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17/07/2025

🎥 Un video promozionale pubblicato dall’azienda militare israeliana Rafael ha mostrato l’uccisione reale di un civile disarmato a Gaza durante un’operazione con il drone Spike FireFly.

📍Il filmato, diffuso brevemente sui canali ufficiali, è stato rimosso poco dopo, ma ha già fatto il giro della rete.

🇪🇺 Rafael, controllata dallo Stato israeliano, è coinvolta in progetti finanziati dall’UE tramite il programma Horizon, anche con partner italiani.

⚠️ La relatrice ONU Francesca Albanese ha chiesto la sospensione immediata di ogni collaborazione con aziende coinvolte in episodi simili.

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Ultima ora: Rafael, colosso israeliano dell’industria bellica, ha pubblicato – e poi rimosso in fretta – un video promoz...
16/07/2025

Ultima ora: Rafael, colosso israeliano dell’industria bellica, ha pubblicato – e poi rimosso in fretta – un video promozionale in cui mostra l’uccisione reale di un civile palestinese disarmato da parte di un suo drone.

Le immagini, riprese durante un’operazione a Gaza, sono state usate come “vetrina” delle capacità del drone Spike FireFly. Il video ha scatenato un’ondata di indignazione globale e ha riacceso i riflettori sulla collaborazione dell’UE con aziende accusate di crimini di guerra.

Rafael riceve fondi europei tramite il programma Horizon, in progetti che coinvolgono anche enti pubblici italiani, come l’Autorità Portuale di Ravenna.

La Relatrice ONU Francesca Albanese ha chiesto l’interruzione immediata di ogni collaborazione. La domanda è chiara: l’Europa continuerà a finanziare chi trasforma la morte di civili in materiale pubblicitario?

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L’azienda militare israeliana Rafael ha usato in un video promozionale l’uccisione reale di un civile a Gaza da parte di un suo drone. Il video è stato poi rimosso. Rafael riceve fondi UE: cresce l’indignazione.

Nel cuore dell’Italia istituzionale, donne palestinesi ferite, arrivate da Gaza per ricevere cure mediche, si trovano di...
13/07/2025

Nel cuore dell’Italia istituzionale, donne palestinesi ferite, arrivate da Gaza per ricevere cure mediche, si trovano di fronte a nuove forme di violenza: la richiesta forzata di togliere il velo per completare le pratiche di asilo o soggiorno. In almeno tre episodi documentati, agenti e funzionari hanno imposto la rimozione del velo, anche contro la volontà delle donne, con il ricatto implicito – e talvolta esplicito – che senza quel gesto non avrebbero ottenuto documenti, cure o protezione. In un caso, un’agente ha dichiarato che se la donna non avesse tolto il velo, avrebbe perso il diritto all’asilo. In un altro, una funzionaria ha riconosciuto l’umiliazione subita, ma ha insistito che “è la procedura”. Tutto questo accade nonostante la normativa ufficiale – pubblicata sul sito del Ministero dell’Interno – ammetta esplicitamente l’uso del velo per motivi religiosi, purché il volto, inclusi i lobi, sia visibile.

Di fronte a queste pressioni, una delle donne – stremata psicologicamente – ha pronunciato una frase drammatica: “Se questo è il requisito, allora non voglio fare domanda di asilo. Preferisco tornare a Gaza dopo le cure per mio nipote.” Le minacce si sono estese anche ai volontari che le accompagnano: uno di loro, Amir Abdaljawwad, è stato intimidito da un agente che ha fotografato la sua carta d’identità e gli ha fatto recapitare un messaggio: “Se non esce, gli faremo del male.” Questi episodi non sono errori isolati, ma pratiche sistemiche e ripetute, avvenute in ambienti pubblici, alla presenza di polizia, traduttori e funzionari del Comune, in piena contraddizione con le stesse regole dello Stato italiano.

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Donne palestinesi fuggite dal genocidio a Gaza, arrivate in Italia per curarsi, si trovano davanti a nuove minacce: togli il velo o perdi il diritto all’asilo e alle cure. Una testimonianza diretta svela gli abusi istituzionali nascosti nei nostri uffici pubblici.

