CNC Media

CNC Media Siamo quelli della papera gialla! CNC Media è una realtà editoriale seguita da oltre 2 milioni di persone.

Il suo iconico simbolo, la papera gialla, rappresenta la libertà, l’inclusione e la lotta contro le ingiustizie, ispirata all’opera di Florentijn Hofman e adottata dai movimenti di protesta globali. CNC Media produce Daily Five, il podcast condotto da Emilio Mola. Daily Five è un appuntamento quotidiano che racconta in 20 minuti i fatti più importanti del giorno. Con migliaia di ascoltatori e una

community fedele, è tra i più ascoltati in Italia. Nel corso degli anni CNC Media ha attraversato l’Italia con il Tour della Sostenibilità, un progetto che ha coinvolto il Ministero dell'Ambiente e oltre 2.500 partecipanti in quattro città, promuovendo temi fondamentali come l’ambiente e l’innovazione. Alla realizzazione dei contenuti hanno collaborato firme prestigiose come BarbascuraX, Valerio Nicolosi, Cathy La Torre, Greta Cristini, Giulia Innocenzi, Virginia Benzi, Marco Carrara e tanti altri.

Chi l’avrebbe mai detto che un giorno, entrando in chiesa, al posto delle monetine da un euro avremmo trovato un totem d...
05/09/2025

Chi l’avrebbe mai detto che un giorno, entrando in chiesa, al posto delle monetine da un euro avremmo trovato un totem digitale per le offerte?

Eppure sta succedendo davvero: in Italia stanno arrivando i POS nelle chiese. Niente più frugare nelle tasche alla ricerca di spiccioli per accendere una candela, perché ora l’obolo passa direttamente dalla carta o dallo smartphone.

L’iniziativa è di Banco BPM e Numia, con il sostegno della Conferenza Episcopale Italiana, e punta a rivoluzionare il modo di fare donazioni nei luoghi di culto. Dopo i test già avviati in alcune chiese simbolo – come Sant’Ambrogio a Milano o le Basiliche di Assisi – l’obiettivo è arrivare a 100 totem entro il Giubileo del 2025. Sono colonnine digitali con schermo touch e istruzioni multilingua: due tocchi e l’offerta è fatta.

Lo scopo è rendere più semplice un gesto antico. Quanti ormai girano senza contanti? Con il POS digitale, anche i “fedeli 2.0” possono non rinunciare a offrire qualcosa per i bisognosi. E non è solo questione di comodità: significa più sicurezza e tracciabilità, un passo avanti anche per la gestione economica delle diocesi.

La novità fa parte di un percorso più ampio: la Chiesa italiana sta cercando strumenti digitali che si adattino alle realtà più diverse, dalle grandi cattedrali alle parrocchie di quartiere.

L’obiettivo è creare una vera e propria “cultura della donazione digitale”, capace di sostenere non solo le attività religiose ma anche quelle sociali e solidali.

Certo, qualcuno storcerà il naso: per alcuni il rischio è quello di trasformare un gesto spirituale in una transazione fredda e impersonale. Ma forse è il contrario: se la tecnologia semplifica il gesto, più persone saranno spinte a compierlo, e quel contributo avrà un impatto reale sulle comunità.

Tra un clic e una candela, l’offerta in chiesa cambia volto. Non più solo monete che tintinnano, ma un gesto che si aggiorna ai tempi, restando comunque lo stesso: un modo per sostenere chi vive e lavora ogni giorno dentro e fuori le mura delle parrocchie.

Giorgio Armani, il Re della moda italiana, è morto. Tanti italiani hanno lasciato un’impronta nella storia di questo Pae...
04/09/2025

Giorgio Armani, il Re della moda italiana, è morto.

Tanti italiani hanno lasciato un’impronta nella storia di questo Paese: condottieri, politici, studiosi, artisti, inventori. Armani era uno di questi, un visionario, un innovatore, un uomo che ha fatto dello stile e dell’eleganza la cifra della sua intera esistenza.

