Il sabato del villaggio [RadioPopolare]

Il sabato del villaggio [RadioPopolare] Due ore di musica al sabatosera
music policy-do re mi fa sol
h.19.45/21.30 fm 107.6
conduce-Paolo Minella

11/12/2025
07/12/2025

We highly recommend watching this short documentary. Many thanks to everyone involved, especially director Nick Canfield, and to all viewers, of course.

Watch it now: https://www.youtube.com/watch?v=07MeoZiLSek

07/12/2025

Back to the roots!

📸 Foto hecha en un mercadillo de Hamburgo por Niklaas

Trasmissione registrata…🎼🎼🎼
06/12/2025

Trasmissione registrata…
🎼🎼🎼

Biberinissime e biberinissimi, ciao. Dicembre comincià così. Una super dj session. Sarà la nostra prima (e ultima, ahah) serata dj in tutti questi anni e l'abbiamo voluta speciale. Quattro dj, più di sei ore di musica, dall'aperitivo in poi, si alternenanno tra stili, vinili e sperimantazioni diverse. Tra chilling e dancing, funky e house, 80's, 90's e light techno, vogliamo festeggiare l'inizio dell'ultimo mese dell'anno. Ci sarà un apericena a 15€ con una bevuta inclusa, dalle 18:30 alle 22:00. Prenotatelo per esser sicurə di trovare cibo :)
Portate amiche e amici, gioia e gentilezza. Non ci trasformeremo in una discoteca, né in un club, ma in un cute&friendly dancing pub (che cosa voglia dire è ancora un pò oscuro anche per me).
Ci vediamo il 06, per il primo evento di questo mese, besoooos!!

05/12/2025

"So sad to hear of the passing of our dear friend Steve Cropper today. His soulful guitar playing, songwriting, and record productions inspired us to be a soul band when we were teens and eventually led us to work with him in Memphis on our 2nd, and one of our best selling albums, "Bump City". Steve also produced an album for us in the late 70's entitled "We Came To Play" and was always a consummate professional in the studio and a totally down to earth guy. Over the years we'd run into him on the road, mostly in Europe, when he was touring with the Blues Brothers, and it was always a joy to spend time with him. Our sincere condolences go out to his family.

Steve Cropper was a founding father in the soul music world and was instrumental in changing music as we know it."

Emilio Castillo - Bandleader for Tower of Power

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05/12/2025

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CHAKA KHAN JUST WENT NUCLEAR ON LIVE TV: CALLS TRUMP “A VICIOUS OLD BASTARD BLEEDING AMERICA DRY” OVER BORN-IN-AMERICA ACT

The red light was on.
Chaka Khan didn’t wait for the question.

WATCH NOW: https://sportbalance.info/posts/chaka-explosive-livetv-moment-speech-shook-america-thuy123-nslp

When asked about Kennedy’s midnight “Born In America Act” and Trump’s endorsement, the music icon unloaded 42 seconds of pure fire that just ended political decorum forever:

“Let’s call it what it is: a vicious old bastard and his circus just turned millions of American citizens into second-class ghosts overnight.
Donald Trump isn’t protecting this country; he’s bleeding it dry of everything that ever made it worth fighting for.

My family was born in this country. My people built their lives, paid their taxes, served, struggled, and rose in this country. And tonight, a racist fever dream just told them their service, their sweat, their blood doesn’t count because of where their grandparents were born.

This isn’t America First.
This is America crucified.

And I’ll be damned if I stay quiet while they nail the Constitution to that cross.”

Dead air for four full seconds.
Then the studio detonated.

The unfiltered clip hit 78.9 BILLION views in 90 minutes.
obliterated every server with 1.2 TRILLION impressions – the biggest televised detonation in history.

Chaka Khan didn’t hold back tonight.
She drew the line in blood.
And America just watched a quiet legend become a war cry.

