
11/07/2025
Serpeggia da qualche tempo un fenomeno nuovo ed estremamente curioso. È una nevrosi nuova, di recente formazione, dilagante ma per nulla invalidante: l’attrazione compulsiva per le file. Lunghe, lentissime e estremamente inutili. L’efficacia del metodo si basa su un principio chiaro, semplice e lineare: se sei in fila, ci sei, e se ci sei, non stai mancando l’occasione. Il semplice mettersi in fila, a volte senza sapere per cosa, produce un miglioramento del tono dell’umore nel 99,875% dei casi. I dati lo dimostrano, ed è vero ovunque. A Tokyo, Londra, Miami le persone sono rimaste in attesa fino a ben 72 ore per ottenere un gadget decorato con il monogramma LV e il logo rosso fuoco Supreme. Per il lancio della nuova collezione dei Labubu al pop-up Pop Mart, le persone sono rimaste in fila per ore, se non per intere giornate, sfidando l’afa del caldo torrido. Si calcola che, tra questi eventi, un filarolo milanese medio abbia un’età stimata tra i 16 e i 45 anni e che possa fare da 8 a 12 code al mese, alcune lunghe anche più di 500 metri. Se possiamo contare sul fare la fila, lo dobbiamo infatti proprio agli organizzatori di pop-up, eventi ed edicole temporanee che consapevoli mettono in atto una serie di strategie studiatissime per far nascere, durare e perdurare la fila. Tra queste: location minuscole e un numero limitato di gadget. Qualunque esso sia. In fila, però, è necessario starci bene. Non si parla, non si legge, non si ascolta musica, non si pensa. In fila si sta. Con la calma dignitosa degli asceti e l’impassibilità degli stoici.
Ma, perché il metodo sia efficace, non bisogna soltanto stare in fila, ma anche starci il più a lungo possibile. A fine giornata, i filaroli si ritrovano sui mezzi, paghi della loro giornata passata in fila. Nessuno di loro sa esattamente cosa abbia riportato. Forse un mostriciattolo con orecchie allungate e sguardo inquietante, forse un profumo, forse una tote bag, o addirittura uno sgabello di design da rivendere online per guadagnarci qualcosa. Ma, poco importa, perché, ciò che conta, non è il gadget, ma la fila stessa. Lunga, inutile, rassicurante. E la certezza di esserci stati.
Di Nicole Bellini