Definirlo “solo” stilista sarebbe quasi riduttivo; lui, “Re Giorgio”, l’uomo nato a Piacenza e che doveva diventare medico, ha cambiato la storia della moda in Italia. Solo pochi giorni fa aveva comprato la “Capannina” a Forte dei Marmi, uno dei simboli di quell’Italia in cui lui è diventato “LO” stilista italiano, “IL” Re della moda.

Ma il marchio Armani non ha solo vestito attori, modelli e personaggi famosi: con la sua linea sportiva (EA7) o con “Armani Exchange”, il Re ha portato lo stile nelle case di tutti noi, sulle piste da sci o sui campi da gioco.

“Lo stile consiste nel corretto bilanciamento tra sapere chi sei, che cosa va bene per te e come vuoi sviluppare il tuo carattere. I vestiti diventano l’espressione di questo equilibrio”, diceva il Re. Un uomo, Giorgio Armani, che ha dato tutto per lo stile, la moda e l’eleganza.

“L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”, e lei, Giorgio Armani, si è fatto ricordare, per sempre.

La terra le sia lieve.

Parlare di sesso oggi significa molto più che parlare di piacere. È salute, consapevolezza, responsabilità, ma anche lib...
04/09/2025

Parlare di sesso oggi significa molto più che parlare di piacere. È salute, consapevolezza, responsabilità, ma anche libertà e cambiamento culturale.

Sempre più giovani riconoscono quanto la sessualità influenzi non solo il corpo, ma anche la mente, le relazioni e il modo in cui ci si percepisce. Non è un caso che per tre ragazzi su quattro tra i 18 e i 24 anni il sesso abbia un impatto diretto e positivo sul loro benessere.

Dietro questa nuova attenzione non ci sono solo statistiche, ma un mutamento reale di approccio. La fantasia, ad esempio, non è più un tabù: molte ragazze e ragazzi dichiarano di voler esplorare le proprie curiosità, tradurle in esperienze e viverle senza sentirsi giudicati.

Allo stesso tempo cresce la consapevolezza che il benessere sessuale non è statico, ma può migliorare nel tempo.

Naturalmente non tutto è semplice.

Oltre la metà dei giovani racconta di aver affrontato difficoltà legate alla sfera sessuale e spesso le soluzioni trovate non si sono rivelate efficaci. È qui che entra in gioco l’importanza di un’educazione seria, accessibile e non lasciata al caso. Perché se oggi la maggior parte dei ragazzi si informa attraverso i social, la scuola resta ancora troppo indietro.

Il cambiamento però è tangibile.

Le ragazze si mostrano più coscienti del proprio diritto al piacere, più pronte a prendersi responsabilità concrete, dal contraccettivo al s*x toy, senza sentirsi giudicate. I ragazzi, invece, stanno imparando a liberarsi di vecchi stereotipi che li volevano sempre forti e performanti. Oggi sanno che possono mostrare emozioni, vivere relazioni in cui la sessualità non è un obbligo di prestazione, ma uno spazio di condivisione.

In fondo, il benessere sessuale non è altro che questo: costruire momenti in cui il piacere si accompagna al rispetto, alla libertà e alla possibilità di essere se stessi. Un obiettivo che passa dall’educazione, dalla cultura e dal coraggio di immaginare un futuro con meno stereotipi e più autenticità.

Un tempo era un prodotto di nicchia per appassionati, ma oggi il matcha è finito ovunque: cappuccini fluorescenti su Ins...
03/09/2025

Un tempo era un prodotto di nicchia per appassionati, ma oggi il matcha è finito ovunque: cappuccini fluorescenti su Instagram, croissant al tè verde, persino creme per la pelle.

Nel giro di pochi anni, la polvere più instagrammata del pianeta è passata dall’essere un culto di nicchia al diventare una moda globale. Tutti lo vogliono, tutti lo fotografano, pochi si ricordano che dietro quel verde brillante ci sono raccolti delicati e lavorazioni lente.

Il problema?

