26/09/2025
Domenica 28 settembre 2025 ore 21, Teatro Massimo Bellini di Catania
Celebrare il Cigno di Catania e la sua città nel 2754⁰ anniversario della fondazione
Gran gala finale per la quinta edizione del Bellini International Context
Sul podio Francesco Di Mauro. In programma musiche di Bellini, Berlioz, Donizetti, Rossini, Wagner e due prime assolute di Yuri Furnari e Giovanni Nicosia
CATANIA - Ex cinere surgo, come la fenice che risorge dalle proprie ceneri. Con un tale motto nello stemma, Catania riafferma da quasi tre millenni la propria identità, attraversando distruzioni e rinascite. Allo stesso modo, l'Arte si rigenera nel tempo, mantenendo intatta la sua capacità di parlare all’oggi. Vale per tutte le Muse, ma tra esse la Musica ha forse il vantaggio di attraversare più speditamente il divario spazio-temporale, favorita da un linguaggio universale e massimamente veicolabile.
È con questo spirito che il gala conclusivo del Bellini International Festival rende omaggio al Cigno etneo e celebra al contempo i 2754 anni della fondazione della sua città natale, con un programma che dal primo Ottocento approda alla contemporaneità e a rinnovate visioni. Ogni brano racconta, a suo modo, un passaggio: una crisi da affrontare, un ostacolo da superare, una trasformazione da vivere. L’appuntamento è per domenica 28 settembre alle ore 21 nella suggestiva cornice del Teatro Massimo Bellini, al quale spetta un ruolo di rilievo tra i partner istituzionali e culturali chiamati a dare vita al festival promosso dalla Regione Siciliana-Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo. Sul podio Francesco Di Mauro, bacchetta di chiara fama.
Il viaggio tra le note prende le mosse dalla Sinfonia di Norma (1831), opera simbolo del romanticismo belliniano. Già nelle prime battute, l’orchestra evoca lo scontro tra dovere e passione, il destino della protagonista e la solennità drammatica del contesto. Un contrasto in cui si cela la forza di una resurrezione morale, conquistata attraverso la consapevolezza.
La Sinfonia che apre I Capuleti e i Montecchi (1830) è un’altra testimonianza della sensibilità di Bellini nel raccontare la deriva di sentimenti purissimi, violati da conflitti insanabili. Anche nella tragedia finale, lascia spazio a una dimensione intima e spirituale, dove l’amore si eleva sopra l’odio, come un’ultima forma di resistenza e rinnovamento.
Nell’ouverture di Benvenuto Cellini (1838), Hector Berlioz introduce lo spettatore ad una dimensione intensa e teatrale, ispirata alla figura dell’artista-orefice, che vive tra creazione e ostacoli, impulso amoroso e ambizione: un ritratto sonoro della capacità umana di reinventarsi e forgiare la propria esistenza attraverso l’arte.
Con L’italiana in Algeri (1813), Gioachino Rossini restituisce e galvanizza un’atmosfera esotica e giocosa. L’ouverture, con ritmo e leggerezza, preannuncia la storia di una donna intelligente e coraggiosa che riesce ad affermarsi in un contesto ostile. Qui, dietro il sorriso, si cela il tema della resilienza e della capacità di orientarsi in una cultura che sembra ostile solo perché diversa.
La Sinfonia di Don Pasquale (1843) introduce invece una commedia degli equivoci. Dietro l’ispirazione di Gaetano Donizetti e la trama brillante s’intravede un percorso di crescita che accomuna vecchi e giovani: l’illusione si dissolve, e dal disinganno può nascere una prospettiva certo più amara, ma equa.
Nel Preludio a I maestri cantori di Norimberga (1867), Richard Wagner crea l’atmosfera di un’opera che s’interroga sull’arte e sulla sua trasmissione. La musica stessa si fa protagonista e narra il confronto tra tradizione e innovazione, esaltando la possibilità di evolversi attraverso la creatività condivisa, senza rinnegare le radici.
Nel fil rouge del programma si rispecchiano anche le due novità assolute commissionate dal Teatro Massimo Bellini. In Sikulus (2024), Yuri Furnari s’ispira ai paesaggi, ai miti e alla memoria dell’Isola. Il suono diventa spazio evocativo, luogo di stratificazione culturale, e ricompone l’identità dell’isola come rinascita continua, tra passato e presente.
Con Il pianto di Efesto (2024), Giovanni Nicosia esplora la figura mitologica del dio-fabbro che ha scelto l’Etna come vulcanica fucina. Anche la materia sonora sembra forgiata nel fuoco del Vulcano, in un processo di trasformazione continua, dove la crisi è scintilla di creazione.
Il gala finale del festival, che affianca partiture di Bellini a creazioni di ieri e di oggi, diventa così riflessione sull’eredità musicale e sulla capacità della Sicilia di continuare a ispirare arte e suono, visionarietà e futuro. A partire da Catania, culla di un sommo compositore, madre terra che ha sempre dimostrato di trovare in sé stessa la forza di risorgere e ricostruzione.