusione di vivere in una grande metropoli. Respirare l’aria progressista della g...
04/08/2025

Passeggiando per Roma abbiamo avuto l’illusione di vivere in una grande metropoli. Respirare l’aria progressista della globalizzazione. Ma poi siamo rinsaviti quando per prendere un gelato devi scaricarti un’app, per una carbonara spendi tutta la tredicesima e quando scopri che Castel Sant’Angelo non lo rivedrai mai più – se non fai un sit-in di tre giorni davanti alla biglietteria insieme al cast di Squid Game. Allora capisci che ci hanno inculato. E che il turismo è la più grande impostura di questo secolo. Tutta la città si adegua al pregiudizio che il turista ha di Roma, che non ha niente a che fare con Roma, ma all’amplificazione artificiale di quei costumi che crediamo possano piacere di più allo straniero. Così dobbiamo cambiare noi per compiacerlo, e Roma, quella reale, si conforma all’immaginario che altrove si è creato di essa. Quindi ben vengano tutte le iniziative alla Tourist Go Home, che invitano a mettere gomme da masticare sui lucchetti con le chiavi degli Airbnb sparsi nel centro della città. Che si tassino i locatori senza pietà, che si buchino le gomme agli autobus a due piani che intasano il Lungotevere. Queste scappatoie, però, ci ricordano quegli stucchevoli suggerimenti di Parise contro la società dei consumi, nel libro Il Rimedio è la povertà. «Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. [...] Necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l’automobile, le motociclette, le famose e cretinissime “barche”». Parise era un grande ma queste sono tutte cazzate con cui probabilmente si è comprato una barchetta. Nei fatti, non lo ha ascoltato nessuno. Se le persone possono scegliere tra una cosa giusta che comporta fatica e impegno e una sbagliata ma facile da fare, opteranno per la seconda. Con in mano un qualsiasi mezzo, l’umanità lo impiegherà sempre nel peggiore dei modi possibili. Vedi l'Intelligenza artificiale. La useremo per fare più guerre e per cambiare i pannoloni agli anziani. Siamo fatti così, siamo belli anche per questo. E lo stesso vale per il turismo: se porta soldi facili, allora vincerà sempre.

In una pasticceria - in attesa di concederci la nostra pastarella quotidiana - abbiamo assistito ad una conversazione. D...
31/07/2025

In una pasticceria - in attesa di concederci la nostra pastarella quotidiana - abbiamo assistito ad una conversazione. Due ragazze e la proprietaria si accordavano sulla la torta di compleanno da ordinare. E quando la donna aveva chiesto il nome della festeggiata da riportare sullo strato di panna, le due ragazze avevano preso a rimpallarsi frasi sconclusionate del tipo «antipatica ascendente permalosa”, «30 anni di amarezze e psicoanalisi». Per poi scegliere: «Born to fare schifo». La donna, senza molte cerimonie, aveva replicato che la sua pasticceria non faceva torte di quel tipo e aveva chiuso lì il discorso. Una volta soddisfatto il nostro capriccio ad alto tasso glicemico, ci siamo fatti un po’ di domande. Da quando tempo c’era questa esigenza di doverci descrivere in una frase con una narrazione così negativa e superficiale? A ben pensarci, oggi ci viene costantemente richiesto di descriverci nel mondo del web. Proprio perché l’incontro avviene attraverso uno schermo, ci affidiamo alla parola scritta per dire chi siamo. Ma che fatica! Un’autonarrazione originale che deve distinguerci su Tinder, colpire su LinkedIn, incuriosire su Instagram. Così ci siamo accorti di una tendenza molto funzionale: scegliere frasi già impacchettate, come sticker da appiccicarsi per costruire un brand personale. “Sti cazzi” è stampato sulla borsa di tela; “Lo sai chi ti saluta? “Sto cazzo”” è scritto sullo zerbino. La lingua grezza e volgare è lo status symbol di chi fa finta di non prendersi troppo sul serio. Un modo di comunicare, senza sforzo e contenuto, per sembrare spontanei. Quando possedere questo merch è una posa. Perché un’altra moda è quella di raccontarsi con autoironia, elemento oramai essenziale in qualsiasi speech pubblico. Esporre i propri difetti con umorismo, è la chiave per generare empatia. E ora che le differenze identitarie — politiche, culturali, ideologiche — si sono svuotate di significato, non resta che costruire la personalità attorno al consumo di gadget parlanti. Perché, in quest’immaginario collettivo, dichiarare ”Piscio in mare” su un asciugamano ha il valore di una conquista che merita di essere sventolata, come una bandiera in cielo.