La domanda cresce, ma la produzione no. In Giappone, che rivendica l’originalità e la qualità del matcha, quest’anno il raccolto è calato rispetto al 2024, quando erano state prodotte oltre 5mila tonnellate, più del doppio rispetto a dieci anni fa. Negli USA – che da soli comprano un terzo del matcha esportato dal Giappone – i fornitori dicono che le scorte che una volta duravano un mese oggi spariscono in pochi giorni.

Le piante di “tencha”, da cui nasce la polvere, non si improvvisano: ci vogliono cinque anni prima che siano pronte. Inoltre, la regione di Kyoto (dove si produce il 25% del matcha giapponese) l’anno scorso è stata colpita da un caldo anomalo e il raccolto è stato magro. Risultato: prezzi schizzati alle stelle, più che raddoppiati in un anno.

In Asia, intanto, le aziende agricole non trovano giovani disposti a fare i contadini, e 4 attività su 5 hanno chiuso tra il 2000 e il 2020. Proprio quando il mondo ha iniziato a impazzire per la polvere verde, chi la produceva non c’era più.

E non basta piantare qualche albero in più: il matcha non è caffè solubile, serve ombra, clima mite e lavorazioni artigianali che non si velocizzano con un clic. Così i bar iniziano a restare senza scorte, nei negozi turistici giapponesi si mettono limiti all’acquisto e alcune aziende parlano di scaffali sistematicamente vuoti.

Il paradosso è che il matcha è nato come simbolo di lentezza, contemplazione, ritualità. E invece l’Occidente lo ha trasformato nell’ennesimo prodotto da consumo compulsivo, a rischio esaurimento come le sneaker in edizione limitata.

Volete davvero assaporarlo? Forse l’unica soluzione è rallentare, prima che il matcha sparisca, travolto dalla sua stessa mania.

Affittare una stanza in Italia continua ad essere, per molti studenti e giovani lavoratori, un’impresa sempre più costos...
02/09/2025

Affittare una stanza in Italia continua ad essere, per molti studenti e giovani lavoratori, un’impresa sempre più costosa.

Milano resta il simbolo di questa sfida: 732€ al mese (di media ovviamente) per una singola, cifre che superano di gran lunga il budget medio di chi si trasferisce per studiare. Bologna (632 euro) e Firenze (606) non sono da meno, mentre Roma, con 575 euro, si conferma fuori portata per chi non può contare su un sostegno familiare solido.

Questi prezzi, forse, spiegano perché la domanda sta rallentando.

Non è un calo legato alla minore necessità, ma all’impossibilità di sostenere certi costi. A Bologna le richieste sono crollate del -38%, a Napoli addirittura del -47%. Milano segna un -13%, segno che anche la capitale economica d’Italia non è più appetibile come prima. In controtendenza, però, ci sono città che attirano chi cerca un equilibrio tra qualità della vita e costi più umani: Venezia (+30%), Genova (+59%) e soprattutto Ancona (+77%).

Il divario tra Nord e Sud si riflette anche nei prezzi. A Ferrara (399€), Bari (380€) o Parma (415€) una stanza resta accessibile, mentre a Foggia (249€), Catanzaro (243€) o Chieti (228€) i costi scendono a livelli che a Milano non si vedono nemmeno per un posto letto in doppia.

È evidente che lo squilibrio tra le principali città universitarie e il resto del Paese continua ad allargarsi.

E se in Italia i prezzi sembrano proibitivi, il confronto con l’Europa racconta una realtà ancora più complessa. Amsterdam sfiora i 970€ per una singola, l’Aia e Rotterdam superano gli 800€, Parigi si ferma a 750. Milano appare quasi “a buon mercato”, ma resta comunque una barriera enorme per chi deve lasciare casa per inseguire un percorso di studio.

Se all’affitto aggiungiamo l’inflazione e i rincari su tutto, il messaggio sembra chiaro: la vita da fuorisede costa troppo. E finché non ci sarà una vera politica abitativa, studenti e giovani lavoratori saranno costretti a scegliere non in base ai sogni, ma a ciò che riescono a permettersi.

