Interkavkaz Italia

Interkavkaz Italia Pubblicazione online indipendente
http://www.interkavkaz.it/

11/08/2025
08/08/2025
04/08/2025

C’è una categoria diplomatica che ricorre sistematicamente nelle inchieste sulle influenze russe in Italia, sull’elusione delle sanzioni europee e sul riciclaggio: i consoli onorari della Federazione Russa.

Protetti da uno status semi-istituzionale e da relazioni capillari con l’apparato statale, questi soggetti agiscono come veri emissari del Cremlino. Da Nord a Sud, gestiscono contatti, promuovono iniziative culturali e commerciali, indirizzano risorse e facilitano operazioni che favoriscono l’economia di guerra russa, aggirando vincoli internazionali.

Il caso più emblematico si trova nel Nord-Est, a Verona, dove Antonio Fallico – già numero uno di Banca Intesa in Russia – è console onorario della Federazione Russa e fondatore dell’Associazione Conoscere Eurasia. Dal Forum Economico Eurasiatico di Verona, poi traslocato a Baku a causa delle sanzioni, è diventato un punto di riferimento per oligarchi e operatori economici russi, contribuendo a creare canali alternativi per il commercio e la finanza attraverso triangolazioni con Bosnia, Turchia e Azerbaigian.

Continua a leggere l’articolo di su Linkiesta.it

23/07/2025

Il maestro, molto vicino a Vladimir Putin, ha un giro d’affari in Italia: possiede il Caffè Quadri di Venezia e un luna park

/di Alberto Mattioli/

Ma chi è davvero Gergiev? In questi giorni ne ha straparlato anche chi non distingue un violino da un trombone, sia pure talvolta essendolo (un trombone, intendo). Va bene quella che Benedetto Croce chiamava “onagrocrazia”, ma un po’ di chiarezza bisogna farla. Iniziando col distinguere il Gergiev 1, il musicista, dal Gergiev 2, il propagandista putiniano, che però sono purtroppo la stessa persona.

Allora: Valerij Abisalovic Gergiev, 72 anni, nato a Mosca da una famiglia dell’Ossezia, non è il più grande direttore d’orchestra del mondo, anche perché è una definizione che non significa nulla; ma uno dei grandi direttori di oggi, sì. Studi a Pietroburgo, debutto operistico nel 1978 al Mariinsky, di cui diventa direttore artistico nell’1988 e generale, quindi anche con poteri gestionali, nel 1996.

Dal dicembre 2023 è anche direttore generale del Bolshoi di Mosca. E qui, prima nota per gli asini: a differenza di quel che credono, il teatro russo più prestigioso non è il Bolshoi ma appunto il Mariinsky, del resto quello di Pietroburgo, la capitale zarista. Furono i comunisti a riportarla a Mosca e a valorizzare il Bolshoi, mentre il Mariinsky venne ribattezzato Kirov in onore di un cacicco bolscevico. Putin, che è di Pietroburgo, ha ristabilito le gerarchie e ripromosso il Mariinsky, per il quale è stata anche realizzata una seconda sala.

Intanto, Gergiev faceva una brillantissima carriera internazionale: Wiener, Berliner, molti dischi, direttore ospite del Met di New York, direttore principale della London Symphony e dei Münchner Philharmoniker, spesso anche in Italia, alla Scala, a Santa Cecilia, al Regio di Torino, eccetera. Per inciso, è pure Grande Ufficiale della Repubblica, la nostra.

Gli esiti sono talvolta alterni per bulimia di impegni ma spesso grandiosi, specie nel repertorio russo. E qui, piccola testimonianza personale. La penultima opera che diresse alla Scala fu “Chovanscina” (nota numero 2: di Musorgskij) e fu meravigliosa. Dalla platea, non riuscivo a capire come ottenesse certi effetti, dato che sembrava immobile. Chiesi quindi di replicare in un palco di proscenio in modo da osservare il podio e non il palco. Bene: Gergiev fu sempre meraviglioso, e in effetti non faceva niente.

Diresse tutta l’opera, e non esattamente facile come “Chovanscina”, tenendo la mano sinistra per lo più appoggiata al leggio e tracciando con la destra nell’aria degli strani geroglifici che ricordavano un pasticcere che spande lo zucchero a velo sulla torta. Ogni tanto estraeva una bacchetta delle dimensioni di uno stuzzicadenti e l’agitava apparentemente a caso. Ancor più incuriosito, bloccai una prima parte dell’orchestra per chiedergli come facessero non solo a non perdersi, ma a suonare così bene. Risposta (testuale): «Non lo so. Ci fissa, e basta».