Durante la Belle Époque venne presentata la prima insegna commerciale a tubo luminoso al Grand Palais di Parigi, invenzi...
28/07/2025

Durante la Belle Époque venne presentata la prima insegna commerciale a tubo luminoso al Grand Palais di Parigi, invenzione del chimico George Claude; mentre il suo collaboratore Jacques Fonseque ne intuì il potenziale commerciale e ne vendette la prima della storia a un barber shop. In tempi più recenti, il neon è così apprezzato da essere riprodotto come arredamento estetico. Tra i neon più fotografati, colpisce che vi siano le frasi. La parola isolata, la frase decontestualizzata, è sufficiente per appagare l’estetica. L’idea che la lingua materna plasmi le strutture cognitive dell’individuo da ritenere che si pensa in un determinato modo perché si parla una certa lingua è alla base della teoria del relativismo linguistico centenaria dei linguisti Saphir-Whorf. E l’impoverimento del linguaggio non è mai innocente; ma a dispetto della dittatura distopica di Orwell per additare gli onomaturgi della neolingua dobbiamo guardarci allo specchio. Chi perde tempo con le sottigliezze linguistiche, i sinonimi ad esempio, coltiva un vezzo demodé. Il tempo è prezioso, la scrittura oziosa. I figli del secolo inviano le note vocali e ricorrono alle emoji. A tempi frenetici corrispondono messaggi altrettanto rapidi: l’urgenza della risposta è più importante della risposta stessa. Tutto ciò, a scapito della qualità. Trent’anni fa, usciva Chavalier de Pas un brano di Vecchioni dedicato a Pessoa. La traccia racconta i tormenti del poeta, con la pioggia obliqua di Lisbona sullo sfondo, che abbandona Ofelia per assecondare il bisogno di scrivere; scrivere per cercare un senso che non c’è. La scrittura era un’urgenza esistenziale, riempiva le notti, di tormenti o di eccessi. Oggi, chi scrive è fuori moda, a meno che non sia per fini commerciali, editoriali, scientifici, dunque la scrittura a scopo di lucro. Abbandonarsi al gesto gratuito della carta-e-penna è fuori tempo massimo e chi perde tempo con le sottigliezze linguistiche è stigmatizzato come illuso o nullafacente. Perché il tempo è prezioso, la scrittura oziosa. Ed è vero che le lettere fanno ridere. Ma è vero anche che solo chi non ha scritto mai lettere d’amore fa veramente ridere.
Estratto dal n.24

Se c’è qualcosa davanti cui si riconosce un uomo, quello è il vizio. Il desiderio meno necessario tra i bisogni, ma il b...
17/07/2025

Se c’è qualcosa davanti cui si riconosce un uomo, quello è il vizio. Il desiderio meno necessario tra i bisogni, ma il bisogno più necessario tra i desideri. Ricordo che mia nonna aveva la forza della morigeratezza per un autentico senso della misura, non tanto innato quanto ereditato dalla guerra. Non era una rinuncia, né una mancanza di desiderio. Ma una capacità superiore di esaltare un piacere, concedendoselo una volta sola. Alla sera mangiava un piccolo rettangolo di mela cotogna cosparso di zuccheri. Uno sì, perché era una gioia. Due no, perché diventata un vizio. Mio padre, invece, era smodato. Era il vizio che rendeva la vita vivibile. E solo godendone il più possibile, nel lasso di esistenza concessogli, ne avrebbe onorato il senso. Capitava, alle volte, che, con i calzoncini corti e le topoline ai piedi, mi ritrovassi con lui alla Snai. Luogo angusto, pieno di fumo in cui il vizio esplodeva in un’adrenalinica sensazione di potere. Poter vincere. Potercela fare. Poter stravolgere il destino, che però rimaneva immutato. Perciò al ritorno dalla solita sconfitta, mio padre aveva l’abitudine di zittire il dispiacere con una monumentale pasta ripiena di crema da intingere nel cioccolato. Un vizio scacciava un altro vizio. Una formula tanto semplice quanto aggrovigliata in una dipendenza che andava sempre alimentata. Mia madre, al contrario, non ne aveva nemmeno uno. Non perché non ne fosse incuriosita, ma perché la paura superava il desiderio. Il vino era un veleno, il fumo era tossico, i dolci una droga. E aveva ragione su tutto. Ma in questa rinuncia assoluta si annidava una preclusione. Alla novità, all’insolito, all’ignoto. Una vita in sottrazione. La miscellanea di queste due nature non poteva che avermi come risultato: una predisposizione contenuta al vizio, ma accompagnata da un incombente senso di colpa, minaccioso. Una sigaretta quando accesa è un piacere, ma una volta spenta è una maledizione! In un processo rapidissimo l’appagamento si trasforma in commiserazione. Come ho fatto a non resistere? E poi in una promessa “Questa è l’ultima volta”.