“Il finanziamento statale della scuola italiana non è assolutamente inferiore a quello di tanti altri Paesi europei”.Que...
01/09/2025

“Il finanziamento statale della scuola italiana non è assolutamente inferiore a quello di tanti altri Paesi europei”.

Queste sono state le parole del Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, qualche giorno fa, ospite al Meeting di Rimini. La realtà dei fatti, però, è un po’ diversa.

I dati, infatti, smentiscono il ministro. Secondo Eurostat (i cui ultimi dati disponibili fanno riferimento al 2023) l’Italia spende il 3,9% del suo Pil in istruzione, peggio fanno solo Romania (3,4%) e Irlanda (2,8%). La media UE è del 4,7% e gli altri grandi Paesi europei (come Francia e Germania) hanno percentuali più alte (rispettivamente 5% e 4,5%).

Ma voi potreste dire: beh ma magari sul totale della spesa statale l’Italia investe molto.

E invece no, anzi, la situazione peggiora.

Se consideriamo la percentuale dedicata all’istruzione sul totale della spesa degli stati membri dell’Unione Europea, l’Italia scivola in ultima posizione, investendo il 7,3% contro una media UE del 9,6%

Va tuttavia precisato che la bassa spesa in istruzione non è una novità per il nostro Paese. Anzi: è una costante che non conosce bandiere o colori politici. Dal 2016 al 2019 è stata circa del 3,8% sul PIL, salendo brevemente a circa il 4,1% nel 2020-21-22, per poi scendere di nuovo al 3,9% nel 2023.

Anche quando c’è stato quel breve - e contenuto - aumento, la percentuale era inferiore a quella della Media UE.

Il discorso non è nuovo: un paese che non investe nell’istruzione è un paese che sta tagliando le gambe alle sue generazioni future. È un paese che se ne infischia di scuole che cadono a pezzi,di attrezzature vecchie e obsolete, di personale non adeguatamente retribuito. È un paese che manca di lungimiranza, troppo impegnato a strizzare l’occhio ad altre spese, forse meno importanti o urgenti.

E tutto questo accade quando tra pochi giorni più di 700.000 italiani (tra studenti e personale) torneranno sui banchi di edifici che, come ha rivelato il report di Tuttoscuola, non sono in regola in 9 casi su 10, in quanto mancanti delle credenziali di sicurezza per i rischi sismici e idrogeologici o dei certificati di agibilità e dei piani di evacuazione.

“L'estate sta finendo e un anno se ne va / sto diventando grande lo sai che non mi va”.La canzone dei Righeira - che tut...
30/08/2025

“L'estate sta finendo e un anno se ne va / sto diventando grande lo sai che non mi va”.

La canzone dei Righeira - che tutti abbiamo sentito almeno una volta nella vita - compie quest’anno 40 anni, ma ancora racconta un pezzo di ognuno di noi.

L’estate sta finendo, è vero, e la pioggia che sta bagnando molte regioni da settimane sembra ricordarcelo chiaramente, quasi urlarcelo. L’estate sta finendo e cosa si porta dietro?

Ognuno di noi potrebbe scrivere la sua esperienza: ci sono stati amori, baci, sorrisi, abbracci, e ci saranno state anche lacrime, dolore, addii, ansie.

L’estate sta finendo, ricordandoci che tutto, nella vita, ha una fine. Ma se per i Righeira questa era una fine dolorosa (“Io sono ancora solo non è una novità / tu hai già chi ti consola a me chi penserà” e ancora “Una fotografia è tutto quel che ho / ma stanne pur sicura io non ti scorderò”), non deve essere per forza così.

Perché per ogni estate che finisce, inizia un autunno fatto di colori magnifici e nuove avventure.
Per ogni amore che giunge al termine, inizia (prima o dopo) una nuova scintilla che ci scalda il cuore.
Per ogni esperienza finita, inizia la possibilità di un mondo nuovo, inaspettato.