L’11 luglio ricorre la Giornata Internazionale di riflessione per il genocidio di Srebrenica, in Bosnia ed Erzegovina, i...
12/07/2025

L’11 luglio ricorre la Giornata Internazionale di riflessione per il genocidio di Srebrenica, in Bosnia ed Erzegovina, istituita dall’ONU il 24 maggio 2024: nella sola città in questione almeno 8.372 musulmani maschi furono arrestati, torturati e crivellati di colpi da parte dei militari serbo-bosniaci, guidati dal generale Ratko Mladić, senza contare le violenze e gli stupri ai danni di donne, bambini e anziani.

Il XX secolo è stato ricco di genocidi: il genocidio degli armeni tra il 1915 e il 1923; il genocidio degli ebrei e dei rom in Europa durante la Seconda guerra mondiale; il genocidio dei tutsi in Ruanda nel 1994; il genocidio dei bosniaci musulmani in Bosnia ed Erzegovina nel 1995 (la ripetizione è d’obbligo per non dimenticare l’impatto di queste tragedie su intere popolazioni e l’eredità nella memoria collettiva).

Tuttavia, la storia torna a ripetersi nelle terre di Palestina, davanti all’indifferenza delle potenze mondiali, ma nessuna azione impattante viene presa in considerazione, perché in ballo ci sono troppe questioni prettamente economiche, si è creato un “business del genocidio”, come recentemente rivelato da Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per i diritti umani nei territori palestinesi.

Sono quasi due anni di massacri di migliaia di palestinesi, soprattutto di donne e bambini, da quel fatidico 7 ottobre 2023 che ha scosso tutto il mondo, e oggi si torna a discutere su quale terminologia sia necessario utilizzare per definire la tragedia ai danni di un popolo, quello palestinese: crimini di guerra, genocidio, pulizia etnica.

La definizione di “genocidio”, per definire il massacro in atto nella Striscia di Gaza, contestata da alcuni fronti, è stata adottata da governi nazionali, tra cui il Sudafrica, da organismi internazionali quali la Corte Penale Internazionale dell’Aja che ha espresso preoccupazione per le derive genocidarie, e da organismi non governativi come Amnesty International.

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Di Saida Hamouyehy

11/07/2025

A oltre un anno dall’arresto, cinque riservisti dell’esercito israeliano che hanno brutalmente torturato e stuprato un detenuto palestinese di Gaza nel centro di detenzione di Sde Teiman non sono ancora stati processati.

I cinque soldati sono formalmente incriminati anche per gravi abusi e lesioni personali. Secondo l’atto d’accusa, avrebbero trascinato il prigioniero sul pavimento, lo avrebbero colpito con violenza, utilizzato un taser e stuprato inferendo una ferita rettale con un oggetto appuntito, provocandogli fratture costali, un polmone perforato e sanguinamenti interni.

Il giudice Colonnello Meir Vigiser ha proposto di risolvere il caso con un patteggiamento, per "evitare ulteriore sofferenza" agli imputati e risparmiare al tribunale la testimonianza della vittima palestinese. Ha inoltre invitato la Procura a valutare il rientro dei soldati nei ranghi della riserva.

Le indagini avviate nel luglio scorso hanno portato all’arresto di nove soldati, scatenando proteste da parte di politici dell’estrema destra israeliana, tra cui i deputati Nissim Vaturi, Tzvi Succot e l’ex ministro Amichai Eliyahu.

La situazione è precipitata in ottobre, quando membri della cosiddetta “Forza 100” – incaricata della custodia dei prigionieri – hanno assaltato gli investigatori della polizia militare, puntando loro le armi e liberando i colleghi arrestati. I soldati si sono poi barricati all’interno della base per impedirne la cattura.

Nonostante la disponibilità di prove concrete, la polizia militare ha rinviato le indagini fino a gennaio, temendo – secondo diverse fonti – l'orwelliana ira dell’opinione pubblica israeliana. I nomi degli imputati restano tuttora coperti da segreto militare.

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A oltre un anno dall’arresto, cinque riservisti dell’esercito israeliano accusati di aver brutalmente torturato un detenuto palestinese di Gaza nel centro di detenzione di Sde Teiman non sono ancora stati processati. Il motivo? Ritardi da parte della difesa e una crescente pressione politica. In...