Ora, uno che dirige con lo sguardo la “Chovascina” è un grande direttore, anzi, per citare ancora il professore di cui sopra, «ha le p…e che fumano». Anche “La dama di picche” (nota 3: di Caikovskij) del 23 febbraio 2022 fu meravigliosa. Ma il giorno dopo Putin invase l’Ucraina, la Scala chiese a Gergiev di dissociarsi, lui non si degnò nemmeno di rispondere e così alle repliche arrivò un altro.

E qui siamo al secondo capitolo dell’attività di Gergiev: il complice di Putin. Non si limita a restare e a lavorare nella Russia del regime, come Furtwängler in Germania durante il Terzo Reich, ma lo sostiene attivamente. Sia nel 2012 che nel 2018 ha appoggiato pubblicamente la candidatura di Putin. Nel 2014, si è schierato a favore dell’annessione della Crimea, nel 2016 ha diretto un concerto a Palmira “liberata” dalle truppe russe.

Inutile dire che sostiene l’invasione dell’Ucraina. Ultimo episodio, il 18 luglio, quando durante una recita di “Semën Kotko” (nota 4: di Prokof’ev) al Bolshoi sono state proiettate in scena delle scritte inneggianti all’annessione del Donbass. Per l’amicizia con Putin, Gergiev, ovviamente, non ci rimette. La vedova di Aleksej Navalny, Yulia, lo ha accusato di utilizzare a scopi personali i fondi della sua fondazione, teoricamente benefica. Del resto, che Gergiev fosse “un uomo d’affari” lo disse il grande Yuri Temirkanov, di cui è stato allievo. Affari, per inciso, pure italiani.

Nel nostro Paese, Gergiev possiede un enorme patrimonio immobiliare, in parte ereditato da una sua ammiratrice, un’arpista giapponese vedova del conte Ceschina. Fra i molti beni, ci sarebbero decine di immobili, un intero promontorio sulla costiera, e perfino un luna park.

Di certo, il Caffè Quadri in piazza San Marco a Venezia, il preferito da Wagner. Almeno, Gergiev non riceverà anche il cachet del concerto. E stavolta non sarà nemmeno una gran perdita dal punto di vista artistico, dato il programma scombiccherato e chiaramente turistico, da classica “for dummies” (ah, nota 5, si informano i reggitori della Reggia che “La forza del destino” di Verdi non ha un’“overture” come da loro sito ma, come si dice in italiano, una sinfonia).

https://www.lastampa.it/esteri/2025/07/22/news/valerij_gergiev_caserta_putin-15241415/amp/

06/11/2024

L’elezione di Trump sancisce la vittoria del suprematismo bianco ma gli effetti collaterali sono anche peggio perché minano le democrazie, le minoranze, le donne e la giustizia. Ed è un formidabile assist per l’estrema destra e i dittatori.

06/11/2024

Tempi bui, davvero tempi oscuri ci attendono.

31/10/2024

In un articolo sul New Statesman, il barone Maurice Glasman, membro della Camera dei Lord, rimpiange con nostalgia il passato sovietico della località ucraina. Una pericolosa testimonianza della retorica filorussa in Occidente

La storica rivista della sinistra britannica New Statesman ha pubblicato un commento del barone Maurice Glasman, membro della Camera dei Lord per il partito laburista. Nel lungo articolo, intitolato “Silent voices in the once-free city of Odesa”, l’economista racconta il suo viaggio per partecipare insieme ad altri quattrocento ospiti all’Odesa Economic Revival Forum, che si è svolto il 20 settembre nel porto ucraino.

Il racconto è intramezzato da divagazioni storiche e paralleli con i pogrom degli ebrei orientali negli anni Quaranta, condito da citazioni letterarie. Il viaggio, racconta Glasman, inizia con un volo verso «la città che conoscevo come Kishinev, ma ora è chiamata Chișinău», quasi a dispiacersi del fatto che il retaggio russo dell’occupazione sovietica sia stato spazzato via e ora la lingua ufficiale sia il romeno.

Questo sospetto trova conferma quando Glasman si duole del fatto che «non ci sono più statue di Marx a Odesa, e nemmeno di Pushkin». In realtà, la statua di Pushkin c’è ancora e si trova proprio davanti al museo a lui dedicato, benché il poeta russo visse in città solo nel 1823. È stata fasciata in una cassa di legno protettiva, come altre centinaia di statue in Ucraina, per proteggere il patrimonio culturale dai bombardamenti, ma per Glasman si tratta invece di una forma di iconoclastia e censura.

