30/10/2025
🇮🇹 𝗦𝗲𝗿𝗿𝗮 𝗲 𝗹𝗲 𝘃𝗶𝘁𝘁𝗶𝗺𝗲 – 𝗟’𝗲𝗹𝗲𝗴𝗮𝗻𝘇𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗿𝗼𝘃𝗲𝘀𝗰𝗶𝗼
Fermi tutti.
Arriva Michele Serra, l’arbitro di ogni eleganza e il sacerdote del pensiero corretto, per spiegarci cosa dobbiamo pensare sul “caso Fiano”. Dalle colonne di Repubblica, con la consueta aria da umanista offeso, ci racconta che in questa storia non ci sono colpevoli e innocenti, ma due “parti lese”.
Già, perché nel teatrino progressista la realtà si piega sempre alla narrazione: chi aggredisce va compreso, chi parla va zittito “per il suo bene”, e la libertà di espressione è concessa solo a chi recita la parte giusta nel copione della sinistra.
Emanuele Fiano, ex deputato PD, viene aggredito a Ca’ Foscari da giovani comunisti al grido di “Fuori i sionisti dalle università”. Un gesto di odio, intolleranza e antisemitismo.
Eppure, Serra non punta il dito contro gli aggressori.
Li giustifica, li psicanalizza, li assolve.
Parla del loro disagio, della loro confusione, della “febbre per violenza avversaria”.
Così il colpevole diventa vittima, la vittima diventa pretesto, e il male viene spiegato come semplice “errore giovanile”.
Una carezza che sa di ipocrisia.
Ma no, caro Serra, il punto non è difendere i giovani da un commento.
Il punto è difendere il commento da un’aggressione.
Perché chi non tollera la parola, prima o poi non tollererà la libertà.
Serra tenta una finta autocritica anti-woke, come se scoprisse oggi i danni del pensiero unico che lui stesso ha alimentato per anni. Ma è una critica timida, addomesticata.
Condanna senza condannare, per non rompere il cerchio magico del salotto buono.
La verità è semplice e imbarazzante: la sinistra crea i suoi mostri, li chiama “avanguardia”, e quando iniziano a morderla li ribattezza “deriva”.
È sempre la stessa liturgia.
E mentre Serra si stupisce dei “muri culturali” che separano le idee, quegli stessi muri sono già costruiti qui, nei nostri studi televisivi e nelle redazioni dei giornali.
Da Fazio alla Gruber, sempre la stessa rappresentazione: il pensiero unico che dialoga con se stesso, circondato da applausi programmati, con un solo ospite “di destra” scelto per fare da bersaglio.
Non un confronto, ma un’esecuzione.
È la cultura della bolla, della comfort zone, dove la libertà vale solo se è conforme.
E dove il dissenso diventa peccato.
Alla fine Serra conclude che gli studenti hanno “il diritto di criticare i giornali”.
Certo, ma solo quelli giusti. Solo con le parole giuste. Solo se la critica non tocca i santi intoccabili della sinistra.
E così, mentre fingono di difendere la libertà, la rinchiudono in gabbia.
Mentre parlano di pluralismo, impongono l’uniformità.
Mentre si dicono antifascisti, non tollerano neppure la differenza di un pensiero.
👉 La sinistra perdona tutto, tranne chi la contraddice.
E chi osa farlo — anche solo con un commento — deve essere difeso, non zittito.
Perché il silenzio, caro Serra, è il volto educato del totalitarismo gentile.