(Bruxelles, 9 luglio 2025) – Un appello urgente all’Unione Europea per fermare quello che viene apertamente definito un ...
09/07/2025

(Bruxelles, 9 luglio 2025) – Un appello urgente all’Unione Europea per fermare quello che viene apertamente definito un genocidio, garantire la protezione dei civili e interrompere ogni forma di complicità: è quanto chiede la coalizione di organizzazioni islamiche europee che rappresentano oltre 15.000 moschee, centri e associazioni e che si sono riunite oggi 9 Luglio a Bruxelles, nel quartiere europeo. Le richieste includono: cessate il fuoco immediato, rilascio degli ostaggi e dei detenuti ingiustamente incarcerati, accesso pieno agli aiuti umanitari, stop alla fornitura di armi impiegate in potenziali crimini di guerra e il riconoscimento dello Stato di Palestina nel quadro di una soluzione a due Stati.

Durante la conferenza stampa a Bruxelles, una giornalista di Al Arabiya ha sollevato la questione del mancato dibattito pubblico sulla sospensione dell’Accordo di Associazione UE-Israele, come previsto dall’articolo 2 in caso di violazione dei diritti umani. I rappresentanti islamici hanno evitato commenti politici diretti, sottolineando che il focus resta umanitario. Tuttavia, il silenzio delle istituzioni su un possibile stop all’accordo è apparsa come una opportunità mancata per diversi osservatori, considerando che l’UE ha avviato una revisione formale del rispetto da parte di Israele dei principi fondamentali dell’accordo.

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Organizzazioni islamiche europee si riuniscono a Bruxelles per dichiarazione congiunta e chiedono all'UE azioni concrete per fermare il genocidio a Gaza, sospendere l'accordo con Israele e promuovere la soluzione a due Stati.

Due gravi episodi di aggressione e molestie contro donne musulmane a Amsterdam, avvenuti durante i disordini intorno all...
07/07/2025

Due gravi episodi di aggressione e molestie contro donne musulmane a Amsterdam, avvenuti durante i disordini intorno alla partita Ajax–Maccabi Tel Aviv del novembre scorso, sono stati archiviati per "mancanza di prove". Le vittime avevano denunciato violenze fisiche, molestie; e minacce da parte di tifosi israeliani dopo aver espresso solidarietà alla Palestina. Ma i video di sorveglianza, che avrebbero potuto confermare i fatti, sono misteriosamente scomparsi a causa – si dice – della sostituzione di telecamere cinque giorni dopo l'accaduto. La cancellazione delle prove ha sollevato sospetti e polemiche, soprattutto considerando che video simili – utili a incriminare altri – sono invece stati conservati.

Questo caso, più che un semplice scandalo sportivo, espone un sistema europeo accusato di doppio standard: durezza verso manifestanti filo-palestinesi, indulgenza verso comportamenti violenti e razzisti se provenienti da gruppi israeliani. Nonostante video circolati mostrino tifosi del Maccabi mentre inneggiano alla “morte degli arabi” e strappano bandiere palestinesi, nessuna azione concreta è stata intrapresa contro di loro. Il risultato? Una giustizia selettiva che mina la fiducia delle minoranze, silenzia la solidarietà con la Palestina e legittima l’impunità di chi semina odio sotto la protezione di uno status politico privilegiato.

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Due casi di aggressione contro donne musulmane, presuntamente compiuti da tifosi della squadra israeliana Maccabi Tel Aviv, sono stati archiviati dalla magistratura olandese per “mancanza di prove”, dopo che i video delle telecamere di sorveglianza sono misteriosamente scomparsi.

Dopo anni di attesa e un primo rifiuto del visto, ho finalmente realizzato il mio sogno: il Hajj, pellegrinaggio alla Me...
04/07/2025

Dopo anni di attesa e un primo rifiuto del visto, ho finalmente realizzato il mio sogno: il Hajj, pellegrinaggio alla Mecca. Sono partito da Milano con un gruppo di "nuovi italiani" – immigrati integrati e di successo, lontani dagli stereotipi tossici – affrontando viaggi estenuanti verso Medina e poi la Mecca. Indossato l’ihram, ho compiuto i riti tra la folla oceanica: il Tawaf attorno alla Kaaba e il Sa’y tra Safa e Marwa. In quei momenti, ho sentito con forza la presenza di Dio, in un luogo sacro lontano dalla materialità del mondo.

I giorni successivi (a Mina, Arafat, Muzdalifah, la lapidazione di Satana) sono volati tra caldo torrido e fatica, sostenuto dall’organizzazione saudita. Tornato a casa, ritrovare comodità e frivolezze mi ha lasciato un vuoto. La "città degli uomini", con la sua musica assordante e le sue ossessioni terrene, mi è ora estranea. Ma nel cuore custodisco Medina e la Mecca: luoghi dove ho toccato l’eterno, inshAllah.