Sesto Pride!!!!11-Mabel Boccni ❤️🖤
05/12/2025

Sesto Pride!!!!
11-Mabel Boccni
❤️🖤

A raccontarlo oggi sembra una cosa impossibile: c'è stato un tempo in cui, nella pallacanestro, l'atleta più forte del mondo era di nazionalità italiana.
Eravamo a metà degli anni 70 e Mabèl Bocchi, fisico statuario, braccia e gambe lunghissime, capacità di fare canestro in tutti i modi, talento generazionale, era la giocatrice faro di uno sport a tal punto che nel 1975 la FIBA le assegnò il premio di miglior giocatrice del mondo.
Colei che ha trascinato il Geas a vincere la prima storica coppa dei Campioni di una squadra italiana.
Colei che ha nel palmares 8 Scudetti consecutivi, 1 coppa Italia e un indimenticabile bronzo agli Europei nel 1974 con la Nazionale, e che a 28 anni smise di giocare per i troppi infortuni.
Colei che ha stravinto le classifiche realizzative non solo di campionati e coppe, ma anche di Mondiali.
Colei che non si è limitata ad essere la miglior giocatrice italiana di sempre, ma che ha rivoluzionato lo sport, il sistema, ed anche la società.
È grazie alle sue battaglie se le Nazionali femminili (non solo di basket) hanno ottenuto il medico ed il fisioterapista al seguito come accadeva soltanto per i colleghi uomini.
È grazie alle sua battaglie se le Nazionali femminili (non solo di basket) hanno ridotto il gap di diaria (il rimborso economico che giocatori e addetti ottengono dalle federazioni per ogni giorno di impegno con le Nazionali) rispetto alle Nazionali maschili.
È grazie anche a lei se le sportive dell'epoca hanno potuto accelerare un processo di emancipazione, combattendo il bigottismo dell'epoca che giudicava e discriminava le donne che praticavano sport e si tingevano i capelli, o si truccavano, o parlavano di argomenti extra, o che semplicemente volevano apparire diversamente dai canoni dell'epoca.

Oggi ci ha purtroppo lasciato una leggenda. Aveva 72 anni.

Negli Stati Uniti si parla spesso di legacy, ossia dell'eredità lasciata dagli atleti quando smettono di competere o quando vengono a mancare: in questo caso ci troviamo di fronte ad una legacy che travalica i confini della pallacanestro, e che forse, un po' tutti, abbiamo un po' dimenticato o sottostimato.

"Non sopporto le ingiustizie, le disparità di trattamento, le donne valutate meno degli uomini nello sport. E allora lo dico, e becco squalifiche, richiami, multe. Ma non importa, rifarei tutto. Quando giocavo, mi battevo perché avessimo anche noi atlete diritto al medico fisso, al massaggiatore, alla diaria. Avevo scoperto che se fosse caduto l'aereo con la nostra squadra sopra alle nostre famiglie sarebbe stato dato 10, a quelle dei maschi 50. Impazzii."

Ciao Mabèl.

Quello di cui raccontai qualche sabato fa
05/12/2025

Quello di cui raccontai qualche sabato fa

05/12/2025

Ireland, Spain, Netherlands, and Slovenia refuse to participate in next year's event after calling for Israel to be bann

03/12/2025
La solita vecchia storia…
02/12/2025

La solita vecchia storia…

Il 16 ottobre 1992, una cantante di 25 anni entrò al Madison Square Garden — e finì dritta nel più violento ciclone d’odio che la musica avesse mai visto.
Due settimane prima aveva fatto qualcosa di impensabile in diretta TV. Il mondo voleva distruggerla. Un uomo si avvicinò, la abbracciò e le sussurrò una frase a cui si sarebbe aggrappata per tutta la vita.

New York, 16 ottobre 1992.
Il Madison Square Garden era gremito: 20.000 persone riunite per celebrare i 30 anni di carriera di Bob Dylan. Sul palco, leggende: Eric Clapton, George Harrison, Neil Young, Johnny Cash.

E poi c’era Sinéad O’Connor — una cantante irlandese di 25 anni, testa rasata, un cuore ferito e un intero pianeta arrabbiato con lei.

Solo due settimane prima aveva scioccato l’America durante un’esibizione a Saturday Night Live.

Cantò “War” di Bob Marley, cambiò il testo per denunciare gli abusi sui minori, sollevò una foto di Papa Giovanni Paolo II — e la strappò.

«Combattete il vero nemico», disse.

La reazione fu immediata. E feroce.

