30/08/2025
In ognuno degli ormai innumerevoli mesi d'agosto trascorsi a Santa Teresa di Gallura, accadeva sempre di passare alcune serate a cena con tutta la famiglia allargata. Noi dal Continente, tutti gli altri invece ivi residenti. Da che ricordi, il posto di capotavola è sempre stato di zio Antonello. Non c'era molto da discutere, nemmeno da pensarci su. Era naturale. Ci sedevamo automaticamente nei posti accanto, e quello rimaneva libero per lui, che arrivava quasi sempre per ultimo.
Una settimana precisa fa, sapendo che da lì a poco avremmo tutti ripreso la strada di casa dopo le vacanze, zia Margherita - sua moglie e sorella di mia mamma - ha messo in forno le lasagne con i carciofi e io ho iniziato a leccarmi i baffi. Dovete sapere che Margherita è forse la migliore cuoca che io abbia mai conosciuto.
Ogni volta che ci sedevamo a tavola assieme, cercavo sempre di stimolare Antonello a raccontarci qualcosa. Le storie che più mi interessavano erano quelle legate alla grande scuola sassarese della Democrazia Cristiana, lui che era moroteo di formazione e io che vengo - come mio padre - da una tradizione socialista. Ci parlava di Paolo Dettori, il suo riferimento, Pietrino Soddu, e ovviamente di Francesco Cossiga, che capitò lo chiamasse a casa.
La sua stagione da protagonista fu quella degli anni Ottanta, Novanta e Zero, che visse da Sindaco di Tempio Pausania, poi come consigliere comunale e regionale, assessore comunale e provinciale, capo di gabinetto. La sua serietà assoluta non lasciava spazio alle chiacchiere. Prendeva molti voti, in un periodo in cui la classe dirigente era popolata di persone di qualità, e andare a votare non era un di cui.
Negli ultimi anni, complici gli acciacchi fisici e uno stato di salute complesso, la sua proverbiale laconicità veniva attraversata da sprazzi di generosità verbale. Così capitava che rimanesse più del consueto tempo tecnico legato alla cena per abbandonarsi a qualche chiacchiera in più, rompendo quindi quel muro di autorevolezza e lasciando spazio a tratti caldi, vitali, ironici. Per poi come sempre ritirarsi in quel suo mondo privato che era fatto di letture, attenzione all'attualità, politica, ma anche settimana enigmistica, compravendita di francobolli, televendite d'arte. Il suo rifugio.
E così settimana scorsa, mentre il miele colava sul formaggio fuso e il dibattito ci vedeva battagliare su turismo e prospettive di governo, ancora una volta incassavamo un paio di colpi dei suoi e come sempre pagavamo il nostro tributo alla sua dialettica. Poi si è alzato, e noi siamo stati lì ancora un po'.
Lunedi, il nostro ultimo giorno in paese, mio papà l'ha accompagnato d'urgenza alla Guardia Medica. Tornato a casa, ha incontrato Leo, il nipotino figlio di Carlo e Maria Paola. Gli ha chiesto "nonno, come stai?". Antonello ha risposto "benissimo", e ha sorriso. Permettendoci così di fare finta che le nuvole che si aggregavano scure in mezzo al cielo fossero solo un innocuo dettaglio.
La stampa locale ha pagato il giusto rispetto alla sua figura, e spero che la Città di Tempio Pausania Pagina istituzionale decida di dedicargli l'onore che si merita.
Quando una figura è politica, anche la sua morte lo è. Ho trovato quindi significativo, presupposto che nulla di ciò che riguarda la nostra dipartita può essere inteso come programmabile, che i suoi ultimi giorni siano stati all'ospedale di Olbia e non in quello di Tempio, di cui era stato per praticamente tutta la vita fautore e dirigente; e che oggi è stato svuotato di gran parte delle sue funzioni.
Altrettanto significativo che la strada percorsa per riportarlo a casa non sia quella Olbia-Tempio che lui continuava a volere come chiave per salvare il ruolo, la storia, il senso del territorio tempiese oggi più che mai mangiato dall'onnivora crescita di Olbia legata agli investimenti turistici.
Mentre il vento scuote la macchia mediterranea, il sole filtra tra le nuvole. L'esempio di uomini come Antonello è quello di un figlio della Gallura che ha dato tutto alla sua Gallura. Una forza intelligente e tranquilla. Per me che l'ho osservato per anni come nipote, quello di un punto nevralgico inamovibile. Ora tocca a chi resta.
Il compito più difficile è per chi l'ha avuto con sè una vita intera e ora lo piange dolorosamente: Zia Margherita, Mario e Carlo e le loro famiglie. Eppure bisogna mantenerne tutto vivo. C'è una strada da costruire ancora. Con amore.