I Righeira dedicarono questa canzone, malinconica, alla fidanzata “che ancora non avevano avuto”, ma il brano è anche un inno alla paura di crescere. E chi non ha paura di crescere?

Passare dalle estati in cui l’unica preoccupazione erano i compiti, a quelle in cui si preparano gli esami della sessione estiva e poi di quella autunnale, o a quelle in cui si cerca di incastrare le ferie, decidendo a cosa rinunciare.

Crescere vuol dire posare i giochi e cercare un lavoro, pagare le bollette e far quadrare i conti. Vuol dire avere responsabilità, impegni, aspettative, delusioni e soddisfazioni, scelte importanti. E se da un lato è bellissimo sentirsi grandi, dall’altro c’è qualcuno a cui non fa paura?

Sì, l’estate sta finendo e noi sbuffiamo perché torniamo in ufficio o in università. Però, anche se non ce ne accorgiamo, ci torniamo con qualche consapevolezza in più. L’estate sta finendo, e noi - credetemi - siamo pronti a ciò che accadrà, anche se ne siamo spaventati.

✍🏻 Andrea Fiori

È finito il tempo del  “padre che porta i soldi a casa” e, al massimo, legge una favola la sera ai figli?Oggi quell’imma...
29/08/2025

È finito il tempo del “padre che porta i soldi a casa” e, al massimo, legge una favola la sera ai figli?

Oggi quell’immagine è sempre più vecchia, e i dati lo dimostrano. I papà Millennial passano con i figli tre volte più tempo dei loro genitori e quasi il 60% dice che la genitorialità è parte essenziale della propria identità. Non è più “dare una mano”: vogliono esserci.

La trasformazione è enorme.

Nel 1982 quasi la metà degli uomini non aveva mai cambiato un pannolino. Oggi il 97% lo fa senza pensarci. I padri che scelgono di restare a casa sono aumentati del 70% e in Italia l’utilizzo del congedo di paternità è più che triplicato in dieci anni.

Quindi anche basta chiamarli “mammi” eh.

Eppure, mentre la società corre, le leggi arrancano. In Italia i papà hanno diritto a soli 10 giorni obbligatori (più uno facoltativo). Dieci giorni: quanto basta per mo***re la culla e capire come funziona il fasciatoio. Poi basta, si torna al lavoro.

Altri mesi ci sarebbero, ma retribuiti solo al 30%: sulla carta un’opportunità, nella realtà un lusso. Non sorprende che siamo agli ultimi posti in Europa.

Il punto è che i padri vogliono davvero questo tempo. Non lo chiedono più solo le madri, stremate da carichi di cura e carriere spezzate, ma gli stessi uomini. Dove le aziende hanno esteso il congedo al 100%, sette padri su dieci ne hanno approfittato. Non per “scappare dal lavoro”, ma per sostenere la partner e vivere i primi mesi con i figli.

Certo, non in tutta Italia la situazione è la stessa. Al Nord i tassi di utilizzo superano il 75%, come in Veneto, Lombardia o Trentino-Alto Adige. Al Sud invece i numeri crollano: in Calabria si ferma a un misero 35%. Non solo cultura, ma anche precarietà, stipendi bassi e la paura di perdere il posto se ci si assenta.

Alla fine il tema è semplice: non è un favore ai papà, è un investimento nel futuro. Dare più tempo ai padri significa alleggerire le madri, ridurre disuguaglianze, creare famiglie più equilibrate. Crescere un figlio non dovrebbe essere una maratona in solitaria, ma una staffetta.

Chi l’ha detto che diventare adulti significhi archiviare per sempre i giocattoli? C’è una generazione che non ci sta e ...
27/08/2025

Chi l’ha detto che diventare adulti significhi archiviare per sempre i giocattoli?

C’è una generazione che non ci sta e che, tra un esame universitario e una riunione di lavoro, colleziona pupazzi come trofei di libertà. Li chiamano “kidults” (kid+adult), adulti-bambini che rivendicano il diritto di continuare a giocare.