La sua narrazione fa leva sul fatto che a luglio il governatore dell’oblast, Oleh Kiper, ha deciso di rinominare una serie di vie e piazze, tra cui via Pushkina, ribattezzata via Italiana in onore degli architetti che hanno contribuito a costruire Odesa nell’Ottocento. Scelta certamente opinabile, ma comprensibile in un clima esasperato di guerra in cui ogni notte piovono missili russi sulla città ed è in corso un’evoluzione dell’identità nazionale.

Ad ogni modo, Glasman si supera quando afferma che «Odesa è storicamente una città russofona ma la lingua russa è bandita in ogni luogo pubblico, quindi è muta». È sufficiente camminare per le sue strade, come ho fatto anch’io a ottobre, per rendersi conto che è completamente falso: si sente parlare russo a ogni angolo, nei ristoranti e sui taxi. Secondo alcuni osservatori, nel suo articolo Glasman avrebbe persino mentito su piogge torrenziali mai avvenute durante la sua permanenza e su bombardamenti che non combaciano con quelli registrati.

L’immagine di una città repressa, mista a una certa nostalgia per i simboli sovietici, è il messaggio centrale dell’articolo del New Statesman, che su Twitter ha ricevuto solo ventuno mi piace a fronte di migliaia di reazioni negative e commenti indignati. La propaganda del Cremlino cerca di dipingere Odesa come una città russa solo perché russofona, ma se passeggiate per le sue strade noterete qualcosa che non si vede neppure a Kyjiv: gli abitanti hanno dipinto e issato la bandiera ucraina letteralmente a ogni portone.

Glasman, che si dilunga a raccontare dei pogrom degli ebrei del 1941, commessi dalle truppe di occupazione romene, non dedica nemmeno una parola a cosa fu Odesa durante lo stalinismo. Eppure, tra una citazione letteraria di Isaac Babel, autore dei “Racconti di Odesa” con il sobborgo della Moldavanka e la malavita ebraica, avrebbe calzato anche una citazione di Simenon. Come quando in “Europa 33” lo scrittore belga racconta della polizia politica che lo pedinava appena usciva dall’Hotel Londonskaya sul Prymorsky boulevard, a due passi dalla famosa scalinata Potemkin, o della miseria estrema che la guida assegnata dal regime cercava di nascondergli.

La statua di Babel è ancora al suo posto nel centro città, mentre a fine 2022 il consiglio comunale ha votato per la rimozione dal piedistallo di quella dell’imperatrice russa Caterina la Grande, nell’ambito della politica ucraina di “decolonizzazione” dal retaggio imperialista russo. Proprio mentre mi trovavo a Odesa, una sera alla base di quel piedistallo una donna in evidente stato di alterazione ha cercato di sventolare una bandiera russa. I passanti indignati hanno chiamato la polizia che ha proceduto al fermo.

La donna si chiamava Elena Chesakova e anni fa si era trasferita dalla città russa di Perm a Odesa con la madre. Ha ripetuto in modo maniacale la propaganda russa sul «regime di Kyjiv» e sul rogo alla Casa dei Sindacati di Odesa del 2014, grande cavallo di battaglia dei filorussi. Qualche giorno dopo, la disinformazione di Mosca e persino il presentatore Solovyev hanno fatto circolare la notizia falsa secondo cui la donna era stata torturata a morte durante la detenzione.

È stata presto smentita: la donna è viva e si trova agli arresti domiciliari. È già nota alla polizia locale per ubriachezza molesta, atti vandalici e altri comportamenti simili. La madre, che si definisce «russa fino al midollo», condivide le opinioni della figlia sulla necessità di riunire l’Ucraina nel Russkij Mir putiniano, ma grazie al passaporto ucraino ottenuto a Odesa vive ipocritamente in Repubblica Ceca, come molti altri russi.

https://www.linkiesta.it/2024/10/odessa-putin-filoputiniana-cremlino-retorica-new-statesman-pugliese-sovietico-ucraina-pericolosa-cremlino-voce-russia/

29/10/2024

Nessuna pietà per la banda del buco rossonera. Difesa inguardabile. Un Milan fonse(c)cato…

29/10/2024

Il sospetto di dati venduti a potenze straniere. Gli indagati hanno fatto ricerche su alcuni importanti investitori tra cui Kharitonin

La banda milanese degli spioni avrebbe fatto ricerche su investitori stranieri, in particolare russi. E avrebbe tentato di costuire all’estero una rete di server con cui aggirare i controlli, forse pure per fornire informazioni ad «agenzie straniere». C’è anche questo nell’inchiesta della Dda di Milano, coordinata dal pm Francesco De Tommasi, che ha portato anche al sequestro di server in Lituania utilizzati per penetrare nelle banche dati del Viminale.