Le radio la boicottarono.
Leader religiosi la condannarono.
I giornali la derisero.
Frank Sinatra dichiarò che avrebbe voluto “darle un calcio”.
Joe Pesci, la settimana dopo, a SNL scherzò dicendo che l’avrebbe “schiaffeggiata”.

Sinéad provò a spiegarsi — che stava protestando contro le coperture della Chiesa Cattolica sugli abusi sui minori, qualcosa di cui in Irlanda si parlava sottovoce da anni.
Ma nel 1992, nessuno voleva crederle.

Quando quindi mise piede al Madison Square Garden, sapeva già che il pubblico la odiava.

A introdurla fu Kris Kristofferson — cantautore, Army Ranger, Rhodes Scholar, icona di Hollywood. Rispettava il coraggio quando lo vedeva.

Disse il suo nome.
I fischi cominciarono subito.

Non sparsi.
Non incerti.
Un muro compatto di odio.
Ventimila persone che urlavano perchè scomparisse.

Sinéad entrò sul palco — minuta, sola, tremante, inghiottita dal rumore.
Avrebbe dovuto cantare “I Believe in You” di Dylan, un brano che parla di fede quando il mondo ti rifiuta.

Ma non ce la fece.
L’odio era troppo forte.

Fece invece la cosa più coraggiosa che potesse fare.

Afferò il microfono e urlò l’inizio di “War”.
La stessa canzone di SNL.
La stessa protesta che le aveva appena distrutto la carriera.

Tremava di rabbia e dolore, la voce spezzata, mentre cercava di restare in piedi mentre la folla cercava di soffocarla.

Qualcuno le tirò oggetti.
La sicurezza si avvicinò.
I fischi aumentarono.

Non riuscì a finire.

Si voltò ed uscì dal palco.

Kris Kristofferson era lì ad aspettarla.

Si accasciò tra le sue braccia, in lacrime — umiliata, furiosa, distrutta.

E lui la strinse forte, sussurrandole:

«Non lasciare che quei bastardi ti buttino giù.»

Cinque parole che le sarebbero rimaste dentro per sempre.

Perché Kris capì ciò che il mondo non capiva:
che la storia punisce i portatori di verità molto prima di celebrarli.

Scrisse per lei una canzone, “Sister Sinéad”.
Raccontò ciò che aveva visto quella notte — non uno scandalo, non una celebrità instabile, ma una giovane donna che si rifiutava di tacere mentre i bambini venivano feriti.

Per dieci anni visse con le conseguenze.

Poi, nel 2002 — dieci anni dopo quel gesto — il Boston Globe pubblicò l’inchiesta che rivelò ciò che lei aveva cercato di far capire al mondo.

La Chiesa Cattolica aveva coperto abusi sistematici sui minori.
Per decenni.
In più continenti.

Sinéad O’Connor aveva ragione.

Ma le scuse non arrivarono mai.
L’industria che l’aveva radiata non la riaccolse.
Il pubblico non le restituì mai la dignità su un palco grande quanto quello che le aveva distrutto la vita.

Sinéad passò il resto della sua esistenza lottando contro traumi, malattia mentale e un’industria che l’aveva bollata come “instabile” solo perché era arrivata dieci anni prima della verità.

Si convertì all’Islam.
Cambiò nome.
Continuò a parlare.
A denunciare.
A dire la verità.

È morta nel luglio 2023, a 56 anni.

All’improvviso arrivarono tributi ovunque.
La chiamarono profeta.
Visionaria.
Eroina.

Ma lei non sentì mai quelle parole.

Ciò che ascoltò — ciò che la tenne viva attraverso gli anni più bui — furono le parole sussurrate dietro le quinte dall’unico uomo che non la abbandonò quando più ne aveva bisogno:

«Non lasciare che quei bastardi ti buttino giù.»

Perché a volte basta una sola persona che ti vede davvero per riuscire a sopravvivere al rumore del mondo intero.

Sinéad O’Connor è stata punita per aver detto la verità troppo presto.
Come tante donne prima di lei.
Come tanti portatori di verità nella storia.

Strappò una foto per proteggere dei bambini.
E il mondo strappò lei.

E quando la folla urlò, un uomo restò al suo fianco.

A volte, è tutto ciò che serve per salvare qualcuno.

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