Il Bestiario è una start up tecnologica che utilizza l’AI per scrivere, robot di ultima generazione per imbustare, droni...
15/07/2025

Il Bestiario è una start up tecnologica che utilizza l’AI per scrivere, robot di ultima generazione per imbustare, droni per spedire. Per reclami e ritardi di spedizione rivolgersi ai nostri bot.

Tradotto:
Il Bestiario è una rivista di carta che dispone di penne finissime e talentose per scrivere ogni contenuto della rivista, sfrutta i suoi direttori per imbustare, usa le fedeli Poste italiane per spedire. Per reclami e ritardi di spedizione abbiate pietà di noi 🙏

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Serpeggia da qualche tempo un fenomeno nuovo ed estremamente curioso. È una nevrosi nuova, di recente formazione, dilaga...
11/07/2025

Serpeggia da qualche tempo un fenomeno nuovo ed estremamente curioso. È una nevrosi nuova, di recente formazione, dilagante ma per nulla invalidante: l’attrazione compulsiva per le file. Lunghe, lentissime e estremamente inutili. L’efficacia del metodo si basa su un principio chiaro, semplice e lineare: se sei in fila, ci sei, e se ci sei, non stai mancando l’occasione. Il semplice mettersi in fila, a volte senza sapere per cosa, produce un miglioramento del tono dell’umore nel 99,875% dei casi. I dati lo dimostrano, ed è vero ovunque. A Tokyo, Londra, Miami le persone sono rimaste in attesa fino a ben 72 ore per ottenere un gadget decorato con il monogramma LV e il logo rosso fuoco Supreme. Per il lancio della nuova collezione dei Labubu al pop-up Pop Mart, le persone sono rimaste in fila per ore, se non per intere giornate, sfidando l’afa del caldo torrido. Si calcola che, tra questi eventi, un filarolo milanese medio abbia un’età stimata tra i 16 e i 45 anni e che possa fare da 8 a 12 code al mese, alcune lunghe anche più di 500 metri. Se possiamo contare sul fare la fila, lo dobbiamo infatti proprio agli organizzatori di pop-up, eventi ed edicole temporanee che consapevoli mettono in atto una serie di strategie studiatissime per far nascere, durare e perdurare la fila. Tra queste: location minuscole e un numero limitato di gadget. Qualunque esso sia. In fila, però, è necessario starci bene. Non si parla, non si legge, non si ascolta musica, non si pensa. In fila si sta. Con la calma dignitosa degli asceti e l’impassibilità degli stoici.  
Ma, perché il metodo sia efficace, non bisogna soltanto stare in fila, ma anche starci il più a lungo possibile. A fine giornata, i filaroli si ritrovano sui mezzi, paghi della loro giornata passata in fila. Nessuno di loro sa esattamente cosa abbia riportato. Forse un mostriciattolo con orecchie allungate e sguardo inquietante, forse un profumo, forse una tote bag, o addirittura uno sgabello di design da rivendere online per guadagnarci qualcosa. Ma, poco importa, perché, ciò che conta, non è il gadget, ma la fila stessa. Lunga, inutile, rassicurante. E la certezza di esserci stati.
Di Nicole Bellini

Siete stanchi degli unboxing con asmr di ciarpame di Tyger? Dei vostri feed intasato di svuota la spesa di detersivi e s...
08/07/2025

Siete stanchi degli unboxing con asmr di ciarpame di Tyger? Dei vostri feed intasato di svuota la spesa di detersivi e surgelati, di try on haul di vestiti di shein 100 % infiammabili? Di passare le serate scrollando recensioni di food p**n che non proverete mai? Volete provare l’unico antidoto allo lobotomizzazione del vostro cervello?

Giovedì 10 luglio ore 18.30 venite alla festa del Bestiario da Santomanifesto in via dei Coronari 44/A per l’uscita del numero 24, IL SUPER- FLUO! Nessun reel, vlog, pov, mukbang, ma solo lamentele sul caldo, chiacchiere da bar, birre sui muretti, compagnia, incontri casuali, musica e il nuovo numero del Bestiario, fresco di stampa, che è una bomba 🐥🐥🐥

Indirizzo

Magnano In Riviera

Orario di apertura

Lunedì 08:00 - 00:00
Martedì 08:00 - 00:00
Mercoledì 08:00 - 00:00
Giovedì 08:00 - 00:00
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Sabato 08:00 - 00:00
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