Di Carlo Delnevo

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Ho compiuto il Hajj: pellegrinaggio da Milano con fratelli immigrati, tra preghiere a Medina e riti nella folla della Mecca. Nei momenti sacri ho sentito Dio vicino, lontano dal mondo materiale. Ora, tornato tra le frivolezze quotidiane, porto nel cuore quella purezza – inshAllah.

Due inchieste giornalistiche di alto profilo – una della CNN e una del quotidiano israeliano Haaretz – gettano nuova luc...
27/06/2025

Due inchieste giornalistiche di alto profilo – una della CNN e una del quotidiano israeliano Haaretz – gettano nuova luce sulle responsabilità dirette dell’esercito israeliano (IDF) nella morte di civili palestinesi nei pressi dei punti di distribuzione umanitaria nella Striscia di Gaza. Le indagini, basate su testimonianze, analisi forensi, geolocalizzazione dei video e prove balistiche, raccontano la stessa dinamica: gli spari sono partiti da posizioni israeliane, colpendo in modo indiscriminato e letale f***e affamate di civili.

L'esercito israeliano ha negato ogni coinvolgimento, parlando prima di “colpi di avvertimento a un chilometro di distanza”, poi smentendo addirittura l’evento definendolo “propaganda di Hamas”. Ma testimoni oculari, operatori umanitari e vittime sopravvissute raccontano una realtà opposta. L’inchiesta cita decine di casi di persone uccise con colpi alla testa e al torace, in piena violazione del diritto internazionale umanitario.

Mohammad Abu Rezeq, un altro testimone intervistato da CNN, è stato colpito allo stomaco. Le sue parole non lasciano spazio a fraintendimenti: “Non era un modo per allontanarci. Sparavano per ucciderci”. Il tasso di fuoco registrato dai video – 15-16 colpi al secondo – corrisponde a quello delle mitragliatrici pesanti FN MAG montate sui carri armati Merkava dell’IDF.

Tom Fletcher, capo dell’ufficio umanitario ONU, ha denunciato il modello GHF come “un’arma politica”, accusando Israele di usare la fame come leva di negoziazione e occultamento per altre operazioni militari, definendolo apertamente un “foglia di fico per ulteriore violenza e sfollamento”.

Secondo gli esperti legali internazionali, i comportamenti documentati dall’inchiesta configurano potenziali crimini di guerra e potrebbero essere qualificati come crimini contro l’umanità o atti di genocidio.

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Due inchieste giornalistiche di alto profilo – una della CNN e una del quotidiano israeliano Haaretz – gettano nuova luce sulle responsabilità dirette dell’esercito israeliano (IDF) nella morte di civili palestinesi nei pressi dei punti di distribuzione umanitaria nella Striscia di Gaza. Le i...

Oltre cento coloni terroristi israeliani hanno assaltato il villaggio palestinese di Kafr Malik, vicino Ramallah, dando ...
26/06/2025

Oltre cento coloni terroristi israeliani hanno assaltato il villaggio palestinese di Kafr Malik, vicino Ramallah, dando fuoco a case, automobili e proprietĂ  palestinesi.

L’attacco, parte di una strategia deliberata di terrore e pulizia etnica, è avvenuto sotto la protezione dell’esercito israeliano, presente sul posto ma completamente inattivo nel fermare la violenza.

Quando alcuni palestinesi hanno cercato di difendere la propria terra e le proprie famiglie, le forze dell’IDF hanno reagito aprendo il fuoco contro i civili, uccidendo almeno tre persone e ferendone molte altre.

Questo nuovo massacro conferma la complicità tra coloni armati e forze d’occupazione, e rappresenta l’ennesima pagina di sangue nella brutale oppressione del popolo palestinese.

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Coloni terroristi israeliani attaccano il villaggio palestinese di Kafr Malik, incendiando case e aggredendo civili. L’esercito interviene e uccide i palestinesi, intensificando la pulizia etnica in Cisgiordania.