L’oggetto del momento è il Labubu, un piccolo mostriciattolo dall’aria dispettosa che sembra uscito da un incubo tenero. Per lui si formano code infinite davanti ai negozi Pop Mart: c’è chi lo porta in discoteca attaccato alla cintura, chi lo sfoggia in ufficio come portafortuna e chi non esita a spendere cifre folli pur di completare la collezione.

Ma i Labubu sono solo la scintilla.

Il fenomeno è molto più ampio: oggi non è più imbarazzante dire di amare i LEGO, i peluche, le action figure o i modellini. Anzi, i social hanno trasformato queste passioni in badge identitari, spingendo sempre più adulti a mostrarsi senza filtri.

La ragione?

Forse sta nel fatto che i vecchi traguardi dell’età adulta – lavoro stabile, casa, famiglia – non sono più così scontati. Molti giovani preferiscono investire tempo e denaro in qualcosa che regala un senso immediato di felicità. Su TikTok impazzano i video in cui si mostrano acquisti volutamente “infantili”, ribattezzati con ironia “soldi da adulti”.

Le aziende hanno fiutato l’occasione.

LEGO ha lanciato set complessi dedicati agli over 20, Hot Wheels sforna edizioni limitate per nostalgici, Build-A-Bear ha persino creato orsetti con cocktail in mano. Perfino McDonald’s è salito sul treno con Happy Meal per grandi, carichi di sorprese pensate per chi un tempo era bambino e oggi non vuole smettere di esserlo del tutto.

E i numeri raccontano che non si tratta di un capriccio passeggero.

Negli Stati Uniti quasi un adulto su due ha comprato un giocattolo per sé negli ultimi mesi, mentre in Europa una buona fetta delle vendite è ormai diretta agli over 18. In fondo il messaggio è semplice: crescere non vuol dire rinunciare alla meraviglia, ma imparare a portarla con sé.

La storia, come la nostra vita, è costellata di luoghi, eventi, persone e anche animali. Ci accompagnano da quando siamo...
26/08/2025

La storia, come la nostra vita, è costellata di luoghi, eventi, persone e anche animali. Ci accompagnano da quando siamo bambini, diventano compagni di gioco e terapisti inconsapevoli.

Il cane fa compagnia all’uomo da più di 10.000 anni, servendo come amico e come aiuto nel lavoro. Quanti di voi hanno un cucciolo al loro fianco, a tutti gli effetti un membro della famiglia.

Ma alcuni, a volte, compiono anche gesti che rimangono nella storia.

Qui ve ne abbiamo raccontati alcuni, ma ce ne sono molti altri di cui non rimangono tracce o fotografie.

Come Caffaro, il bulldog che combatté insieme ai garibaldini nella battaglia di Ponte Caffaro, al confine tra la Lombardia e il Veneto, durante la Terza Guerra d’Indipendenza. Difese il suo padrone costringendo un capitano austriaco alla resa, e nell’impeto della battaglia morse anche un sergente, che nel difendersi lo ferì.

Ma potremmo menzionare anche Bobby, un terrier, che nel 1850 fece la guardia alla tomba del suo padrone per più di 10 anni.

O ancora il leggendario Argo, il cane di Ulisse che aspettò il suo padrone per 10 anni, quando, vecchio e malato, morì felice tra le sue braccia dopo averlo rivisto per l’ultima volta.

Moltissimi giovani, quando vogliono continuare a fare ricerca, se ne vanno dall’Italia. Ma perché?La risposta è disarman...
25/08/2025

Moltissimi giovani, quando vogliono continuare a fare ricerca, se ne vanno dall’Italia. Ma perché?

La risposta è disarmante e sembra semplice, anche se non lo è: perché stanno meglio all’estero. Perché sono più pagati, più valorizzati, e spesso perché possono usare attrezzature più moderne e all’avanguardia.

Questo, però, è profondamente sbagliato.

