22/06/2025
Nella notte tra il 21 e il 22 giugno 2025, gli Stati Uniti hanno condotto un attacco militare su larga scala contro installazioni nucleari in Iran. Missili da crociera e bombardieri stealth hanno colpito i siti di Natanz, Fordow e Isfahan, segnando il coinvolgimento diretto di Washington nel conflitto aperto tra Israele e la Repubblica Islamica. Il presidente Donald Trump ha descritto l’operazione come un successo volto a neutralizzare la presunta "minaccia nucleare iraniana”, ma in realtà si tratta di una delle più gravi rotture del diritto internazionale degli ultimi decenni, e di una dichiarazione implicita di guerra in piena regola.
Nella narrazione dominante occidentale, l’Iran viene spesso dipinto come un attore “maligno”, radicale e destabilizzante. In realtà , la postura strategica della Repubblica Islamica è per molti versi reattiva, non espansionista: si fonda su una chiara logica di contenimento dell’egemonia israelo-statunitense nella regione, piuttosto che sull’ideologia di conquista. Comprendere questa dinamica è essenziale per interpretare correttamente l’attuale conflitto.
Inoltre, la questione nucleare va decostruita con attenzione: l’Iran ha sempre dichiarato che il suo programma nucleare è civile e sotto supervisione internazionale. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) non ha mai trovato prove definitive di una militarizzazione. L’accordo JCPOA del 2015, abbandonato unilateralmente da Trump nel 2018, dimostra che Teheran ha più volte scelto la strada della diplomazia. L’Iran, infatti, cerca la deterrenza attraverso mezzi convenzionali e strategici, non l’aggressione.
La politica di Netanyahu ha sistematicamente ignorato gli appelli alla moderazione da parte di molti leader israeliani e internazionali, preferendo invece una linea dura che mira a distruggere le infrastrutture civili palestinesi, frammentare il tessuto sociale e assicurare un dominio incontrastato su tutta la Cisgiordania e Gaza.
Questa strategia non è priva di rischi. Essa espone Israele a una crescente resistenza, sia interna che regionale, e mina le basi di una possibile pace duratura. Ma finché Netanyahu e i suoi alleati avranno la forza di usare il conflitto come leva di potere, la prospettiva di una soluzione negoziata rimarrà un miraggio.
L’attacco statunitense del 21 giugno 2025 si inserisce in questo quadro come un’ulteriore spinta verso l’escalation, un supporto esterno che legittima la politica di Netanyahu e complica ulteriormente la possibilità di mediazione internazionale.
Uno degli aspetti più critici dell’attuale crisi è la gestione mediatica del conflitto. I grandi media occidentali, spesso influenzati da lobby pro-israeliane e da interessi geopolitici (vedi AIPAC ELNET in Europa e simili), hanno costruito una narrazione monodimensionale che criminalizza le resistenze palestinesi e iraniane, mentre legittima incondizionatamente le azioni israeliane.
Questa narrazione “da guerra fredda” riduce la complessità storica e politica a un binomio semplificato: “buoni contro cattivi”, “terroristi contro democrazia”. Così facendo, si alimenta un clima di paura e di odio, che giustifica aggressioni militari e la sospensione dei diritti fondamentali dei palestinesi. In effetti, la narrazione mediatica guerrafondaia in questi giorni ha preso cura di evitare - ancora una volta - di parlare delle cause strutturali focalizzandosi sulle differenze valoriale fra il Medio Oriente e l'Occidente come condizione sufficiente al bombardamento, la guerra, e l'escalation.
Come insegna Chomsky, la disinformazione e la censura di opinioni critiche non solo impoveriscono il dibattito pubblico, ma rendono impossibile costruire un consenso informato verso soluzioni di pace. La strategia mediatica serve a mantenere lo status quo, impedendo una vera riflessione sulle radici del conflitto e sulle responsabilitĂ delle parti in causa.
Di Sabri Ben Rommane
Scopri di piĂą su LaLuce.News.
https://www.laluce.news/2025/06/22/gli-usa-bombardano-liran-come-si-sta-arrivando-ad-un-iraq-2-0-lanalisi-approfondita/