Nella notte tra il 21 e il 22 giugno 2025, gli Stati Uniti hanno condotto un attacco militare su larga scala contro inst...
22/06/2025

Nella notte tra il 21 e il 22 giugno 2025, gli Stati Uniti hanno condotto un attacco militare su larga scala contro installazioni nucleari in Iran. Missili da crociera e bombardieri stealth hanno colpito i siti di Natanz, Fordow e Isfahan, segnando il coinvolgimento diretto di Washington nel conflitto aperto tra Israele e la Repubblica Islamica. Il presidente Donald Trump ha descritto l’operazione come un successo volto a neutralizzare la presunta "minaccia nucleare iraniana”, ma in realtà si tratta di una delle più gravi rotture del diritto internazionale degli ultimi decenni, e di una dichiarazione implicita di guerra in piena regola.

Nella narrazione dominante occidentale, l’Iran viene spesso dipinto come un attore “maligno”, radicale e destabilizzante. In realtà, la postura strategica della Repubblica Islamica è per molti versi reattiva, non espansionista: si fonda su una chiara logica di contenimento dell’egemonia israelo-statunitense nella regione, piuttosto che sull’ideologia di conquista. Comprendere questa dinamica è essenziale per interpretare correttamente l’attuale conflitto.

Inoltre, la questione nucleare va decostruita con attenzione: l’Iran ha sempre dichiarato che il suo programma nucleare è civile e sotto supervisione internazionale. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) non ha mai trovato prove definitive di una militarizzazione. L’accordo JCPOA del 2015, abbandonato unilateralmente da Trump nel 2018, dimostra che Teheran ha più volte scelto la strada della diplomazia. L’Iran, infatti, cerca la deterrenza attraverso mezzi convenzionali e strategici, non l’aggressione.

La politica di Netanyahu ha sistematicamente ignorato gli appelli alla moderazione da parte di molti leader israeliani e internazionali, preferendo invece una linea dura che mira a distruggere le infrastrutture civili palestinesi, frammentare il tessuto sociale e assicurare un dominio incontrastato su tutta la Cisgiordania e Gaza.

Questa strategia non è priva di rischi. Essa espone Israele a una crescente resistenza, sia interna che regionale, e mina le basi di una possibile pace duratura. Ma finché Netanyahu e i suoi alleati avranno la forza di usare il conflitto come leva di potere, la prospettiva di una soluzione negoziata rimarrà un miraggio.

L’attacco statunitense del 21 giugno 2025 si inserisce in questo quadro come un’ulteriore spinta verso l’escalation, un supporto esterno che legittima la politica di Netanyahu e complica ulteriormente la possibilità di mediazione internazionale.

Uno degli aspetti più critici dell’attuale crisi è la gestione mediatica del conflitto. I grandi media occidentali, spesso influenzati da lobby pro-israeliane e da interessi geopolitici (vedi AIPAC ELNET in Europa e simili), hanno costruito una narrazione monodimensionale che criminalizza le resistenze palestinesi e iraniane, mentre legittima incondizionatamente le azioni israeliane.

Questa narrazione “da guerra fredda” riduce la complessità storica e politica a un binomio semplificato: “buoni contro cattivi”, “terroristi contro democrazia”. Così facendo, si alimenta un clima di paura e di odio, che giustifica aggressioni militari e la sospensione dei diritti fondamentali dei palestinesi. In effetti, la narrazione mediatica guerrafondaia in questi giorni ha preso cura di evitare - ancora una volta - di parlare delle cause strutturali focalizzandosi sulle differenze valoriale fra il Medio Oriente e l'Occidente come condizione sufficiente al bombardamento, la guerra, e l'escalation.

Come insegna Chomsky, la disinformazione e la censura di opinioni critiche non solo impoveriscono il dibattito pubblico, ma rendono impossibile costruire un consenso informato verso soluzioni di pace. La strategia mediatica serve a mantenere lo status quo, impedendo una vera riflessione sulle radici del conflitto e sulle responsabilitĂ  delle parti in causa.

Di Sabri Ben Rommane

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https://www.laluce.news/2025/06/22/gli-usa-bombardano-liran-come-si-sta-arrivando-ad-un-iraq-2-0-lanalisi-approfondita/

16/06/2025

Questa è la fine, l'ultimo capitolo intriso di sangue del genocidio. Finirà presto, alcune settimane al massimo. Due milioni di persone sono accampate tra le macerie o all'aperto. Decine di persone vengono uccise e ferite ogni giorno da carri armati, missili, droni, bombe e proiettili israeliani. ...

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