È stato Nunzio Samuele Calamucci, l’hacker del gruppo, a svelare che la «piattaforma Beyond», il software aggregatore di informazioni creato dalla banda, «è collegata a due server centrali, uno situato a Londra e uno ubicato in Lituania». A Londra sarebbe stata costituita una società specchio di quella milanese, la Equalize Ltd, in cui avrebbe operato un gruppo di «ragazzi» che si sarebbe occupato di «accessi diretti» all’archivio Sdi delle forze dell’ordine. Per questo, gli inquirenti valutano anche l’ipotesi di una rogatoria verso le autorità inglesi.

In questo contesto sono saltati fuori i contatti con «servizi segreti, pure stranieri», e i report su alcuni imprenditori russi. Nel gennaio 2023 Calamucci parla con Camponovo, anche lui ora ai domiciliari, di una «applicazione per la traduzione simultanea della lingua russa», che gli «consentirebbe di realizzare un report relativo alla presenza di alcuni asset economici russi in Europa». In un caso sarebbero finiti nel mirino Victor Kharitonin, ritenuto vicino al governo di Mosca nonché proprietario di «El Camineto» di Cortina gestito da una società di Flavio Briatore, e Alexandrovich Toporov, magnate kazako proprietario dell’hotel Savoia a Cortina e che lavora nel campo immobiliare.

Anche Kharitonin è un nome che ha incrociato le cronache pugliesi. L’oligarca si è infatti comprato l’immobile simbolo dell’indagine sul crac della Fimco, la società di Vito Fusillo al centro di uno dei processi ai vertici della Banca Popolare di Bari. Si tratta del palazzo di via delle Muratte, a due passi dalla Fontana di Trevi, che l’immobiliarista napoletano Salvatore Leggiero aveva comprato da Fimco senza metterci un centesimo-

Kharitonin, amico di Roman Abramovic e proprietario di un colosso della farmaceutica tedesca, per quella operazione ha versato una cifra vicina ai 40 milioni di euro, 12 dei quali sono finiti nelle casse del fallimento Fimco. Il palazzo di via delle Muratte era stato utilizzato dalla Fimco per ottenere da PopBari circa 40 milioni di finanziamenti, poi trasferiti alla Maiora (altra società di Fusillo) per altre operazioni, ma poi era intervenuta BankItalia e i vertici PopBari, per alleggerire l’esposizione verso Fusillo, avevano indotto Fimco a vendere l’immobile, finito a Leggiero, che lo acquistò grazie a un mutuo da 32 milioni erogato dalla stessa Popolare. Anche gli altri 8,6 milioni per completare l’operazione arrivarono dall’istituto all’epoca guidato dagli Jacobini attraverso la Leggiero Re, altra società dell’immobiliarista napoletano. Dopo il fallimento Fimco, la curatela aveva chiesto al Tribunale di revocare la vendita del palazzo a Leggiero. Ma lo stesso Tribunale fallimentare ha ritenuto che il trasferimento alla società di Kharitonin (attraverso l’utilizzo di un conto escrow gestito da un notiaio di Pordenone) fosse più conveniente per i creditori della Fimco, che difficilmente avrebbero potuto ricavare più di 12 milioni dalla vendita all’asta del palazzo (gravato da ipoteche per oltre 90 milioni). Il credito di Bpb era invece stato ceduto ad Amco, che dunque chiude l’operazione con una plusvalenza milionaria.

Kharitonin è noto in Europa tra gli appassionati di motori. È infatti il proprietario del circuito di Formula 1 del Nürburgring, ed in passato ha investito in alcune cantine della Franciacorta. Le verifiche hanno escluso che la sua attività (attraverso una società di diritto europeo) ricada nelle sanzioni contro la Russia. Il palazzo romano, acquistato dalla società Lajadira, dovrebbe essere trasformato in un albergo di lusso.

Tornando all’inchiesta milanese c’è anche un capo di imputazione su presunti accessi abusivi, il 13 marzo, alle banche dati Sdi e Punto Fisco su Vladimir Tsyganov e Oxana Bondarenko, quest’ultima titolare di una serie di showroom in Russia. Operazioni contestate anche questa volta a Giuliano Schiano, militare della Gdf in servizio alla Dia di Lecce e destinatario di misura interdittiva venerdì scorso giorni fa. La richiesta delle verifiche sarebbe arrivata sempre da Calamucci, ritenuto da chi indaga il capo dell’associazione per delinquere.
https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/primo-piano/1571949/spuntano-i-dossier-sugli-oligarchi-russi-ce-pure-luomo-che-compro-i-beni-di-fusillo.html

Indirizzo

Via Alessandro Tadino, 18
Milan
20124

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando Interkavkaz Italia pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Condividi