Fare ricerca è fondamentale affinché le varie discipline possano progredire, evolversi e rinnovarsi. È un lavoro a tutti gli effetti, impegnativo, pieno di sfide e dolori, eppure troppo spesso viene sminuito e visto come superfluo. E troppo spesso i ricercatori cercano altri impieghi, o scappano all’estero.

La differenza salariale tra i ricercatori post-dottorato e i professori universitari è evidente e innegabile. Non parliamo di numeri, ma di vite, di talenti che alimentano la didattica e la scienza italiana, di persone che oggi guadagnano in media 1.630 euro al mese lavorando oltre 46 ore settimanali, senza tutele né sicurezze.

È un paradosso: chiediamo loro di guidare le sfide della transizione ecologica, digitale e sanitaria, ma li trattiamo come lavoratori temporanei, finanziati da progetti frammentari e instabili.

Il risultato è che il 74% vive con l’ansia del futuro, stress, insonnia e senso di precarietà che logorano anche la salute mentale. Le donne e i ricercatori del Sud pagano il prezzo più alto: discriminazioni, contratti più brevi, meno mobilità.

Eppure questa non è solo una questione di lavoro: è il cuore del futuro del Paese. Perdere i nostri ricercatori significa condannare l’Italia alla fuga di cervelli, a un’università impoverita, a un’economia incapace di innovare. Ogni contratto che si spegne è una possibilità in meno per affrontare le sfide globali.

Serve coraggio. Serve una scelta politica radicale: stabilizzare chi fa ricerca, finanziare in modo stabile le università, restituire dignità a chi ha deciso di dedicare la propria vita alla conoscenza.

Non è un favore a pochi, ma un investimento collettivo: perché senza ricerca non c’è futuro, senza futuro non c’è speranza.

Il mondo sembra senza speranze, soprattutto per i giovani. Crisi climatiche, guerre, precarietà lavorativa, disuguaglian...
23/08/2025

Il mondo sembra senza speranze, soprattutto per i giovani.

Crisi climatiche, guerre, precarietà lavorativa, disuguaglianze sempre più evidenti: è questo il panorama che hanno davanti. Un contesto che spesso li spinge a chiedersi se valga la pena lottare per un futuro migliore o se sia già tutto segnato.

Eppure, dietro lo sguardo disilluso che molti attribuiscono loro, c’è una generazione che prova a farsi spazio, che non accetta di restare ferma, che cerca un senso in un presente fragile.

I giudizi negativi non mancano: vengono descritti come pigri, sempre con lo smartphone in mano, più interessati a lamentarsi che ad agire. L’etichetta del “nullafacente” è comoda per chi non vuole vedere il cambiamento. Ma non racconta tutta la verità.

Perché accanto a chi si rifugia nell’apatia esiste una marea di ragazzi e ragazze che scelgono ogni giorno di impegnarsi: nelle associazioni, nelle scuole, nei movimenti per la giustizia climatica e sociale. Giovani che trasformano la frustrazione in azione, che non si accontentano del mondo ereditato.

Il desiderio di un futuro migliore è reale. È nelle manifestazioni per il clima, nelle start-up sostenibili, nelle battaglie per i diritti. È nella volontà di costruire comunità nuove, più giuste, più umane.

Eppure questo slancio si scontra con muri difficili da abbattere: la mancanza di fiducia da parte degli adulti, la precarietà che soffoca i sogni, l’idea che il cambiamento sia impossibile.

Ogni epoca ha accusato i propri giovani di non essere all’altezza, eppure è sempre stata la loro energia a spingere la società oltre i propri limiti. Ma generalizzare è un errore: i giovani non sono pigri per natura, sono figli di un tempo difficile, e proprio per questo cercano di scrivere una storia diversa.

Il futuro non è già scritto. È una sfida aperta, che passa dalle mani di chi oggi viene criticato ma che domani sarà chiamato a guidare il cambiamento.

E se spesso vengono visti come fragili o distratti, è altrettanto vero che sono loro, con le loro contraddizioni e la loro determinazione, a portare sulle spalle la speranza di un mondo migliore.

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